Il limite della tolleranza è ormai stato ampiamente varcato. Per anni le donne hanno silenziosamente subito ogni tipo di sopruso, fisico e psicologico. Indifese, sottomesse all’autorità maschile, vittime della legge patriarcale vigente ovunque, relegate al ruolo di fattrici e domestiche.
Se venivano picchiate, nessuno se ne accorgeva. Gli atti di violenza sessuale non erano quasi mai perseguiti penalmente, in quanto sulla base del famigerato codice Rocco, questi potevano essere inquadrati “solo” nell’ambito dei delitti “contro la morale pubblica e il buoncostume“.
Del resto, si sono resi necessari vent’anni di accesi dibattiti in aula affinché il parlamento italiano approdasse alla legge 66 del 15 febbraio 1996 e lo stupro fosse finalmente inteso come un “reato contro la persona“.
Resta il fatto che a oltre due decadi di distanza, le ignobili sentenze echeggianti da vari tribunali ci riportano brutalmente indietro nel tempo, vanificando improvvisamente le speranze, i progetti, le conquiste che i gloriosi anni dedicati alle battaglie per l’emancipazione femminile ci avevano regalato.
Eppure, sebbene si tratti di un’onta indicibile per chiunque, le donne – potenziali vittime e quindi dirette interessate – tacciono. Perché non insorgono in massa come una volta?
Stupisce l’apatia con cui la popolazione femminile sta assecondando la sua stessa disfatta etica e sociale.
Si potrebbe supporre che l’era moderna, così ricca di tecnologia e innovazioni di ogni tipo, abbia in realtà cancellato la sensibilità individuale che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) caratterizzare ciascun essere umano, indipendentemente dal sesso di appartenenza.
Evidentemente molti uomini non hanno ancora intuito cosa significhi subire violenza fisica. Essere aggrediti, malmenati, immobilizzati e infine violati nell’intimità. Udire il grido lacerante della propria anima agonizzante nella disperata consapevolezza dell’impotenza, con la certezza che quella ferita aperta dalla lama infuocata del carnefice non potrà mai più rimarginarsi.
Purtroppo le donne hanno pateticamente smesso di combattere. Sono diventate tragiche caricature delle antenate. Preferiscono continuare a confabulare (spesso di inezie) senza mai arrivare a conclusioni sensate (e come potrebbero?), evitando il confronto diretto o l’impegno intellettuale. E se casualmente accadesse loro di sfiorare tematiche di stretta attualità resterebbero indifferenti di fronte alle ingiustizie perpetrate nella società in cui a vario titolo sono inserite. Quasi fluttuassero in una dimensione superiore alle banalità del mondo, dominata – sia detto per inciso – da rivalità, piccole invidie reciproche, mancanza pressoché assoluta di solidarietà.
Ciò non è assolutamente plausibile, in seno a una società cosiddetta civile. I recenti verdetti a opera di magistrati compiacenti (che travisando il concetto di crimine e ridimensionando le circostanze delle aggressioni tendono generalmente a tutelare gli aguzzini e negare di fatto la debita giustizia alle vittime, salite a circa 11mila al giorno) potrebbero infatti rappresentare precedenti estremamente insidiosi per l’universo femminile. Forse addrittura l’inizio del declino, almeno sul piano giuridico. Poche paiono però aver c0mpreso la reale entità (e relative conseguenze) dell’allarmante fenomeno.