L’energia del Femminile è in Titti Boero nella intuizione, nella sua emozionalità, nell’empatia e in quella sintesi che le fa ricreare minuziosamente il suo ritorno al passato
C’è una casa in un piccolo borgo sulle colline sopra Finale Ligure, una grande casa del 700 che una coppia di savonesi , Titti Boero e Fulvio Rosso, ha deciso di ristrutturare minuziosamente, riportandola nel tempo alla sua natura originaria.
Non è una casa che si impone allo sguardo quando si passa dalla strada che costeggia il piccolo borgo: bisogna sapere che c’è e raggiungerla con l’intenzione di andarla a visitare o, meglio, di andare a trovare i suoi proprietari, due artisti che vivono lì nella quasi totale dedizione a quel regno incantato che si sono creati negli anni.
Ho parlato con Titti Boero e ho voluto intervistarla per parlare della eccellenza del Femminile (qui potete trovare le altre interviste) perché é un’artista molto particolare. Mi ha colpito il suo sguardo, acuto e dolce allo stesso tempo, lo sguardo di chi sa misurare ma nello stesso tempo sa accogliere. Misura e accoglie. Mi ha colpito la sua calma, la sua tranquillità e nello stesso tempo il suo scatto, di chi agisce con misura. Mi hanno colpito il suo silenzio e la sua presenza perché Titti Boero è una persona che non fa rumore, che non si fa notare, che non si impone ma è come un calice che accoglie e prende dentro di sé, che si fa conoscere piano piano. Come se quello che si muove in lei non agisse solo a livello di superficie ma sempre in profondità.
Abita in una casa che le assomiglia, la prima volta che l’ho vista ho pensato che fosse vasta come il suo cuore, anche se ancora con Titti non avevo parlato a lungo. Una casa a più piani con stanze nascoste che si scoprono solo in un secondo tempo, come il suo frantoio con incisa la data del 1764 nella pietra della macina. Lì le olive si trasformavano in olio ma non a caso per un atto creativo affidato all’intuizione e senza regole. Per trasformarle in olio ci vogliono regole, tecniche, passaggi, tempi.
Anche in Titti artista ci sono regole, ritmi, passaggi. La pittrice e la studiosa di matematica si fondono in queste sue opere che ingannano l’occhio, in questi suoi acquerelli molto particolari che riproducono spesso abiti o camicie ricreandoli anche nell’effetto ottico, come fossero veri oggetti ben piegati, con il colletto che pare rialzato rispetto al resto e i bottoni che sembrano veri. E invece ogni indumento è ricreato tale e quale e con esattezza e senza sbavature ricrea quella illusione ottica che lo rende reale.
Nella sua casa c’è tanta bellezza come c’è in lei e riescono a convivere essenzialità e abbondanza. Niente elettrodomestici e tante raccolte di oggetti, alcuni apparentemente inutili, altri a testimonianza della vita contadina mischiati a pezzi di arte contemporanea e agli oggetti artistici dell’una e dell’altro, i dipinti e le sculture di lei, le fotografie di lui.
L’energia del Femminile è in lei nella intuizione, nella sua emozionalità, nell’empatia e in quella sintesi che le fa ricreare minuziosamente il suo ritorno al passato.
Una donna che si infila in una vita del genere è una donna che vuole ritornare alle origini restando il più possibile fedele come lo è la sua casa con le vecchie mattonelle, le vecchie ardesie, le pietre; come lo è la sua arte che ha l’intento di ridefinire ciò che già esiste, una camicia o una gonna, come a richiamrli in vita svelandone la fragilità effimera che, sotto al colore dell’acquerello, nasconde il nulla.
Guardando le sue opere mi è venuta alla mente l’antica diatriba che si chiede se “nomina sunt (o non sunt) consequentia rerum” : come se dipingendo un oggetto qualunque, magari uscito da un vecchi baule, gli ridesse il nome e quindi lo riportasse in vita. Una vita forse apparente in sé ma foriera di nuova vita che rinascerà forse quando tra qualche secolo qualcuno come lei e come suo marito lo ritroverà e cercherà di dargli un nome, una data, un luogo…
*Perché da Savona avete sentito il richiamo di queste colline di Calice Ligure, cosa vi colpisce della energia di questo posto?
Da bambina passavo il mio tempo a “coltivare” l’orto della vecchia casa dei miei nonni a Savona, e lì mi rifugiavo in un piccolo bugigattolo che era stato un gallinaio. Ogni bambino che si rinchiude desidera la vita immaginaria: si direbbe che i sogni sono tanto più grandi quanto più è piccola la tana del sognatore. Là stavo ore e ore, era il mio regno, il mio riparo-contro…., il mio contro-universo, un ritiro riservato alla solitudine, oscuro come il ventre di una madre, una cella segreta dove la vita ritrovava i propri valori originari. La casa fu venduta e con essa l’orto, il gallinaio e i miei tesori nascosti nei buchi dei muri a secco ma ho conservato nella mente la mia casa-onirica e credo, in queste colline di Calice, di averla per caso ritrovata ; Fulvio, mio marito, ha reso ciò possibile.
* Cosa vi ha colpito di questa vecchia casa che avete deciso di ristrutturare?
Questa casa contadina, costruita pietra su pietra più di tre secoli fa, l’ha edificata la capacità di inserire nelle sue mura il cielo e la terra, i divini e i mortali nella loro semplicità. L’abitare è “prendersi cura”, soggiornare presso l’essenza delle cose, mi sono subito sentita a casa. Ora che la abito mi sento davvero a casa.
*In cosa ti affascina l’antica vita contadina?
La fatica di ogni giorno, la semplicità, il silenzio, il valore dei piccoli gesti, il ritmo della giornata, dei mesi, regolato da un orologio naturale che scandisce l’unico vero tempo che non coincide con il tempo dell’orologio, il contatto con la luce che cambia, con l’odore del buio, con l’aria spessa di rugiada, l’essere immersi nella notte. La vita quotidiana è fatta di fenomeni concreti, acqua, terra, rumori…ma anche di fenomeni intangibili come le emozioni.
*Qual è il tuo rapporto con la natura dentro alla quale sei immersa?
Ci siamo identificati con questo luogo, e ciò è alla base del senso di appartenenza, avere un punto di appoggio esistenziale in senso concreto.
*E voi avete scelto di ristrutturare minuziosamente, da soli, questo luogo incantato…
La casa era in pessime condizioni ma lasciava intravvedere le sue potenzialità. Fulvio ha imparato da solo a fare il falegname, carpentiere, muratore, agricoltore, io ho avuto una piccola parte in tutto questo. Da venticinque anni ci siamo “presi cura” della casa e questo ci ha aiutato a simbolizzare dei significati, ad arrivare all’essenza delle cose, e quando l’ambiente è significativo, l’uomo si sente a casa.
*Il materiale originale e la struttura della casa conservati e ricreati come all’origine cosa ti raccontano di te e di tuo marito?
Nella pietra, nelle travi di legno del vecchio tetto, nei semplici oggetti fabbricati con tempo e fatica leggo l’essenza delle cose, l’essere nella sua semplicità, la presenza di cielo e terra. Ritornare all’origine è per me questo.
*Come ha reagito negli anni tuo figlio in un ambiente così particolare come quello in cui vivete?
Pietro è nato qui, questo è il suo luogo e lo vive naturalmente. Da piccolo reagiva ad alcune regole “talebane” come non avere televisore o videogiochi sino a dieci anni, lamentandosi di essere escluso dalle conversazioni su cartoni animati o altro dei compagni di giochi. Il suo gioco preferito era una corda e amava andare nel bosco dove aveva costruito una capanna-padiglione del the. Ora è tornato ad abitare qui dopo una parentesi di studi a Pavia ed in Cina, ama questo posto e partecipa più di noi “eremiti” alla vita del paese. La sua sensibilità per l’abitare, per il significato di luogo l’hanno indirizzato verso gli studi di Ingegneria e Architettura per indagare su come i luoghi vengano costruiti e vissuti.
*Tu dipingi. I tuoi acquerelli sono molto particolari..
Ho iniziato a disegnare quando studiavo matematica, prima a china, poi ad acquerello. Dopo gli esami di Analisi uno o Algebra due, sentivo il bisogno di “cambiare visione”. Nell’acquerello cerco di cogliere la fragile superficie delle cose, l’effimero velo di colori che in trasparenza nasconde il nulla. Oggetti come presenze fluttuanti, abiti senza abitanti.
* In cosa si distinguono la tua ricerca artistica e quella di tuo marito, il fotografo Fulvio Rosso?
Ritengo i miei lavori intuitivi, semplici, poco studiati, casuali. Fulvio è invece formalmente ineccepibile, non lascia nulla al caso ma nello stesso tempo i suoi lavori liberano l’immaginazione, raccontano storie. Amiamo entrambi indagare sull’essenza più profonda e intima della realtà.
*Come hai vissuto i tuoi anni di insegnamento appena terminati, cosa ha significato per te insegnare?
Ho cercato di comunicare quello che pensavo fosse fondamentale: l’importanza e la bellezza della conoscenza, la felicità che dà la ricerca della verità e il ruolo della scienza e della matematica in questa ricerca, la curiosità che ci rivela concetti illuminanti, la gioia di mettersi in discussione, di eliminare pregiudizi e falsi miti. Ho fatto ciò con impegno e determinazione, a modo mio, ma ho sempre dovuto scontrarmi con difficoltà ed impedimenti burocratici.
*La tua casa è grandissima, cosa rimanda di te ai tuoi livelli interiori profondi una casa così grande e così particolare?
Rispecchia il mio modo di essere, è la mia casa onirica nel quotidiano.
*Che valore dai al tempo che passa?
Mi piace pensare al tempo che passa come Vasudeva il barcaiolo: ” Hai appreso anche tu quel segreto dal fiume che il tempo non esiste ?”. ” Si, Siddharta, che il fiume si trova ovunque in ogni istante, alla sorgente e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante, e che per lui non vi è che presente, neanche l’ombra del passato, neanche l’ombra dell’avvenire?”. O anche come lo concepiva Ts’ui Pen ne “Il giardino dei sentieri che si biforcano” di J.L. Borges: ” A differenza di Newton e Schopenauer, Ts’ui Pen non credeva in un tempo universale assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che si accostano, si biforcano, si tagliano, o si ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo, in alcuni esiste lei ed io no, in altri io e non lei, in altri entrambi…”.
*La tua casa è anche un luogo di esposizione..cosa significano per te tutti questi oggetti?
Gli oggetti mi parlano, sono presenze. Per esempio il mestolo di legno che uso tutti i giorni mi racconta del bosco di castagni sotto la rocca della Marasca che l’ha generato e che tante volte ho attraversato, conosco la mente che ha scelto quel ramo fra tanti e le mani che l’ hanno pazientemente intagliato nelle notti d’inverno. Gli oggetti sono significati. Dice Heidegger: “Nella brocca si dispiega l’offerta del versare, nell’acqua che viene offerta permane la sorgente, nella sorgente permane la roccia ed in questa il pesante sonnecchiare della terra che riceve pioggia e rugiada dal cielo. Nell’acqua della sorgente permangono le nozze tra cielo e terra… All’essenza della brocca noi diamo il nome di cosa”. Abitiamo poeticamente quando siamo in grado di leggere la rivelazione delle cose che costituiscono il nostro ambiente.
*Nella vostra casa ci sono anche molte collezioni. Cosa vuol dire per te collezionare?
Collezionare : togliere gli oggetti dal loro spazio e dal loro tempo e collocarli in un altro spazio, in un altro tempo. L’atto di scegliere l’oggetto, il nominarlo, il contarlo è dargli nuova vita, nuova realtà.
*La tua creatività va oltre i tuoi acquerelli. Come sei arrivata a quelle scatoline di legno con dentro gli oggetti in miniatura?
Le scatole sono per me delle cosmogonie, dei teoremi, hanno a che fare con il numero, con il rito. Il contare, numerare, è all’origine di una operazione rituale, serve a far apparire una cosa sulla scena del mondo. I processi di enumerazione sono una porta di passaggio fra l’umano e il divino. I censimenti, i cataloghi, gli elenchi di nomi e cifre, di astri del firmamento, di parole e punti geometrici, avevano in ogni cultura da oriente a occidente un significato rituale. I numeri, le leggi matematiche, gli algoritmi, aiutano a trascurare il sensibile: non rappresentano e come la natura del divino sono fuori dal tempo e dallo spazio. Non hanno virtù magiche o taumaturgiche, ma sono strutture sintattiche prive di significato e si sottraggono ai sensi. Aristotele dice : ” nelle cose in cui non c’è materia, ciò che pensa e ciò che è pensato sono la stessa cosa”. Nulla che sia corporeo è capace di questa conversione. Aristotele attribuisce all’anima una facoltà riconducibile al calcolo. Ambedue numero e anima si muovono da sé, il numero condivide con il divino un sistema di paradigmi, di strutture, travalicando il mondo dell’apparenza. Nelle scatole che contengono frammenti di oggetti trovati, non c’è intento di rappresentazione, di memorie, non racconti di storie ma strutture, sistemi formali, teoremi, evocando un’azione rituale.
*Come vivi la solitudine, è per te occasione di stare con te stessa?
La solitudine è per me una gioia, una necessità da sempre. Amo la solitudine, ma allo stesso modo l’amicizia che mi fa sentire vicina agli altri, sono però da vera ligure “stundaia”: apparentemente dura e poco aperta.
Hai detto bene, “apparentemente”.. Grazie Titti!