Una cultura che non bada innanzitutto alla sicurezza, al benessere e alla salute delle persone, che cos’è?
No, stavolta non si tratta di donne. Oggi intingo la penna nel veleno e scrivo. Chi mi conosce sa che non mi accade sovente di andare su tutte le furie. Vi racconto.
La scorsa settimana una lectio magistralis del filosofo Giorgio Agamben ha inaugurato l’anno accademico del Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano. A proposito, sapete che i suddetti Dipartimenti, in quanto istituzioni pienamente autonome, sono solamente quattro in Italia? Sorprendente ancora di più pensare che ben tre sono a Milano. Milan l’è on gran Milan, vero?
Ma torniamo a questa splendida occasione pubblica che ha richiamato professori e un numero straordinario di giovani studenti e, data la fama dello studioso, molti ospiti esterni, come me. Una grande fortuna: Agamben ha parole dotte, pacate, avvincenti, è un privilegio ascoltarlo. L’edificio ove ha sede la nostra magnifica Statale brilla al sole autunnale, mostrandosi in tutto il suo rosato e ornato splendore. È un patrimonio straordinario della nostra città, ed è sempre ricco di vita e straripante di iniziative. Lodevole.
Certo io, che lavoro nella disciplinatissima città di Vicenza–Veneto–Italia, non posso fare a meno di notare che le condizioni di sicurezza per l’accesso delle persone esterne sono a dir poco risibili: chiunque può entrare e uscire a suo piacimento. Non sono convinta sia esattamente un bene di questi tempi. E preferirei pensare che le giovani preziose vite che frequentano l’antica sede dell’Ateneo e le menti sfolgoranti dei/delle loro docenti fossero sorvegliate con più di attenzione. Gli ingressi sono molti e la frequenza straripante, lo capisco, ma sarebbe facile far qualcosa di meglio per la protezione di questo luogo tanto prezioso!
L’aula Crociera Alta, fra le più suggestive, in questa occasione è strapiena di gente già mezz’ora prima. Sapete, dà conforto un silenzio così assorto nel cuore di una città scatenata, anche se ci si deve arrangiare a sedersi per terra, pur essendo arrivate con largo anticipo. Purtroppo si deve assistere allo spettacolo poco edificante delle maleducazione che fa sì che numerose sedie siano occupate in attesa di partecipanti, magari mai arrivati, mentre persone, anche di una certa età, arrivate puntuali, sono costrette a rimanere in piedi o ad arrangiarsi per terra oppure, com’è capitato a me, si è costrette a sorreggere un professore – si sa sedentario per professione – che minaccia di rovinarti addosso mentre tenta goffamente di guadagnare in anticipo l’uscita, scavalcando gambe, zaini e studenti intenti a prendere malamente appunti sulle ginocchia.
Inizialmente pensi: possibile che in questo augusto luogo non abbiano di meglio? Un’aula un po’ più capiente e accogliente a cui destinare una manifestazione che è chiaro e lampante a tutti attirerà tanta partecipazione? Poi ti adatti, e quando, puntualissimi, i lavori hanno inizio, pensi solo al fascino del tema e alle delicate circonvoluzioni dell’argomentazione: la voce in filosofia. E Agamben è agile affabulatore.
Poi un ricordo mi attraversa la mente come un lampo: sabato pomeriggio, Palazzo Cordellina, Vicenza, dove gli allievi del mio conservatorio , il Pedrollo, tengono concerti pubblici tutte le settimane. Arrivo con lieve ritardo dopo le lezioni pomeridiane, e trovo posto soltanto in una delle sale attigue a quella del concerto. Per poter fotografare i ragazzi, durante una delle pause del concerto, sposto una sedia in posizione più favorevole. Nel giro di cinque minuti mi raggiunge un compito ed elegante addetto alla sicurezza che mi redarguisce sulla pericolosità della mossa: potrebbe chiudere una delle vie d’uscita in caso di emergenza. Sbalordita, mi profondo in umili scuse: pensavo fosse sufficiente rimettere la sedia al suo posto appena finito il concerto, non avevo pensato alle conseguenze che in un caso infausto avrebbe potuto avere il mio gesto, all’apparenza innocente. Per fortuna ci sono professionisti seri, penso, incaricati di far rispettare le regole.
Improvvisamente, mi guardo intorno, a lezione ormai finita, e mi chiedo: e qui cosa accadrebbe in caso di pericolo che richieda un’immediata evacuazione della sala? Quante persone possono accedere a quest’aula senza problemi? Ma che genere di cultura è questa che porta gli organizzatori di una manifestazione in una università italiana a trascurare ogni norma di sicurezza in un’occasione così importante? Veramente ho versato il denaro delle mie tasse a persone che mettono a rischio in modo tanto superficiale la vita insostituibile delle ragazze e dei ragazzi che cercano conoscenza e futuro in questa università?
Me ne vado, piena di sdegno e di amarezza. Una cultura che non bada innanzitutto alla sicurezza, al benessere e alla salute delle persone, che cos’è?
Avrei preferito non avere l’opportunità di ascoltare Agamben, pur di non scoprire che docenti, tanto degni di rispetto, permettano una mancanza così grossolana di osservanza delle norme più elementari di sicurezza.
Non c’erano altre aule? Stento a crederlo, data la vastità dell’edificio – che non è che una delle tante sedi della Statale – ma esistono norme e la legge si rispetta. È anzitutto questo che si dovrebbe imparare: il rispetto della Vita e il rispetto della Legge. Non la superficialità e la leggerezza. Sono furibonda e mi auguro, per il bene delle ragazze e dei ragazzi che frequentano l’Università Statale, che questa non sia stata che una sconveniente ed esecrabile eccezione alla regola.
Loredana Metta
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