Storia di Franca e del suo amante il mare.
Anche oggi Franca è stata al mare. Mi sorprendo sempre a vederla tornare dal mare, soprattutto quando l’inverno è alle porte a dispetto del clima temperato in un giorno di dicembre. Ma Franca è un po’ strana, si sa. Imbocca la stradina con il suo passo svelto, le gambe corte e da lottatrice che s’incurvano l’una davanti all’altra e le danno un’andatura barcollante, i capelli perennemente spettinati con quei fili che iniziano a ingrigirsi fuori della coda di cavallo. Ha il viso tondo di una bimba, sempre abbronzato. Se fosse bella mi farebbe invidia davvero. E, invece, mi fa tanta tenerezza. Sempre la stessa da che la ricordi. Lei non invecchia, inganna il tempo con il suo essere ingenua e distratta. Mi sono chiesta dove trovi tutta questa energia alla sua età. Forse l’aiuta il mare.
Franca lavora dai Cecina, nella stessa famiglia in cui è nata circa sessanta anni fa e, dopo i servizi in casa, è sempre in giro per commissioni. Sul lavoro non si risparmia, sa rendersi indispensabile agli altri. Non è una che si spenda con le parole e, tanto meno, dietro i discorsi della gente. Chiusa nel suo mutismo, che non ho ancora capito se è reale o finto, si affretta nelle sue faccende con efficienza e destrezza. Penso che si affretti anche perché le resti tempo per la sua unica passione: tuffarsi nell’acqua cristallina del mare e perdersi nelle sfumature dell’azzurro, dei grigi invernali, del bianco della spuma agitata dal vento, dei verdi riflessi delle alghe sulla roccia nei giorni di bassa marea.
Si raccontano cose strane su di lei in paese, ma non sono mai pettegolezzi o cattiverie. Tutti le vogliono un po’ di bene e sono affezionati a questa donnina corta e muscolosa, priva di emozioni e assente quando passa.
Ero ancora una bambina quando mi sono interessata a lei per la prima volta. A casa di mia nonna c’era sempre tanta gente. All’ora delle visite, mia nonna preparava le sedie nell’ingresso ampio come un soggiorno
della sua bella casa novecentesca dalle volte altissime. Arrivavano le nipoti, le cugine, le cognate e c’erano tanti bambini come me che scorazzavano sul pianerottolo. Ma io adoravo ascoltare le storie di paese. Molti erano pettegolezzi e quelli, dentro di me, li scartavo indignata. Sapevo sempre riconoscere quando si trattava di storie vere o di storie inventate per calunniare e sminuire la gente per invidia. Un giorno Rosetta raccontò della piccola Franca dei Cecina che, all’epoca, aveva diciotto anni. Era fine settembre e le spiagge ormai disertate per i preparativi scolastici. Il primo ottobre gli scolari tornavano a scuola per, poi, fare la prima vacanza solo qualche giorno dopo in onore di san Francesco. Franca, come sempre, si godeva le ultime giornate di sole, anzi le più belle dell’anno, quando il mare ha incorporato tutto il calore dell’estate e lo custodisce gelosamente, i raggi si riflettono nell’azzurro terso e nell’aria c’è una dolcezza che ti apre il cuore.
Rosetta si accalorava tutta nel raccontare, con i toni alti delle popolane che sanno di tenere banco con la loro storia, ma con la sincera indignazione dell’anima cristiana che s’intenerisce per lo sfortunato. Diceva che qualcuno, di cui si voleva celare il nome perché non incorresse nei guai, l’aveva vista accompagnarsi nel tardo pomeriggio del giorno prima con il figlio del vinaio Vincenzo. Franca lo conosceva perché portava il vino ai Cecina. Si era invaghita subito di lui, della sua sfrontatezza, dei complimenti che mai nessuno le aveva pronunciato prima. Si era innamorata anche perché condividevano la stessa passione per il mare, per i ricci appena pescati, per i polpi afferrati con destrezza a riva e sbattuti e ribattuti sulla roccia senza pietà per farli diventare teneri. Quando l’aveva invitata ad andare alla spiaggia con lui, lei l’aveva seguito silenziosa e innamorata. Si parlava di loro in paese e l’avevano più volte messa in guardia da quel giovinastro che aveva già rovinato molte giovani. Ma lei, abituata a crescere senza i consigli dei genitori che aveva perso da piccola, faceva sempre a modo suo e della gente si fidava per principio.
Successe quel giorno di settembre. La sua ingenuità non poteva prevedere un giro di boa così terribile. Aveva riposto ogni fiducia in quel giovane bello e intraprendente che voleva fare il marinaio e andarsene in giro per il mondo. Le aveva promesso che l’avrebbe portata con sé, lontana, altrove. A conoscere altra gente, a fare la signora, perché il mare fa ricchi quelli che sono disposti a viaggiare lontano da casa. E lei si era bevuta le sue parole, se le era appuntate sul suo quaderno con la copertina nera che Ninetta non utilizzava più e che lei riempiva con la sua calligrafia incerta delle frasi di Pietro e dei suoi pensieri.
E invece era avvenuto tutto all’improvviso, senza interpellarla. Le era piombato addosso al crepuscolo della sera, in una di quelle giornate in cui incomincia a fare buio prima e ti accorgi che l’estate sta finendo. L’aveva presa all’improvviso, con una brutalità che l’aveva lasciata senza respiro, sgomenta, stritolata tra il peso del suo corpo e la roccia dura e ruvida dietro di sé. Le teneva la mano stretta sul collo, per fissarla al suolo, perché non gli sfuggisse e le mancava l’aria, sempre di più e gli occhi iniziavano ad annebbiarsi, liquefatti. Dopo era rimasta annichilita sulla roccia, immobile. Non era esperta d’amore, mai nessuno le aveva raccontato nulla di quelle cose segrete di donna, ma era certa che non c’era amore nello sguardo ostile di Pietro. L’aveva sbattuta contro la roccia come faceva con i polpi, e se n’era andato via come un ladro lanciandole parole di minaccia pesanti come pietre, che non ricordava più. Voleva dimenticare, ripulirsi di quella cosa sporca che non avrebbe raccontato mai a nessuno. Si era fatto scuro, ormai, e c’era la bassa marea. Si diresse barcollante verso il mare, scivolando sulle pietre di tanto in tanto, inondata dalle lacrime di rabbia e vergogna, per essere stata così raggirata. Raggiunse l’acqua e si sentì inondare da una freschezza scura che le faceva meno paura del bruto che poche ore prima l’aveva disincantata alla vita. Si tuffò in quel liquido freddo che le dava i brividi, che la accarezzava come non aveva voluto fare l’uomo che amava, che la puliva, pezzo a pezzo, dalla vergogna. Le sue lacrime si unirono al mare, lo ingrossarono, la bagnarono di nuovo e lei si lasciò cullare, immobile, con il corpo rilasciato, lo sciabordio sul viso e una serenità che le entrava dentro a poco a poco e la liberava da quella contrattura che la faceva sentire un pezzo di ghiaccio.
Rosetta s’infervorava ancora, mentre le altre ascoltavano commosse e, forse, aggiungeva di suo. Maria sentenziava e commentava che Franca non avrebbe dovuto fidarsi di quel ragazzaccio, che era stata leggera a restare con lui da sola sulla spiaggia. Franca era stata avvistata all’alba quella mattina da pescatori di ritorno da un’uscita notturna. Era tutta rannicchiata su se stessa, ancora addormentata, i capelli discinti, nuda. Era avvolta dal suo silenzio.
Negli anni ho sentito altre storie su Franca, più o meno varianti di quella di Rosetta, alcune più ardite, altre più ingarbugliate. Vero è che Franca, da quel giorno, non è riuscita più ad allontanarsi per troppo tempo dal mare. Pietro partì pochi giorni dopo e, si dice, che il figlio del vinaio abbia sposato una brasiliana e fatto fortuna laggiù. Non è mai più tornato in paese e qualcuno si chiede se sia mai esistito davvero. Sicuramente è partita anche Franca con la sua testolina e insegue, su quella spiaggia, un rito antico come il mondo, nel suo gesto ripetuto di ripulirsi il corpo dall’onta. Torna sempre al mare Franca, appena può, nelle giornate più miti e in quelle del solleone, a tuffarsi nel dolce abbraccio dell’amore di una vita, del suo amante mare che quella sera ha saputo lenire il suo dolore senza troppe inutili parole, nel silenzio che le ha restituito il candore di fanciulla per il resto dei suoi giorni.
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