È sempre una sconfitta quando, anziché parlare di nuove misure e strategie per sconfiggere abusi e discriminazioni, ci si ritrova a denunciare il proliferare di nuove forme di violenza. È il campanello d’allarme di una situazione che si fa sempre meno gestibile.
E così si scopre che una donna non deve più temere “soltanto” violenze all’interno della relazione, non deve più preoccuparsi “solo” di subire uno stupro mentre percorre la via di casa nel cuore della notte. No, il fenomeno del “pull a pig” rischia di rendere spiacevole e traumatica anche l’esperienza del corteggiamento.
In breve, un gruppo di giovani punta una ragazza, magari semplice, di quelle non troppo avvenenti, un po’ timida. Credo sia giusto non ridurre il tutto a “la più bruttina del locale”, come ho letto su alcuni siti internet, espressione che aggiunge alla discriminazione altra discriminazione senza arrivare al fulcro del problema, che è la distorsione dei rapporti uomo-donna.
Il gruppo di ragazzi decide quindi di imbastire una sceneggiata: uno di loro avrà il compito di conquistare la ragazza, facendole credere di essere realmente interessato, salvo poi svelare la bufala pubblicamente o tramite sms e mezzi simili.
Questo è ciò che è accaduto a Sophie, ragazza inglese che, dopo essersi invaghita di Jess, ragazzo olandese conosciuto in vacanza, decide di raggiungerlo ad Amsterdam per trascorrere del tempo insieme, secondo quanto raccontato al Daily Mail. Al suo arrivo non ha trovato lui, ma un messaggio con il quale le veniva chiarito che era stata palesemente presa in giro.
È chiaro che ci troviamo di fronte ad un fenomeno a metà strada tra il bullismo e la violenza, in particolar modo psicologica. Alla base del “pull a pig”, cioè “inganna un maiale”, ci sono pressioni emotive, volontà di minare l’autostima della vittima (generalmente già preda di insicurezze personali), misoginia e sessismo, nonché sfruttamento della situazione da un punto di vista puramente sessuale, perché spesso la seduzione sfocia in atto erotico vero e proprio, emblema però solo di un’ illusione. La vittima è spesso donna – almeno stando ai casi fino ad ora emersi (ma non si può escludere che la percentuale sia viziata da una minore propensione dell’uomo alla denuncia) – e la costante è l’assenza di rispetto nei suoi confronti, con il chiaro obiettivo di annullare la sua dignità e spingerla sempre più a fondo, al punto di non ritorno. L’umiliazione è il motore di questa pratica, e ciò che preoccupa maggiormente è proprio la difficoltà di inquadrare giuridicamente il fenomeno, in modo da garantire una qualche forma di tutela della vittima. Non è infatti possibile pensare che si possa intervenire solo se si configura un’istigazione al suicidio. Occorre studiare il fenomeno e cercare una soluzione soddisfacente a garanzia della giustizia.
Il grande problema qui non è esclusivamente la violenza in sé, non solo il bullismo che si propaga dall’adolescenza all’età adulta, ma l’incapacità di vivere in modo spontaneo, vero e onesto la relazione con un’altra persona. Ci si nasconde di continuo dietro maschere senza riuscire a vivere la sfera sentimentale in modo genuino e rispettoso. Assistiamo ad un’escalation del degrado, e non possiamo stupirci che la qualità delle relazioni sia caduta così in basso.
Qui si parla di “ingannare il maiale”, ma chi è il vero maiale?
Ancora una volta, si assiste alla distorsione dell’affettività, all’instillazione del dubbio e al crollo delle sicurezze personali. Non dobbiamo dimenticare che proprio questi meccanismi spesso si riscontrano all’interno di quelle relazioni che vengono definite tossiche, e che anticipano altre forme di violenza. Meglio tenere alta l’attenzione.