C’erano una volta le sorelle Nedda e Gigina Necchi…proprio quelle delle famose macchine per cucire che prima si vedevano in tante delle nostre case.
Rampolle di quella borghesia colta e illuminata milanese dei primi decenni del 1900 esse sposarono il dr. Campiglio …o meglio Gigina sposo’ il giovane medico Campiglio, che però visse per tutta la vita con la moglie e la sorella di lei sotto lo stesso magnifico tetto (una specie di compri uno e prendi due). Il suocero del giovanotto, cui non dovette sembrar vero di sistemare in un sol colpo entrambe le fanciulle, lo ricompensò offrendogli di amministrare la grande fonderia di famiglia, accanto alla quale fu poi avviata anche la fabbrica di macchine per cucire.
I giovani sposi con annessa sorella/cognata fecero edificare la loro dimora milanese, dopo averne scelto il luogo una sera che, usciti da uno spettacolo alla Scala, nel nebbione meneghino più fitto, avevano perso le tracce dell’autista e, girovagando a piedi nei dintorni, si imbatterono in un’area ricca di vegetazione intricata e selvaggia, un luogo fantastico che innamorò subito la giovane Nedda e i suoi congiunti.
Girare per quegli ambienti ti fa vivere un piccolo viaggio nel tempo e nel raffinato gusto dell’epoca, ma anche immaginare un rapporto speciale, quello tra le sorelle Necchi che dovettero essere legate per tutta la vita da una loro intesa intima e profonda. Così, mentre passi dal giardino alle stanze del piano terra, “vedi” le due giovani con i loro ospiti, i libri, le collezioni d’arte, il loro sguardo sulle alte magnolie nel giardino d’inverno; al primo piano puoi quasi spiarne l’intimità, vissuta con signorile discrezione. Qui infatti vi è un lungo corridoio le cui pareti nascondono enormi armadi a muro su cui si affacciano, da un lato e dall’altro, perfettamente simmetriche, le stanze da letto e da bagno dei due coniugi e di Nedda. Anche qui accorgimenti architettonici idonei a proteggerne la privatezza, persino dalle intrusioni della servitù, come la doppia porta che dal bagno dà nel corridoio, dove i padroni di casa appendevano la biancheria sporca che così poteva essere ritirata senza entrare in camera da letto.
Su questo piano vi è anche una suite per gli ospiti, dove le Necchi hanno ospitato importanti personaggi e artisti, e spesso la principessa Maria Gabriella di Savoia (che perciò è denominata la stanza della principessa); vi è inoltre una stanza per l’unica cameriera ammessa a dormire sul piano e altri due ambienti di servizio. Negli armadi interni alle camere ci sono ancora appesi gli abiti delle signore Necchi, sui mobili i loro oggetti personali e da toilette.
Non vi sono invece in casa le opere d’arte del ‘900 collezionate dalla famiglia, pitture e sculture di elevato valore, perché l’intera collezione fu venduta dalle Necchi per sostenere la ricerca sul cancro di Umberto Veronesi, del quale furono molto amiche e ferree sostenitrici.
La villa fu sempre abitata dai Necchi-Campiglio, salvo che negli anni della guerra, quando l’invasione tedesca li costrinse ad abbandonare Milano e la dimora fu requisita per diventare il quartier generale del ministro della Cultura Popolare, Alessandro Pavolini.
La casa però dovette incutere rispetto anche agli uomini del Regime, perché non fu vandalizzata. Mi piace pensare che si respirava in essa quella speciale signorilità delle sue proprietarie che non era il mero frutto della loro forza economica quanto quello della nobiltà dei sentimenti e delle idee.
Certamente però il ritorno della famiglia dovette essere traumatico, tant’è che essa mise mano a lavori di rimaneggiamento. Già in precedenza erano state apportate modifiche alla casa dall’architetto Buzzi, di stampo abbastanza diverso dal Portaluppi, che inserì nel contesto alcuni elementi di stile più classico e tradizionale.
Il mix finale che ancora oggi si può ammirare è comunque assai interessante e molto gradevole.
Le opere d’arte che sono in casa, per le ragioni spiegate, non sono quelle appartenute ai Necchi-Campiglio ma quelle frutto di altre due donazioni al Fai dalle famiglie De Micheli e Gian Ferrari, alcune delle quali di inestimabile valore (per es un Canaletto, un Tiepolo).
Della collezione familiare, rimane solo un piccolo olio di Giuseppe Amisani, dal quale Nedda non si volle separare e forse nessuno ne conosce la ragione.
Ah …si’ …dimenticavo di spiegare: le due inseparabili sorelle erano di carattere molto diverso: Gigina aperta e portata alle relazioni sociali, Nedda riservata e in ombra, venivano per questo soprannominate ‘le gigine ’ dalla sempre irridente Milano (che pur ne apprezzò sempre lo spirito), ma delle due era proprio Nedda la vera appassionata di arte …quindi è forse a lei che si deve un tale imperdibile capolavoro !
Autrice : Patrizia Rautiis
Laureata in legge a Bari hA lavorato prima presso la banca d’Italia. Poi HA fatto il magistrato dal 1985 prima a Busto Arsizio poi a Taranto e dal 1991 a Bari. E’ attualmente un sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia (DDA) di Bari
1 commento
Buongiorno, non sono riuscita ad andare oltre le prime righe dell’articolo, che trovo offensivo ne confronti delle sorelle Necchi. Mi spiace soprattutto vedere che l’autrice dell’articolo sia una donna. Delusione, rammarico e sconforto.
Katia