IL CROMATISMO ESASPERATO DI UN AMORE – BÉLA BARTÓK E LA VIOLINISTA STEFI GEYER
Il primo concerto per violino e orchestra di Béla Bartók dimostra come un’opera artistica possa, e voglia, concentrare in sé i motivi di un amore intenso, a tratti esasperato e volutamente cristallizzato, nel susseguirsi di sentimenti ondivaghi e alterni, in una forma compiuta e astratta. La traduzione in musica della parabola del sentimento amoroso prende corpo nel 1907 con l’avvio di un motivo sonoro, solo quattro note in successione (re – fa diesis – la – do diesis) che entrano prepotentemente nella testa del compositore ventiseienne, al solo pensiero di una giovane e talentuosa violinista, Stefi Geyer, conosciuta presso l’Accademia di Musica di Budapest. Qui, Béla Bartók, brillante pianista, ha da poco assunto la cattedra di pianoforte dell’ormai anziano professor Thomán, suo primo didatta.
Your leitmotiv flutters around me… if I were in a narcotic dream. Così scrive alla ragazza neppure ventenne, incantato tanto dalla profonda bellezza, persino paradigmatica, di un prototipo femminile angelicato e cortese a cui votare la propria arte – occhi azzurro-mare, lunghi capelli biondo cenere, raccolti morbidamente ai lati a incorniciarne il viso – quanto dal suono carismatico e penetrante che ella riesce a tirar fuori dal violino. Strumento che ben contempla, nella tradizione letteraria e nella mitografica musicale, il potere coercitivo e ammaliatore del suono suadente e ingannevole, persino diabolico. I always keep your style of playing in my mind.
E proprio il duplice aspetto della donna appare, fin da subito, nell’idea della stesura di un concerto per strumento solista e orchestra a lei dedicato, all’interno del quale egli intende mettere in scena sia il motivo dell’ideale femminile, espresso in tutto il primo movimento e in cui far emergere anche “pensieri e sentimenti mai provati fino a ora”; sia nella trasposizione in musica, nella restante parte del concerto, dei tratti caratteriali che fanno della donna una figura nuova ai suoi occhi, brillante e impressionantemente moderna, cheerful, witty, amusing.
Ciò appare nella corrispondenza epistolare intessuta a partire da un breve soggiorno estivo a Jasberény, una ridente cittadina ungherese ove Bartók raggiunge Stefi con l’intento di avviare una conoscenza profonda: fingendo il pretesto di un lungo viaggio verso la Transilvania, intrapreso al fine di collezionare motivi e canti popolari ungheresi, quale fonte caratterizzante del suo intero codice espressivo e stilistico, egli trascorre del tempo con lei e se ne innamora perdutamente. Non conserviamo alcuna delle risposte missive della giovane donna, tuttavia si colgono nelle lettere di Bartok i motivi iniziali di un amore incondizionato e penetrante, con la necessità di tradurlo immediatamente in musica.
Il concerto inizia con la voce sommessa del violino che intona “quel motivo”, ovvero la personificazione di Stefi, e avvia, grazie a lunghe frasi senza un singolo respiro dal continuo legato e dalla linea sonora, un dialogo inizialmente quasi cameristico con la compagine orchestrale: dopo sei battute di un solo intimistico, dall’atmosfera onirica e tersa, si manifesta all’ascoltatore uno strumento orchestrale alla volta, adattando ciascuno la propria frase sulla scia sonora dello strumento che lo ha preceduto, fino a creare una malgama sonora che sostiene, per tutto il primo movimento del concerto, l’esasperato cromatismo e l’intensità lirica, seppur distante, del violino solista.Il violino canta l’anima semplice della fanciulla, intima, meditativa e idealizzata.
Tuttavia, tra i due amanti, nasce ben presto una crisi profonda che è soprattutto di tipo intellettuale e che si fonda, testimoniata da lettere sempre più angosciose, su divergenze inconciliabili per i valori fondanti della persona, che non si riconosce e non aderisce al mondo interiore e al vissuto dell’altro. L’ateismo dichiarato del compositore, che giunge persino a maturare la sua vicinanza a temi quali il divorzio e la possibilità di suicidio, non può che collidere con l’integrità del profondo cattolicesimo di Stefi. L’inaspettato atteggiamento inamovibile della donna, che mantiene e difende senza renitenza la libertà delle proprie idee, sorprende e delude il compositore. L’impossibilità di convergere egli stesso verso le posizioni dell’amata, lo portano a sentimenti ambivalenti, che ben traspaiono nella stesura del secondo movimento del concerto, a carattere fortemente contrastante. Da un lato, l’ammirazione verso una giovane donna, allegra, spiritosa e divertente – e come egli stesso scrive, nel volerla mostrare al mondo per tutto ciò che di diverso era, creando una composizione molto caratterizzante, brillante e accesa, a tratti persino giocosa e funambolica – ma che può, al tempo stesso, divenire persino crudele e sprezzante, capace di infliggere profonda e sincopata sofferenza all’uomo, perché non asservita e non rinunciataria. Se l’amore non basta a colmare il baratro, l’opera d’arte diviene una confessione palese e persino l’unico legante tra i due, unitamente alla consapevolezza propria del musicista che, grazie a sentimenti così forti e contrastanti, sia possibile creare artisticamente qualcosa di nuovo e di grande impatto. Only in this, the concert, I was not disappointed.
Improvvisamente, Bartók decide di abbandonare l’idea di un concerto classico tripartito e, spinto dalla fulminea dichiarazione d’addio della donna, chiude la composizione in due soli movimenti, finendo di getto la drammatica stesura in una sola notte. Avrebbe desiderato, come di consuetudine per i compositori con i dedicatari musicisti dei loro concerti, confrontarsi con la Stefi-violinista e parlare delle qualità strumentali del concerto, correggendo nel caso, oppure apportando variazioni nella stesura solistica. Tuttavia, quale estrema confessione di un amore finito, le fa recapitare, senza alcun seguito, il manoscritto con dedica in ricordo di una felicità lontana e mai compiuta.
Il manoscritto, ora nell’Archivio Bartók di Budapest, verrà conservato gelosamente dalla donna per una vita intera, in un cassetto nascosto, fisico e mentale. Stefi Geyer, negli anni a venire, diviene il simbolo di un femminile novecentesco che mira all’emancipazione e alla realizzazione professionale, fino a poco tempo prima impensabile per una donna. Per la virtuosa violinista, e docente di strumento presso il Conservatorio di Zurigo dal 1934 al 1953, sembrerebbe lontano il ricordo di un amore giovanile, fugace e tormentato. Tuttavia, ella consegna alla sua morte, su sue precise indicazioni, l’unica copia manoscritta del concerto al direttore d’orchestra Paul Sacher che lo pubblica postumo e lo porta alla conoscenza del pubblico nel 1958 a Basilea, nell’interpretazione del violinista Hans–Heinz Schneeberger. Alla fine del secondo movimento, dopo essersi divincolato in arditi, tumultuosi e persino insistenti passaggi virtuosi, il violino intona un’ultima aria, dolce e struggente, l’eco lontana di ciò che avrebbe potuto essere, di quel non vissuto che appartiene al bagaglio di molti. Subito dopo, l’orchestra ne tarpa le fragili ali, con un finale drammatico e dirompente, che ne decreta la necessità di quel temuto dirsi addio.