In questo paese oscilliamo da un lato tra la santificazione/venerazione della maternità, con tanto di dipartimento mamme e di bonus ad hoc, e dall’altro con attacchi più o meno velati alle donne, in generale, ma ultimamente anche alle neomamme o mamme.
Non c’è un equilibrio. Non c’è un quadro realistico. Non c’è un approccio serio e non stereotipato. Non c’è separazione tra realtà e finzione che deforma e strumentalizza tutto, in funzione di un discredito generalizzato intriso di odio e pregiudizio.
C’è chi mette in piedi una campagna di vero e proprio odio e dileggio contro le neomamme, creando addirittura una categoria specifica, tutta omogenea e tutta uguale, in balia di quella “isteria” che da sempre ci è stata appiccicata addosso. “Pancine” alla sbarra delle imputate, deumanizzate e diventate parte di corpi, nell’immaginario di questo personaggio del Web che tutto distrugge e che alimenta una, l’ennesima, mistificazione della rete. Per certi surfisti della rete che costruiscono e alimentano queste barricate, le neomamme diventano uno dei tanti bersagli, in un misto di dileggio e di misoginia. Le neomamme diventano una massa informe, un cluster, una categoria di soggetti ignoranti, gretti, superstiziosi, in balia di ormoni e di una natura che le porta a essere normalmente, biologicamente instabili, credulone, inaffidabili, in definitiva inferiori. Esattamente come storicamente ci hanno dipinte per secoli. Come se Simone de Beauvoir non fosse mai esistita e non avesse mai scritto nulla in merito. Come se anni di femminismo fossero passati invano.
Ed ecco che una delle tante gogne generate dai social e dal Web diventa uno strumento per tornare indietro, a quel ferro da stiro, a quella dimensione unicamente domestica, a quella monocapacità riproduttiva, a quel grembiule. Donne che diventano oggetti e alle quali facilmente si possono associare falsi stereotipi che però quasi tutti sono disposti a ritenere veri e rappresentativi di tutte le donne, perché “si sa che è così”. Su questo ritenere le donne assoggettabili ad un unico calderone di idee, pensieri e comportamenti si è fondata nei secoli la società patriarcale. Su queste costruzioni e ricostruzioni maschili del mondo delle donne si sono rette le discriminazioni e i pregiudizi che ci hanno affossate. Su questi temi tanta strada è stata fatta, a livello teorico e pratico, per smontare queste impalcature di frottole ai nostri danni. Eppure ciclicamente ritornano. Ritornano a dimostrazione che non possiamo abbassare la guardia e soprattutto dobbiamo creare un clima di solidarietà femminile che sappia abbattere questi tentativi. Purtroppo questo non c’è, o non è ancora diffuso. Non è una cosa semplice ma concordo con le analisi di Donatella Caione, editora di Matilda Editrice e con una esperienza consolidata alle spalle dalla parte delle donne e delle mamme, sulla pericolosità di “screditare una intera categoria, quella delle giovani mamme, e indirettamente le donne. E ovviamente non manca la violenza verbale di chi commenta le videate, violenza verbale sempre presente quando si parla di donne.”
Vi invito a leggere tutte le considerazioni (anche qui e qui) di Donatella, perché aiutano a smascherare l’operazione in atto.
Non sono fenomeni separati, sono tutti parte di un quadro di ridicolizzazione, di sottrazione di credibilità non solo delle mamme, di una pericolosa marcia indietro, forme di backlash, di resistenza maschile che ci vuole dipingere tutte in modo tale da sminuire le nostre capacità, le nostre intelligenze, la nostra resilienza, le nostre modalità di relazione e di mutuo-aiuto, la nostra molteplicità e differenza ricca. La nostra autenticità viene coperta da un velo di stereotipi, facili semplificazioni e sommarie valutazioni.
Come ricorda Donatella, le community di mamme non possono essere dipinte in questo modo stereotipato e monolitico, un sistema in cui “proliferano ossessione e ignoranza” come qualcuno lo ha descritto. Dall’esterno, decontestualizzando termini e linguaggio, ricostruendo questi luoghi attraverso l’elaborazione di post farlocchi, con copia e incolla casuali e senza fonti, certo è possibile generare una rappresentazione fittizia. Incrementata dalla nostra incapacità di verificare e di porci domande, prendendo per “vero” solo perché gira sul web ed ha la firma di un nick che “distrugge” ma in realtà costruisce stereotipi o falsi accadimenti. Un’operazione che dovremmo conoscere bene da Welles in poi, transitata dalla radio, alla tv fino al web. Ma il punto centrale è capire perché, cosa c’è a monte di questi tentativi che hanno come target le neomamme, ma sappiamo che le donne sono spesso al centro di questo tipo di gruppi. Al di là dell’istinto dell’autopromozione per ottenere visibilità, costruita su operazioni poco trasparenti e poco attendibili. Fa specie che antropologhe e testate di rilievo diano spazio e credito a questa grande macchina del fango che vede le neomamme come un “mostruoso” gigante impazzito. Mamme vs non mamme, mamme ridicolizzate e dipinte come un informe coacerbo di tutti i più radicati stereotipi. Un racconto condotto guarda caso da un uomo, ma a cui partecipano tutti e tutte, senza domandarsi perché, all’interno di cosa si sviluppa questo pericoloso meccanismo troppo facilmente assecondato. La nostra voce di donne scompare nel cono d’ombra di questi riflettori e specchi deformanti, accesi ad uso e consumo di un’operazione mediatica dai chiari contorni misogini. Sappiamo che non è una questione unicamente maschile. Cosa c’è che non va? La generalizzazione, la ricostruzione tendenziosa e strumentale a una visione che non rispetta le donne, e il clima di giudizio universale o da Inquisizione, sempre pronto ad attribuire etichette indelebili, come si faceva con le streghe, incasellate e marchiate a fuoco, malefiche e pericolose per natura, come se fossimo in pieno medioevo.
Noi lo abbiamo lasciato da tempo, la strada l’abbiamo tracciata da tempo. C’è invece chi ci vuole ricacciare a quei tempi, con quella mentalità che vedeva le donne come testoline imperfette e pericolosamente agganciate a stregonerie e superstizioni. Qui è in gioco sempre il potere e il dominio maschile, un controllo che può avvenire solo con una permanente opera volta a sminuire le donne, a partire dalle madri. Qui è messa in dubbio la nostra saggezza, la nostra capacità autonoma di decidere, di scegliere e di agire, la nostra attendibilità, la nostra consapevolezza di essere diverse da come ci vogliono dipingere. Anche questa è violenza, altamente lesiva e invasiva. Qui è messa in dubbio la nostra razionalità, la nostra intelligenza, il nostro saper essere differenti e saper fare. Questo genere di operazioni sono funzionali ad allontanare le donne dai diritti e dalla costruzione di una società più eguale e paritaria. Un uomo che ancora una volta sceglie di costruire una figura altra da sé, inferiore e in balia della natura, più vicina al mondo istintivo animalesco. Questo per rafforzare la sua idea di maschio e di soggetto dominante e perfetto, legittimato a sovraintendere e a guidare chi è inferiore.
Il confine tra realtà e ricostruzione fittizia che la manipola e la distorce a uso e consumo di chi la crea, è labile, impercettibile, ma le ricadute sono reali. I social e il Web esasperano ciò che sono conflitti reali in atto nella società, con effetti nocivi molto molto concreti. E mentre ci tengono impegnati su queste operazioni di discredito delle donne, nella realtà siamo di fronte a fenomeni gravissimi, tra bullismo e cyberbullismo, sessismo in ogni ambito, molestie e ricatti sessuali, perdita di diritti, violenza di genere. Da quel “se l’è cercata” ancora tanto in voga, alle domande violente e inopportune rivolte alle ragazze americane stuprate da due carabinieri, al clima giudicante, discriminatorio e non accogliente che tutte le donne sperimentano nel corso della propria vita, in ogni ambito, siamo al palo. In quanto donne ne subiamo di tentativi di sottrarci voce e diritti.
Siamo fondamentalmente in un punto in cui è facilissimo tornare indietro. Soprattutto quando gli interventi legislativi e politici non sono inseriti in un quadro organico. Quella legge 40 smantellata a colpi di sentenze non ha visto di pari passo un ripensamento strutturato e che si ponesse dalla parte delle donne sul tema. Così come su diritti sessuali e riproduttivi, sulla contraccezione e la salute di genere abbiamo grossi problemi. Sul banco delle imputate ci siamo noi donne, quando rivendichiamo i nostri diritti e la difesa di norme come la 194, affinché l’ultima parola spetti alle donne sempre. Siamo imputate, sotto giudizio e costrette a doverci difendere, anche da parte di donne che sono impregnate di una mentalità frutto di mentalità, pregiudizi e stereotipi maschilisti. Siamo noi a doverci scrollare di dosso pericolosi giudizi e accuse quando semplicemente stiamo rivendicando diritti fondamentali. Quante volte viene preso di mira il nostro linguaggio? Quante volte la nostra autonomia di pensiero e di lotta viene contrastata e ridicolizzata, con tentativi di piegare la nostra voce e le nostre istanze? Quanti anni di battaglie hanno consentito di reintrodurre la fecondazione eterologa e quanti anni ci sono voluti per correggere le decisioni del Consiglio regionale lombardo sui costi di queste pratiche (dall’autunno 2014)?
La mia preoccupazione è che in questo clima da restaurazione reazionaria, piano piano si faccia pulizia delle conquiste tanto faticosamente conquistate. E che sui corpi delle donne non solo si costruiscano campagne elettorali ma che venga messa in discussione la nostra autonomia nelle scelte che ci riguardano. Tacere o mettere sotto il tappeto certe pericolose avvisaglie è gravissimo. Abbiamo i centri di aiuto alla vita che entrano e agiscono liberamente nelle istituzioni, uomini che pontificano sui nostri corpi e sulla maternità, supportati anche da donne che non vi vedono nulla di male o di strano, disposte a modificare la 194 per consentire ai futuri padri di far pesare la propria volontà su quella della donna. Da qui a subordinare i diritti della madre a quelli del feto il passo è breve. Questa è l’amara realtà, questa è la situazione, altro che i fenomeni costruiti ad arte sui social da soggetti in cerca di notorietà e di visibilità.
Il nostro corpo è un campo di battaglia da secoli, il suo controllo e i tentativi di ridurci a meri oggetti è ancora attuale. Giudicarci e bersagliarci creando una categoria ad hoc, una fantomatica gabbia, l’ennesima, fa parte di una strategia per nulla innocua. Generalizzare e ingabbiare non sono mai buone prassi. Apriamo gli occhi e fermiamo questa gogna e questa operazione il prima possibile.
Piuttosto preoccupiamoci adeguatamente di un mondo ancora ostile alle donne, dei diritti e dei servizi affievoliti, di come sia difficile entrare e restare nel mondo del lavoro, di un welfare che si regge sul lavoro di cura invisibile, scontato e gratuito – ancora principalmente femminile – del gender pay gap, di quella miriade di dettagli che rendono la nostra esistenza precaria, difficile, in salita.
Le donne, mamme e non, sono alle prese con questi problemi, anche se vi fa più comodo parlare d’altro e fare rumore su altro. Non passerete sui nostri corpi.
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