Anni fa ho partecipato ad un corso in cui si parlava di Relazione Santa, di Relazione Speciale, di Perdono e, soprattutto, di Miracoli. Uno di quei corsi in cui all’inizio sembra che si parli in un’altra lingua e si ha la sensazione di non capire nulla; ma poi il corso afferra l’anima ed è chiaro che sta parlando a quei livelli e non certo a quelli della mente razionale. Ed allora si cambia prospettiva e tutto inizia ad avere un senso. Un corso difficile basato su un testo che qualcuno, allora, stava traducendo dall’inglese in italiano in tempo reale, di settimana in settimana, giusto in tempo per le nostre lezioni. Una delle traduttrici era Isabella Popani.
In quegli stessi anni sentivo un richiamo verso Findhorn, una delle prime comunità spirituali di cui si parlava allora e il referente per l’Italia era, guarda caso, Isabella Popani. Poi un giorno io e lei ci siamo incrociate in vesti di relatrici in uno dei convegni cui entrambe avevamo qualcosa da raccontare e finalmente l’ho conosciuta, apprezzandone subito la grandezza e l’umiltà, la riservatezza e la forza trascinatrice.
Se tutto ha uno scopo nella vita, perché mai conosco bene l’inglese ma nella mia vita lavorativa non lo sto usando? Questa domanda, dopo ventiquattro anni di lavoro in un ufficio, aveva smosso la vita di Isabella, donna in carriera, che si era data il permesso di abbandonare quell’attività per dedicarsi a ciò che nella vita le piaceva di più. E per festeggiare questo radicale cambiamento di vita era andata a partecipare ad un seminario nella comunità di Findhorn, un piccolo villaggio di pescatori nel nord della Scozia dove Peter e Eileen Caddy, con la loro segretaria Dorothy Maclean e i loro 3 figli, si erano trasferiti a vivere in una roulotte dopo che erano stati licenziati in tronco da un albergo che gestivano.
Ora di quel Gioco Isabella è facilitatrice, unica trainer italiana certificata da InnerLinks per la formazione di nuovi facilitatori, una dei pochissimi trainer nel mondo, nove in tutto comprese le due ideatrici del gioco. E ancora Isabella Popani è diventata punto di riferimento importante per l’Italia nei rapporti con la Comunità di Findhorn. Traduttrice di Un corso in miracoli, ora lo insegna con l’autorizzazione della Foundation for A Course in Miracles e secondo gli insegnamenti di Kenneth Wapnick
Counselor ad indirizzo gestaltico e Trainer accreditato S.I.A.F., Rebirther e , ha partecipato a numerosi corsi di formazione nell’ambito della mediazione dei conflitti, con particolare attenzione alla Comunicazione Non Violenta. Collabora inoltre con l’Associazione di promozione sociale CEMECO – Centro di mediazione familiare e Counseling di cui è tra i soci fondatori. Con gioia la inserisco tra le Donne Eccellenti
*Quando e come è iniziato il tuo percorso di ricerca interiore?
Non so quando sia iniziata la mia formazione. Ho la sensazione che tutto, sin dal momento della mia nascita, sia stato un percorso di preparazione che mi ha portato gradualmente a dove sono ora. O forse tutto è iniziato ancora prima, davvero non saprei dirlo. Ricordo solo che mia madre diceva sempre che sono nata vecchia. Ho sempre cercato delle risposte che dessero un senso alla mia vita. Non riuscivo a pensare che la via fosse seguire sempre la solita routine, doveva esserci altro e quindi la mia curiosità mi portava a cercare continuamente risposte che avessero significato per me. Inoltre, sin dall’asilo ho frequentato il mondo cattolico: il solo asilo disponibile dove abitavamo era gestito dalle suore e lo studio della religione, come mi era stato presentato a scuola, per un po’ mi è andato bene. In seguito, non ottenendo le risposte che cercavo in quel contesto, ho incominciato a cercare anche altrove. E ovviamente non sono mancati momenti in cui mi sono dedicata semplicemente ad essere bambina, adolescente e a vivere il quotidiano come si presentava, senza troppe domande.
*In famiglia ti aiutavano a porti domande e a cercare risposte?
Ho avuto una mamma con la quale essere totalmente aperta, non avevo problemi a confidarle cosa mi stesse accadendo, quindi capitò alcune volte che mentre le raccontavo un sogno che si era ripetuto più volte, lei mi diceva di cosa si trattava e quel sogno finiva. Ho sempre avuto un rapporto particolare con i sogni, mi davano informazioni o premonizioni. Ricordo ad esempio un sogno in cui mi vedevo bambina – forse di due anni – che guardava il panorama dal finestrino di un treno che sembrava entrare in un fiume. Mia madre mi raccontò che quando ero bambina andavamo in treno a Gazzaniga, in provincia di Bergamo, dove lei era nata e il treno costeggiava il fiume Serio. Era evidente che agli occhi di una bimba potesse sembrare che il treno entrasse nel fiume, non riuscendo a vedere il confine tra il tratto ferroviario e il fiume. I sogni premonitori erano quelli che mi spaventavano maggiormente, poiché il più delle volte mi mettevano di fronte a qualcosa di poco piacevole che sarebbe accaduto. In una notte sognai alcuni anni della mia vita, partendo da un episodio talmente poco gradevole che rimossi completamente. Ricordai il sogno solo quando tutto incominciò a verificarsi e mi trovato in un letto di ospedale dopo un grave intervento chirurgico che cambiò radicalmente la mia vita.
* In che modo ha cambiato radicalmente la tua vita?
All’inizio mi chiedevo che senso avesse tutto questo, perché uno nasce e muore, uno rischia di morire o muore a 21 anni e un altro invece vive oltre 80 anni. Perché non abbiamo tutti la stessa quantità di tempo a disposizione? E mi ritornò in mente l’ insegnante di religione alle elementari che parlava di eternità dell’anima. Ero in grado di capire diversamente, o forse maggiormente, il senso di quella affermazione ed incominciai ad approfondire la possibilità della reincarnazione: se l’anima è eterna – mi dicevo – allora può essere che la stessa anima viva più vite e quindi vent’anni di una vita e ottant’anni in un’altra non hanno più senso… Nei sei mesi che trascorsi in ospedale avevo condiviso la stanza con Margherita, pranoterapeuta e chiropratica che faceva parte di un piccolo gruppo esoterico. Insieme avevamo condiviso momenti di profondo dolore, ma Margherita ebbe anche modo di introdurmi a quel mondo esoterico, fatto di Maestri che davano i loro insegnamenti tramite delle medium… Io ero stata educata al fatto che tutto potesse essere possibile e così accoglievo quelle informazioni che incominciavano a dare senso a un “oltre” di cui ancora dovevo diventare consapevole. Fu naturale quindi che io e Margherita ci continuassimo a frequentare anche dopo le nostre dimissioni dall’ospedale, come fu quasi ovvia la mia introduzione in quel piccolo gruppo esoterico nel quale anche io potevo ascoltare i Maestri mentre davano i loro insegnamenti.
*E quello che dicevano ti è stato chiaro fin dall’jnizio?
Ci sono stati insegnamenti dei Maestri che ho compreso dopo molti anni ed altri insegnamenti sui quali sono convinta di aver bisogno ancora di lavorare per integrarli completamente. E in tutto questo si inserivano ovviamente le varie vicende personali che mi hanno permesso di verificare in prima persona la validità o meno per me degli strumenti che via via acquisivo nelle mie varie formazioni. Ricordo il momento in cui mi sono resa conto che non mi amavo più e che non riuscivo ad accettarmi perché non avrei potuto più avere figli e grazie al lavoro con il Gioco della Trasformazione ho potuto andare oltre. Allo stesso modo sono riuscita, mettendo in pratica quello che via via imparavo, a superare le crisi di coppia che si presentavano e che non sono mancate nei miei 46 anni di matrimonio.E fu uno di quei maestri, Serapis, che mi portò a Findhorn nel 1986.
* Così, d’un tratto, hai ascoltato le sue parole e ti sei ritrovata lì?
No, il passaggio non fu così semplice, poiché avvenne in diverse fasi, piuttosto ravvicinate. Dapprima ci fu lo scioglimento del gruppo perché secondo il Maestro non dovevamo più dipendere da una Medium per entrare in contatto con lui, ed era giunto il momento in cui ciascuno di noi doveva imparare ad ascoltare direttamente al proprio interno. Poi venne il suggerimento di leggere il libro “La magica Comunità di Findhorn”, libro ormai fuori stampa ma che ognuno di noi era riuscito a trovare anche nei mercatini di strada. Poi un articolo di Paola Giovetti su Astra e infine un intervento alla trasmissione “Italia Sera” condotta da Mino Damato ed Enrica Bonaccorti dove veniva annunciato un primo gruppo per italiani a Findhorn. Viaggiare con altri sarebbe stato decisamente più semplice che non fare un simile viaggio da sola.
*Come è avvenuto il tuo primo incontro con la realtà di Findhorn?
Era il giugno 1986. Nel libro sulla comunità di Findhorn avevo letto che c’erano persone nel nord della Scozia che mettevano in pratica quanto i Maestri ci avevano insegnato e che per noi era quasi impossibile immaginare di poter praticare. Da bravo capricorno dovevo toccare con mano, perché se questo era vero dovevo in qualche modo rivedere cosa mi impediva di attuarlo anche nella mia vita. Avevo viaggiato con gli italiani ma avevo anche deciso di fare la settimana di esperienza internazionale che quindi condivisi con oltre 20 persone provenienti da ogni parte del mondo: persone straordinarie di cui ricordo ancora oggi la profondità e l’impatto che ebbero su di me. Fu una settimana molto intensa e la cui profondità fu difficile da cogliere persino dagli altri componenti del gruppo esoterico di cui avevo fatto parte. In fondo anche questo è comprensibile: cercavo di condividere ciò di cui io avevo fatto esperienza, ma di cui loro non potevano avere la benché minima idea.
* Ma su quali principi era stata fondata questa comunità?
I tre fondatori erano partiti da un profondo percorso spirituale di cui incominciarono ad applicare i principi, totalmente inconsapevoli dei risultati che avrebbero poi avuto. Non era certo loro intenzione fondare una comunità, ma avevano deciso di seguire con fede la voce interiore che li guidava. Eileen Caddy sentiva quella che lei chiamava “la piccola quieta voce del Dio interiore”, Dorothy entrava in contatto con i Deva della natura, e Peter metteva in pratica quanto veniva suggerito nei diversi messaggi. Per sopravvivere incominciarono dunque a fare il primo orticello seguendo i vari suggerimenti ricevuti interiormente e così accadde che nacquero cavoli giganteschi (oltre i venti chili di peso), nonostante il terreno sabbioso, le rose fiorivano anche in inverno nonostante la neve ed il vento gelido dell’inverno scozzese. Furono questi fenomeni a richiamare persone da varie parti del mondo, che non so come fossero venute a conoscenza di quello che stava accadendo. E ogni persona ha portato il proprio contributo, arricchendo in questo modo il bagaglio di esperienze possibili, sia per la crescita personale che per la crescita spirituale dell’individuo. Importanti furono la presenza di R. Ogilvie Crombie (meglio conosciuto come ROC) che con la sua presenza ed esperienza rafforzò la connessione con gli Spiriti della Natura e quella di David Spangler che, nonostante la sua giovanissima età, portò a creare la struttura di quella che è ancora oggi presentata come Settimana di Esperienza.
* E dove venivano accolte le persone che via via arrivavano?
Con l’arrivo delle persone necessitavano strutture di accoglienza, ma con il lavoro interiore che continuavano a portare avanti i tre co-fondatori, man mano che sorgevano i bisogni si manifestava anche quanto necessario a soddisfarli: arrivarono le prime case su ruote, furono costruite strutture dove cucinare e pranzare insieme, il primo luogo dove meditare insieme, e così via. Inizialmente Peter accoglieva le persone ed assegnava loro i compiti da svolgere nella comunità e per la comunità, insegnando e ponendo le basi per il principio “il lavoro è amore in azione” che è ancora oggi uno dei principi cardine su cui si basa la vita della comunità. Poi un giorno, allo stesso modo in cui Eileen Caddy aveva ricevuto il messaggio di non condividere più quanto riceveva dalla sua voce interiore poiché ciascuno doveva trovare dentro di sé questa “voce”, anche Peter smise di essere la persona di riferimento per l’assegnazione dei vari compiti.
*Mi ha sempre affascinato la loro modalità di divisione dei compiti..e l’ho sempre trovata la migliore..
Si, La comunità aveva infatti nel frattempo costruito una struttura interna di funzionamento per cui altri potevano alternarsi nel ruolo di “focalizzatore”: ogni dipartimento aveva ora una persona responsabile di mantenere il “focus”, ossia l’attenzione, su quanto necessario per gestire al meglio il proprio dipartimento e realizzarne le funzioni. E ancora oggi ogni dipartimento ha un “focalizzatore” che copre quel ruolo nel dipartimento in cui si presenta fino a quando non si sente chiamato interiormente a svolgere un compito differente. Si, i diversi compiti all’interno della Fondazione vengono definiti mediante un processo di ascolto interiore, processo che ancora oggi viene attuato e di cui anche le persone che si recano a Findhorn per la prima volta sperimentano nella settimana di esperienza.
*E come si vive oggi a Findhorn, esiste ancora una comunità che vive lì a tempo pieno?
Il 17 novembre di questo 2017 si è celebrato il cinquantacinquesimo compleanno della Fondazione, che continua ad essere molto attiva. Ovviamente in questi 55 anni ci sono stati molti cambiamenti: dalla Fondazione è nata gradualmente una comunità estesa che oggi si è trasformata o si sta evolvendo sempre più in un villaggio, come la voce interiore di Eileen aveva preannunciato anni e anni addietro. La Fondazione resta tuttavia il centro da cui parte la maggior parte dei programmi educativi mentre, attorno ad essa, sono nate numerosissime iniziative. E’ un sistema che resta basato sui tre principi fondamentali, ciascuno dei quali, per mia interpretazione personale, si ricollega ai tre co-fondatori:
L’ ascolto interiore, a Eileen; la Connessione con la natura, a Dorothy; Il lavoro è amore in azione, a Peter
In tutti questi anni sono molte le persone che hanno visitato Findhorn e ciascuna ha portato a casa qualcosa. Alcuni hanno dato vita a nuove comunità, altri hanno semplicemente portato consapevolezze diverse nel proprio quotidiano. Quindi la realtà di Findhorn può anche essere vista con una espansione più globale rispetto allo sviluppo fisico che la comunità ha avuto negli anni.
*Tu sei facilitatrice delle settimane di formazione a Findhorn…
Si, ho numerose settimane di esperienza e mi stupisco sempre di come si riesca a creare un clima di fiducia reciproco in pochissimi giorni: eppure accade. Alla prima Settimana di Esperienza possono poi far seguito, per chi conosce l’inglese, altri percorsi che hanno tutti comunque una base spirituale. Purtroppo c’è ancora poco per gli italiani che non conoscono l’inglese ed è attualmente anche difficile riuscire a costituire un gruppo interessato a recarsi a Findhorn anche solo per la prima settimana.
* Ma cosa accade durante la settimana di esperienza?
La settimana di esperienza è propedeutica perché introduttiva alla vita della comunità: si apprende come muoversi da una sede all’altra e si approfondiscono i tre principi che accennavo in precedenza. Ci sono infatti momenti di meditazione, o di ascolto interiore, momenti nella natura per approfondirne la connessione, e momenti di lavoro in un dipartimento. A tutto questo si aggiungono attività che portano persone che non si conoscono a formare un gruppo in grado di condividere intimamente, a comprendere cosa significa davvero vivere in comunione, “comune unione”.
*Hai accennato prima al Gioco della Trasformazione di cui tu sei trainer. Come è iniziato il tuo rapporto con il “Gioco della Trasformazione?
Come dicevo, nel 1989 ho lasciato definitivamente l’ufficio ed ho deciso di dedicarmi del tempo a Findhorn. Stavo considerando l’idea di andarci a vivere e volevo capire di più. Sin dalla mia prima visita nel 1986 ero diventata punto di riferimento per l’Italia e conoscere la comunità dal suo interno era diventato particolarmente importante per me. Avevo visto la scatola del Gioco nel negozietto della comunità, ma non volevo comperarla fino a che non avessi conosciuto cosa fosse e a cosa servisse, così il primo passo era iscrivermi ad un seminario della durata di una settimana e vivere l’esperienza di giocatore in prima persona. Fu un’esperienza sconvolgente in senso estremamente positivo. Era successo di tutto per me in quel periodo di soggiorno nella comunità, e il richiamo a restarci mi sembrava sempre più forte, così, come ultimo atto di quella settimana di gioco, decisi di prendere una carta delle risorse per verificare se la mia intuizione fosse accurata. La carta che pescai diceva: “Hai canalizzato corrette informazioni. Dio splende in esse.”
*E allora cosa hai fatto?
Contenta di sapere che le mie intuizioni erano corrette, ma anche terrorizzata all’idea di un trasferimento a Findhorn che avrebbe implicato il separarmi da mio marito – cosa che ero riluttante a fare poiché non è nelle mie corde che un percorso spirituale possa essere causa di separazione – decisi come primo passo di iscrivermi al corso di formazione per diventare facilitatore, che si sarebbe tenuto a ottobre di quell’anno. Durante la formazione compresi che lavorare con il Gioco mi avrebbe permesso di portare l’energia di Findhorn con me, senza doverci necessariamente andare a vivere. Il Gioco è strumento di crescita anche per il facilitatore, non solo per i giocatori. Scoprii anche che quello era proprio l’intento di Joy Drake e Kathy Tyler nella creazione del Gioco: permettere alle persone di fare l’esperienza di Findhorn senza doverci andare a vivere per qualche tempo.
*Come avviene la formazione a trainer del Gioco?
Il corso di formazione è un intensivo di 13 giorni per un massimo di 6 persone ed è il solo percorso che abilita all’uso professionale del Gioco. Inoltre non basta partecipare al corso per diventare facilitatore: è altresì necessario superare le diverse fasi che vanno dal conoscere le regole avanzate, alla capacità di essere presenti con i propri giocatori e condurli attraverso un cammino che è il loro e non quello che noi vorremmo che loro percorrano, e tutto questo in un clima di sostegno, empatia, fiducia.
* E ora tu formi facilitatori anche in Italia?
Dopo tanti anni di facilitazione ho sentito l’esigenza di organizzare la formazione in Italia, aprendola così anche a chi non conosce la lingua inglese. Inizialmente mi sono limitata a tradurre, ma proprio in questa prima esperienza si è palesato per me il passo successivo: diventare io stessa trainer. Questo mio ulteriore percorso formativo è durato oltre 6 anni e si è concluso nel 2016. In tutti questi anni ho presenziato, tradotto, assistito, co-condotto formazioni, ricevendo costanti feedback fino al conseguimento del “titolo” definitivo. Assicuro che è stato emozionante vedere il mio nome tra i pochi trainer nel mondo (attualmente 9 comprese le ideatrici del Gioco).
*In cosa può aiutare, il Gioco quali sono i suoi obbiettivi?
Il Gioco è uno strumento per l’esplorazione di sé stessi e di come giochiamo la nostra vita, mettendo in evidenza gli ostacoli che ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi e contemporaneamente mostrandoci le risorse che abbiamo per fare i cambiamenti necessari al loro raggiungimento. Gli obiettivi possono essere i più disparati e sono scelti dal giocatore sulla base dei suoi bisogni del momento. Può trattarsi di avere indicazioni pratiche su come acquisire un certo risultato oppure affrontare temi più emozionali: non c’è un obiettivo più importante di un altro, o uno più elevato di un altro. Il Gioco tuttavia non è una terapia, anche se i suoi risultati possono essere in qualche modo terapeutici, ma un profondo percorso di coaching che può avvenire con formati diversi che vanno dalla sessione individuale ai seminari di gruppo anch’essi in diverse versioni. Ci sono sessioni individuali, da tavolo per un massimo di 6 persone e di gruppo per 8-12 partecipanti.
* Parliamo ora di come ti sei trovata a tradurre quella gigantesca opera che è “Un corso in miracoli”..
Altro momento importante è stato il mio incontro con “Un corso in miracoli”. Me lo mostrò la prima volta un’amica a Findhorn nel 1986, ma lo guardai e lo rimisi subito nello scaffale: troppo grosso, troppo complicato per il mio inglese un po’ arrugginito. L’anno successivo, quando nel gruppo italiano che avevo portato a Findhorn c’erano delle persone che stavano facendone gli esercizi, ne fui incuriosita e decisi quindi di acquistarlo, ma giunta a casa lo misi sullo scaffale della mia libreria e vi restò fino a fine anno quando, pescato dalle cartine degli Angeli una qualità con cui lavorare per l’anno seguente mi venne il PERDONO. Fu così che iniziai a leggerlo e a tradurlo per mio uso personale: non avrei mai pensato che potesse diventare il mio percorso e che ne avrei curato la traduzione ufficiale in italiano.
*Ma tu avevi già avuto esperienze di traduzione?
Non sono nata come “traduttrice”. Ho incominciato a tradurre come forma di condivisione e di servizio per permettere a chi non conosceva l’inglese di poter leggere alcune cose che erano state importanti per me. E anche la traduzione del Corso è iniziata in questo modo. Non sono partita con l’idea di tradurre il Corso: ero consapevole di non avere né i requisiti né i titoli per poterlo fare. Avevo tuttavia deciso di inserire in computer il lavoro che stavo facendo per mio uso personale. Poi accadde che, quasi contemporaneamente, due amici che stavano facendo la stessa cosa mi contattarono per chiedermi se volessi incontrarmi con loro e magari confrontarmi con loro e proseguire studiando il Corso insieme.Fissammo un incontro a casa mia e trascorremmo un meraviglioso pomeriggio insieme. Alla fine della giornata, dopo che se ne fossero andati, ho sentito l’impulso di scrivere alla Foundation for Inner Peace (detentore del copyright del Corso) e alla Foundation for A Course in Miracles (organo di insegnamento del Corso) dicendo che eravamo un gruppo di tre persone interessate ad occuparci della traduzione del Corso. Ovviamente fu un azzardo da parte mia, poiché non avevo chiesto agli altri se anche loro avevano questo interesse. Lo avevo dato per scontato ed avevo semplicemente seguito una spinta interiore che non si prestava ad alcun dubbio. E la risposta arrivò presto: ci furono inviate le istruzioni da seguire con la richiesta di tradurre un capitolo di prova. Fu così che nell’agosto di quello stesso anno (1994) mi recai negli Stati Uniti presso la Foundation for A Course in Miracles e tornai con il contratto formale per la traduzione ufficiale del Corso, il cui lavoro è durato poco più di cinque anni.
* Tutto quello che avevi fatto in precedenza era stata una preparazione a tutto questo?
Si, tutto quello che impariamo nella vita ha uno scopo: ha avuto uno scopo il mio fare un po’ di scuola di recitazione da bambina che mi ha permesso di sentirmi meno a disagio di fronte ad un pubblico in occasione delle conferenze per presentare Findhorn, così come il mio studiare inglese mi ha portato a tradurre seminari tenuti da membri di Findhorn e di altri autori internazionali. Questo ha permesso che approfondissi la lingua fino a farla diventare la mia “lingua spirituale” e, anche senza averne titolo (non ho alcuna laurea), a continuare a tradurre libri e conferenze facendo incontri che in modi diversi hanno segnato la mia vita.
*Quali sono stati gli insegnamenti più importanti per te di “Un corso in miracoli”?
Nel Corso ho trovato risposte che cercavo da lungo tempo e soprattutto una perfetta unione tra percorso spirituale e psicologia profonda, unione che per me è indispensabile. Sono infatti convinta che un vero percorso spirituale metta inevitabilmente in discussione anche a livello personale e che un percorso di crescita personale sia monco se non include una dimensione spirituale. Inutile dire che inizialmente non capivo molto cosa dicesse davvero, ma sono andata avanti con fiducia, confidando che le parole prima o poi avessero un senso per me. La particolarità di “Un corso in miracoli” rispetto ad altri percorsi è la sua non dualità: esiste solo una Realtà, ed è quella che condividiamo con Dio e tutto il resto è illusione, come un sogno che svanisce al risveglio. Il Corso ci porta gradualmente e dolcemente a capovolgere il nostro sistema di pensiero, portandoci a comprendere che ciò che crediamo reale in questo molto non lo è – è illusorio, un’allucinazione, e quindi non esiste. La nostra Realtà è la nostra dimensione spirituale e quella non potrà mai essere minacciata o cancellata, ma solo tenuta celata fino a quando non saremo in grado di riconoscerla, accoglierla e farla nostra totalmente.
*Il tutto fa capo alla Foundation for a Course in Miracles,..
Psi era sempre rifiutata di dedicarsi all’insegnamento del Corso poiché riteneva di aver svolto quello che era il suo compito come scriba. Vide in Kenneth Wapnick (allora un giovane psicologo clinico newyorkese che aveva collaborato alla revisione e alla sistematizzazione del materiale che portò poi alla sua prima pubblicazione) il suo erede spirituale. Kenneth divenne così il portavoce ufficiale del Corso ed in breve ne divenne anche l’insegnante più autorevole. Egli ha dedicato la sua intera vita allo studio e alla facilitazione della teoria del Corso, pubblicando moltissimi libri e attraverso i molti corsi che regolarmente venivano tenuti presso la Foundation for A Course in Miracles, fondata da lui e dalla moglie Gloria nel 1983 come manifestazione di una visione che Helen aveva avuto di un centro di insegnamento per tutti coloro che fossero attratti a comprendere ciò che il Corso si prefigge di insegnare.
*E qual è lo scopo della Fondazione?
Come precisato dagli stessi fondatori, scopo principale della Foundation è di aiutare gli studenti di “Un corso in miracoli” ad approfondire la loro comprensione del suo sistema di pensiero, concettualmente e attraverso l’esperienza, cosicché possano essere strumenti più efficaci nella pratica dei suoi insegnamenti nella loro vita. Dal momento che l’insegnamento del perdono è vuoto se non c’è anche l’esperienza, uno degli obiettivi specifici della Foundation è facilitare il processo di Perdono grazie al quale le persone possano essere meglio in grado di sapere che sono veramente amate da Dio.
*Nel Corso si parla molto di Perdono. Cosa è il perdono?
Ci sono tante definizioni di perdono a seconda dei differenti livelli a cui ci si riferisce.
C’è il perdono che avviene quando una persona ci fa qualcosa e noi decidiamo che non è importante e quindi lasciamo andare (se davvero lasciamo andare), poi c‘è il perdono che avviene quando comprendiamo le ragioni che possono aver spinto una persona a comportarsi in un certo modo, poi c’è il perdono – quello cui sono arrivata a credere io – che non vede nell’azione di qualcuno qualcosa da perdonare, perché non c’è nulla da perdonare. C’è solo un fatto che avviene affinché io possa imparare qualcosa e allora il mio compito diventa imparare la lezione che la vita mi presenta e l’altro è solo un mezzo. E c’è ancora il perdono, quello a cui fa riferimento “Un corso in Miracoli”, che è il disfacimento del pensiero di separazione da Dio, che vede ciascuno come una cosa sola, unita ed indivisibile, in un mondo che ci fa solo credere di essere separati gli uni dagli altri e da Dio. E c’è il perdono di se stessi, che secondo me è il più difficile, poiché il nostro giudice interiore è davvero spietato nei nostri confronti. Qualunque sia la forma di perdono a cui si è in grado di aderire, il risultato è un senso di libertà e liberazione e più ci apriamo al perdono, più questo senso di liberazione aumenta.
* Come, perdonando, la nostra vita può cambiare?
Il non perdono fa molte cose, e forse è più opportuno guardare cosa fa il non perdono per poter poi fare una scelta differente. Il non perdono ci tiene nella stessa prigione in cui mettiamo le persone che teniamo prigioniere del nostro rancore. Il non perdono ci tiene prigionieri della colpa, di un mondo dove viviamo come in un tribunale alla ricerca di qualcuno da ritenere colpevole e da condannare per qualsiasi cosa.
Devo tuttavia dire che perdonare non significa ignorare un fatto o negare che sia avvenuto. Significa guardarlo con occhi diversi dal giudizio e questo ci porta a prendere decisioni che siano di insegnamento sia per chi subisce il fatto sia per chi lo perpetra.
Se ad esempio qualcuno fa qualcosa che è passibile di denuncia, posso benissimo denunciare, ma senza coltivare in me rancore per quel fatto o fare denuncia perché voglio “farla pagare” a quella persona. Denuncio perché è giusto, per evitare che quel fatto possa ripetersi, per dare alla persona l’opportunità di apprendere dalla sua parte come io imparo la mia parte.
Lavorare nell’ambito della mediazione dei conflitti, in particolare con l’uso della comunicazione non violenta, mi ha davvero insegnato molto e mi ha permesso di vedere che c’è sempre un modo per andare incontro all’altra persona, indipendentemente da ciò che ha fatto. Ho ancora molto da imparare in questo, ma ho avuto la fortuna di incontrare persone che sono state per me un grande esempio ed un modello grazie al quale posso dire: non sono ancora capace, ma so che è possibile e questo è il mio ulteriore margine di crescita.
*Hai delle esperienze da raccontarci, a proposito di perdono??
Mi vengono in mente due episodi che potrei collegare al perdono, entrambi in riferimento all’uccisione di persone a me care: quello di una ragazza che avevo avuto in affido familiare e quella di un amico. Il primo episodio si ebbe dopo pochi mesi che avevo lasciato definitivamente l’ufficio. C’era stata una notizia al telegiornale che mi aveva colpito, ma non l’avevo sentita bene perché ero in un’altra stanza e sapevo che si trattava di Maria. Passai la notte in maniera piuttosto irrequieta e al mattino, come prima cosa, andai ad acquistare un quotidiano ed ebbi la conferma che Maria era stata uccisa dal cognato. Contrariamente ad ogni mia aspettativa provai una grande pena per quell’uomo, oltre a grande compassione per me stessa e per il mio dolore. Quanto a Maria, diceva spesso che lei avrebbe fatto una brutta fine, come se ad un qualche livello sapesse. L’altro episodio, anch’esso un fatto di cronaca, accadde mentre non ero in Italia. Ogni domenica mattina a Findhorn si tiene una meditazione di guarigione, così decisi di includere nell’elenco delle persone a cui inviare energia di guarigione, la moglie e i figli del mio amico assassinato. Poi mi unii nella meditazione nella quale accadde l’inaspettato: si è presentato, nella sua forma animica (non saprei come definirlo altrimenti), l’assassino del mio amico chiedendo guarigione. Sono stata titubante per un po’, ma non ho potuto fare altro che accogliere la sua richiesta e includerlo nella meditazione, chiedendo anche per lui perdono e guarigione.
*Fin da quando ho avuto un mio primo approccio al Corso ho sentito molto nelle mie corde quello che viene detto sulle relazioni, la Relazione Sacra e la relazione Speciale ..ne vogliamo parlare?
Viviamo di relazioni: col nostro corpo, con noi stessi, con tutto ciò che ci circonda, con gli oggetti come con le persone. E con tutto e tutti, inizialmente, instauriamo una “relazione speciale”. In fondo, il nostro desiderio più grande non è forse avere al nostro fianco una persona speciale che ci faccia sentire speciali a nostra volta? Non ci rendiamo conto che questo “bisogno di specialezza”, come lo definisce “Un corso in miracoli”, è parte del pensiero egoico di separazione, come forma di distinzione ed importanza: se non siamo speciali in qualche modo non siamo nessuno, non siamo importanti, non abbiamo valore, non…. (possiamo aggiungere qualsiasi cosa). Queste relazioni sono basate sulla colpa (se non sono felice è solo colpa tua perché non soddisfi i miei bisogni) e sul principio di scarsità, e tentano di colmare le mancanze che percepiamo – soprattutto la mancanza di amore che sentiamo – cercando di ottenere dagli altri ciò che crediamo di non possedere. Non ci rendiamo conto che nessuno è speciale o che siamo tutti egualmente speciali e che ciò che crediamo di non avere – l’amore – è già dentro di noi.
La “relazione santa” è il mezzo con cui lo Spirito disfa la relazione speciale (o non santa) cambiando l’obiettivo dalla colpa al perdono. In essa si scioglie così ogni forma di separazione: non vediamo più l’altro come qualcosa di separato da noi, o come qualcuno che deve darci ciò che non abbiamo, ma qualcuno che ci ricorda che noi siamo già completi e che anche l’altro è completo e insieme possiamo continuare a camminare ma con uno scopo differente che è condividere l’amore che ci unisce.
*Come questa consapevolezza ha influito nella tua vita?
La mia relazione di coppia è stata e continua ad essere il laboratorio in cui mettere in pratica questi principi. Se non lo avessi fatto, il mio matrimonio avrebbe avuto molte occasioni per finire e invece siamo ancora insieme dopo 46 anni, nel corso dei quali ho avuto modo di osservare tutte le dinamiche dell’ego e tutte le pecche che il suo sistema di pensiero presenta. E ogni qualvolta mi sono chiesta cosa mi unisse a mio marito e cosa mi teneva ancora nella relazione, l’amore era – ed è – la risposta.
*Quali sono stati gli incontri più importanti nella tua vita?
Tanti, tantissimi, da Eileen, Dorothy e Peter co-fondatori della Findhorn Foundation, a Kenneth Wapnick co-fondatore con la moglie Gloria della Foundation For A Course in Miracles, senza dimenticare Rick Phillips, Anne Meurois Givaudan, John Harricharan, Goswami Kryiananda, Lise Bourbeau, le ideatrici del Gioco e numerosi altri personaggi anonimi ai più e che tuttavia hanno rappresentato pietre miliari nel mio percorso di crescita
*E poi c’é la parola magica, nel corso, il Miracolo. Cosa si intende con questa parola?
Il Miracolo è un cambiamento di percezione che deriva dal cambiamento di mente: il passare da quella che il Corso definisce “mente sbagliata”, che è gestita dall’ego, alla “mente corretta”, che è gestita dallo Spirito, entrambe con un sistema di pensiero totalmente differente, il primo basato su peccato, colpa, paura e punizione, il secondo basato sul perdono. Nel Corso il termine Miracolo ha dunque molti sinonimi: perdono, correzione del pensiero di separazione, salvezza, sogno felice. E’ un riflesso del mondo reale.
* In quali occasioni tu hai sperimentato la forza del miracolo?
Ogni miracolo della mia vita è stato un cambio di prospettiva, e ce ne sono davvero stati moltissimi, a partire dalla mia guarigione oltre 40 anni fa, alla guarigione fisica di persone a me care di cui non posso parlare per rispetto della privacy. Ti parlo del primo in ordine di tempo.Il mio cammino spirituale ha avuto inizio con quel lungo ricovero ospedaliero a seguito del quale ho avuto per qualche anno problemi di salute: coliche frequenti simili a dolori di parto, le mie influenze erano sempre bronco-polmoniti… E quando andavo dal medico questi regolarmente mi diceva: “Signora, con quello che ha avuto… porti pazienza. Prenda…” e vivevo di antidolorifici e medicine varie. Tutto questo fino a quando una mattina, in preda ad una delle ormai innumerevoli coliche, ho preso la decisione di non fare più alcuna resistenza al dolore: ho voluto sentirlo fino in fondo, ascoltare quello che mi voleva dire, ed ho preso l’impegno di ascoltare i messaggi del mio corpo, di onorarli senza permettere a nulla di interferire con la mia scelta di vivere. Nel giro di 2 mesi non ho più avuto alcuna colica ed anche i raffreddori sono stati veramente sporadici. Da allora vivo in quella che posso sicuramente definire buona salute. Ma i miracoli nella mia vita hanno assunto molte forme… un incontro, una presa di coscienza, vedere i cambiamenti nelle persone che hanno scelto di lavorare con me, ma soprattutto il sentire che non sono sola, che dentro di me c’è una forza che mi guida e mi sostiene e sulla quale posso fare affidamento sempre.
*Cambiare prospettiva significa scegliere nuovi sistemi di credenze..
I nostri pensieri ci mostrano il sistema di credenze che scegliamo, gli schemi che abbiamo fatto nostri (sia positivi che negativi), ci fanno vedere su cosa basiamo la nostra vita. Osservare i propri pensieri permette di conoscere i condizionamenti che abbiamo fatto nostri, così da poter continuare a scegliere e portare avanti quelli che sono potenzianti e lasciar andare quelli limitanti o che non ci servono più. Osservare con onestà i nostri pensieri ci permette di vedere quante bugie o verità ci raccontiamo, ma questo non è un tipo di osservazione a cui siamo abituati. Nel 2016 avevo deciso di dedicare l’anno alla pace. C’erano ovunque eventi che facevano pensare alla guerra e volevo cercare di capire perché il mondo non fosse invece focalizzato sulla pace. Incominciai ad osservare i miei pensieri e i comportamenti di chi incontravo. Allora mi sono posta la domanda: ma vogliamo davvero la pace o abbiamo semplicemente paura della guerra? Sono due cose completamente diverse. Quante volte crediamo di avere pensieri di pace e contemporaneamente abbiamo reazioni o pensieri che vanno decisamente in direzione opposta: basta osservare i giudizi quotidiani su una certa tipologia di persone. Ricordo un suggerimento di Kenneth Wapnick in occasione dell’ultimo suo seminario che seguii negli Stati Uniti: Osserva i tuoi pensieri quando guardi qualcuno che fa della satira sia sui politici che ti sono simpatici sia su quelli verso cui non sei favorevole. Ecco, questa osservazione mi ha permesso di vedere quanti pensieri di non pace avessi mentre contemporaneamente credevo di volere la pace.
* Osservare senza giudicare, però..
Non serve giudicarci per questi pensieri. A me questo lavoro di osservazione è servito per imparare a giudicare sempre meno, a comprendere che siamo tutti esseri imperfetti in un mondo imperfetto dove ciascuno porta avanti le proprie verità, ciò in cui crede. Mi ha insegnato che se scopro di avere un pensiero che non mi piace o che giudico negativamente in un altro, posso correggerlo sia dentro di me che nei confronti dell’altra persona. E tutto questo vale anche per quanto riguarda il mondo della spiritualità e mi porta ad essere il più coerente possibile quantomeno nel tentativo di mettere in pratica ciò che il mio rapporto con lo Spirito mi insegna, altrimenti la spiritualità resta solo per me un meraviglioso insieme di teorie.
*Cosa intendi per Guarigione?
La guarigione ha per me molteplici aspetti. Una volta consideravo guarigione solo quella fisica, poi ho compreso che anche la guarigione fisica ha la sua origine nella dimensione della mente e dello Spirito. Ho anche compreso che talvolta è guarigione accettare la propria condizione o situazione e da quella accettazione può nascere altro. Quando poi mi è capitato di pensare alla guarigione di altre persone, mi sono chiesta io stessa cosa intendessi per guarigione. E tra i tanti pensieri – il primo in testa è stato “non lo so” – c’è stato che talvolta la guarigione per una persona è quella che noi chiamiamo morte. Rispondendo alle tue varie domande, mi diventa quasi evidente come guarigione, perdono e miracolo siano sinonimi o aspetti uno conseguenza dell’altro.
grazie Isabella!!! A presto tutti intorno ad un tavolo con te!