Adriano Celentano compie 80 anni.
Nomen omen, ma prima del 1966 alzi la mano chi conosceva il pur spumeggiante Gluck. L’amministrazione milanese, va riconosciuto, non s’è dimostrata generosa con l’autore barocco. Gli ha dedicato una via chissà come, angolare più che periferica, snobbata da un sole che pure stamane, dopo una furtiva apparizione, s’è immerso nel cielo ingombro e non ne è più uscito. La luce, qui, ha un riflesso grottesco. A quale scopo rendere più linde le ciminiere, nitida la ruggine? In via Gluck tutto è fermo; un immenso rottame inodore.
Poi di musicista ne è arrivato un altro. Di cifra tutt’affatto diversa. E ci ha narrato d’una precedente plaga verde. Sarà. Da quelle parti, io l’erba non l’ho mai vista. Già travolta dagli edifici, alla mia nascita. Solo la bruttezza resta eguale.
L’erba è erba dappertutto, a Milano come a Roma. Solito esangue anonimato, varcato da voci felici. L’arte è solo umana. I colori, te li devi inventare. E allora fatalmente fuggi, prima con la mente, nel buio cortile, poi con le serate nelle balere, i primi rock’n’roll, le cantine e le ragazze, mai così tante e vogliose di divertirsi. La guerra appena alle spalle. Un giorno la fortuna bacia proprio te, ed eccoti proiettato in firmamenti inopinati. O forse non così tanto, perché la tua famiglia era modesta ma non povera, in vacanza c’eri sempre andato e, soprattutto, sei sempre stato un vincente. Il rimpianto della prima casa diviene anch’esso spettacolo, finzione, recita. E tu, d’improvviso, rappresenti tutti. Quel tuo motivetto smozzicato si trasforma in un inno.
Celentano è stato tutto questo e anche di più. Mio padre lo incontrava spesso fra un biliardo e un’avventura. Celentano era l’erotismo animale, Walter Chiari, ancor più erotico ma filtrato dalla metafora del palcoscenico, l’apoteosi della risata. Walter è rimasto unico ed è morto solo. Celentano è rito collettivo, religione di stato. Anzi, di popolo. Una Milano nazionale. Lui è “l’Adriano” per tutti i vecchi fans, e sono tanti, che credono alla sua risata contagiosa e l’hanno visto, sghembo orologiaio, fra raggi di biciclette, lattine d’olio e scali ferroviari (l’amico treno, si sa…). Celentano è, come il calcio di Pasolini, messa domenicale, sacerdote d’un tempo incerto. Poi sono arrivate le generazioni complicate, che la guerra ce l’avevano dentro. E di fiducia, gli umani, han sempre bisogno, e ognuno, nel tempo, s’accontenta del mito che trova. Consci, tutti quanti, della precarietà d’un’esistenza piovuta da chissà quale nume. Animosi di leggerezza e amore, di piccole, sorridenti illusioni.