Riassumere la carriera di Silvia Magnani è quasi impossibile: da medico specialista a docente Il resto lo scopriremo nel corso dell’intervista e sfogliando il suo ricchissimo sito. Che le voglio bene, però, questo forse non salta fuori quindi ve lo anticipo qui. Energie del Femminile? Accudimento, Affettività, Creatività. E grande apertura verso tutto.
Con lei sono cresciuta, siamo diventate grandi insieme, compagne di banco e di studi, non ricordo momento della mia vita adolescenziale che non abbia condiviso con Silvia.
Conosco davvero molto bene Silvia Magnani e potrei dire che è un vulcano di creatività e potrei anche aggiungere che insieme abbiamo trasformato ogni pomeriggio di studio in occasione per creare sempre qualcosa di nuovo, spettacoli, mostre, conferenze, filmati, interviste. E per farci tante, tantissime risate.
Potrei raccontare la nostra modalità multitasking di affrontare lo studio: su una immensa scrivania appoggiavamo contemporaneamente libri di filosofia, letteratura, chimica, matematica, latino, greco, fisica, aperti alle pagine degli argomenti da studiare e passavamo dall’uno all’altro senza soluzione di continuità, per trovare i punti di collegamento tra argomenti apparentemente diversi ma, in realtà, fonte continua di riflessione sulla vita. E non ho messo a caso il verbo “trovare” al posto di “cercare”: eravamo sempre certe che avremmo trovato quello che stavamo cercando.
Potrei soffermarmi sulle notti passate a studiare insieme per la maturità, sostenute da bricchi di caffè perché preferivamo passare le giornate a suonare la chitarra e cantare tutti i Beatles del mondo, lei adorava George e io Paul.
Potrei raccontare di come aveva paura di salire sul quadro svedese e di fare capriole e di come passava le giornate estive nel grande terrazzo della sua casa al mare a leggere integralmente “L’Orlando Furioso” perché sua madre non la lasciava uscire con noi. E di come io, molto spesso, preferivo scappare da inutili pomeriggi mondani e mi rifugiavo con lei a trasformare, magicamente e con leggerezza, fonti di cultura di qualunque tipo in affreschi di vita, i semi del nostro variegato presente. Punti di contatto, differenze, collegamenti erano le nostre parole d’ordine. E tante risate, molti scherzi, qualche pianto.
Ma forse al mondo interessa di più sapere che ne è stato della mia amica del cuore, intelligentissima e creativissima, che ai tempi dell’Università passava parte delle sue nottate in una comune dalle finestre viola, dicendo alla madre, severissima, che non sarebbe tornata a casa a dormire perché, studiando medicina, aveva fantomatici turni di notte in ospedale; e che un giorno è scappata di casa e ha fatto perdere le sue tracce per qualche anno.
Ora è sempre la stessa Silvia Magnani, non molto diversa da quando scrivevamo i nostri fantasiosi testi insieme e ci inventavamo le modalità per ricordare “otutotonaitontaistas”(mischiando apposta il singolare maschile con il plurale femminile!) oppure “Savignoni Paribeni Banti”, ma riassumere la sua carriera è quasi impossibile: medico specialista in Foniatria e in Otorinolaringoiatria, formatrice di numerosi logopedisti nel campo della patologia della comunicazione, fondatrice del Network Educazione della voce, socio fondatore S.U.F.I. Sindacato Unitario Foniatri Italiani e socio del G.I.F.T. Gruppo Italiano Foniatri Teatro; fondatrice, docente e segretaria scientifica di Nuova ARTEC s.a.s., autrice di 15 monografie scientifiche sulla patologia della voce artistica e professionale e sui problemi di comunicazione nell’infanzia. Docente alla scuola di specializzazione in Foniatria e al corso di laurea in Logopedia all’Università di Milano, si occupa della cura della voce artistica, del ritardo e disturbo di linguaggio e del disturbo specifico dell’apprendimento. Ha formato maestri di canto ai quali affida i suoi pazienti. Ha diretto la collana Quaderni Fad per l’Editore Franco Angeli di Milano. Importante il suo approccio alla Medicina Narrativa che, superando il tecnicismo scientifico del “medichese”, valorizza lo scambio di narrazioni tra paziente e medico.
E poi, per non farci mancare niente, si è diplomata Assistente alla regia alla Scuola d’Arte Drammatica Piccolo Teatro di Milano, e lì ha insegnato Educazione della voce; ha studiato filosofia e teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, ha ottenuto il master in Bibbia e cultura europea, presso l’università Cattolica di Milano e ha tradotto in modo sublime il Cantico dei Cantici, è sposata da una vita con lo stesso marito e ha tre meravigliosi figli, tutti maschi.
Il resto lo scopriremo nel corso dell’intervista e sfogliando il suo ricchissimo sito. Che le voglio bene, però, questo forse non salta fuori quindi ve lo anticipo qui. Energie del Femminile? Accudimento, Affettività, Creatività. E grande apertura verso tutto. Avevate dubbi che la mettessi tra le altre Donne Eccellenti?
*Sei medico foniatra e otorino e sei anche regista. Quali sono i punti di contatto tra queste due tue vocazioni?
Mi appaiono come aspetti della stessa professione. Essere medico è principalmente ascoltare e cercare di comprendere l’altro per arrivare a instaurare una relazione comunicativa efficace. L’anamnesi è principalmente la recezione di un racconto. La diagnosi è la messa in relazione del racconto con i segni obiettivi di patologia. La terapia è la costruzione di un rapporto di fiducia e di collaborazione attiva nel cammino di guarigione, Anche mettere in scena uno spettacolo necessita di un ascolto attento, prima delle parole dell’autore drammaturgico, poi degli attori, per comprendere appieno il significato del testo e ciò che esso risveglia negli artisti. Occorre creare energia, instaurare una buona relazione e infine condurre in porto il progetto con la collaborazione di tutti
*L’ascolto è sempre in primo piano, direi.. Quale ruolo ha per te nella tua vita professionale e nella tua vita personale?
Un ruolo primario. Se non ascoltassi non capirei. Capire chi ho davanti è la base del mio lavoro ma è di una fatica mostruosa. Dopo le visite devo come riprendermi da una fatica fisica.
* Da tanti anni continui i tuoi studi sulla voce e parli di Prossemica Vocale. Di cosa si tratta?
La voce è per me il modo solo umano di partecipare alla energia del cosmo. Un modo per restituire l’aria inalata rendendola vibrante e di informare la vibrazione, cioè il suono, dei propri pensieri ed emozioni. Non c’è nulla per me di più straordinario della voce, nulla che meglio esprima l’intrinseca partecipazione dell’uomo alla energia cosmica.
*Ma cosa è la Prossemica Vocale?
Prossemica vocale è una locuzione che ho inventato qualche anno fa. Prossemica è quella scienza che studia le relazioni spaziali tra i partecipanti a una relazione in un dato luogo. Con prossemica vocale intendo la comprensione di come la voce si adatta alla situazione spaziale e come, addirittura, è in grado profondamente di influenzarla.
*Come hai reagito quando facendo il foniatra hai compreso il perché di alcune tue difficoltà in età scolare durante le elementari ?
In realtà ho capito le mie difficoltà quando ho iniziato a scrivere a computer col correttore automatico. I miei errori erano sempre gli stessi. Consonanti sorde sostituite da sonore, inversioni, doppie non rispettate. Come foniatra so che mio compito è rendere pubblico il mio problema così da rassicurare i genitori dei miei piccoli pazienti. Si può fare una vita normale, studiare, laurearsi e non si è meno intelligenti degli altri.
*Usi spesso il verbo “rassicurare”, l’hai sempre usato. Cosa significa per te prendersi cura di qualcun altro? E cosa provi quando qualcuno si prende cura di te?
Prendermi cura di qualcuno è il mio lavoro. Quando i miei bambini si ammalavano mi pareva che curarli fosse la cosa più piacevole. Li sentivo miei, me ne sentivo responsabile e ogni segno di guarigione mi dava gioia Detesto invece che qualcuno si prenda cura di me. Non solo non faccio visite mediche, esami ma provo un senso di vergogna profonda se mi ammalo, soprattutto verso i miei famigliari. Una volta arrancavo sulle scale per arrivare al mio studio con un ginocchio rotto. Un paziente già in attesa alla porta, vedendomi così traballante, stava per venirmi incontro. Gli ho urlato, puntandogli contro la stampella, “Non cerchi di aiutarmi”. Credo non se lo sia più dimenticato. Ne abbiamo riso insieme più volte.
* Aderisci alla Slow Medicine. Di cosa si tratta?
È un movimento che persegue la prescrizione ragionata e prudente dei farmaci e delle procedure diagnostiche, secondo l’appropriatezza prescrittiva, sfuggendo alla logica di mercato.
*Accudimento e Affettività che ruolo giocano in te?
Mi è impossibile seguire un progetto, spingermi in un’ impresa, anche solo mantenere un legame professionale, se l’affezione non è presente. Agisco sempre spinta da un sentimento. E tale sentimento mi dà forza, coraggio, costanza. Allo stesso modo, così come scelgo con chi vivere e con chi lavorare per affetto, accudisco le persone amate. Simbolo dell’accudimento è per me dividere il cibo. Se posso nutro chi amo (praticamente tutti coloro con i quali ho una relazione significativa) dando cibo e, se questo non è possibile, dando ciò che ho, sia questo una conoscenza, un’idea.
* E infatti oltre a curare hai sempre insegnato. Cosa significa per te insegnare?
Insegnare è un modo di essere perché mettermi in una situazione di apprendimento è per me piacevole e naturale e, una volta capito, trovato, inventato mi è spontaneo immediatamente condividere. Non c’è nulla che abbia tenuto per me. Insegnare è poi il luogo privilegiato di apprendimento per il docente stesso. E’ nel momento in cui spieghi ad altri che comprendi appieno ciò che stai insegnando.
*Come hai vissuto gli anni del sessantotto e quelli immediatamente seguenti?
Da militante femminista. Arrabbiata, agguerrita, decisa, piena di speranze. Sono stati anni di formazione fondamentali per me. Erano anni nei quali mi dividevo tra la facoltà di Medina e la Scuola d’Arte Drammatica dove seguivo il corso di regia. In quel tempo la vita era politicizzata, il teatro era epico, il collettivo molto sentito. Le donne affacciate su futuro.
*Ho letto qualcosa di tuo in cui parlavi delle donne “altrimenti belle”. Cosa significa per te questo tipo di riflessione?
Quando ero una ragazza un mio caro amico mi diceva “noi siamo belli di dentro”, per consolarci della nostra, comune, inadeguatezza estetica. In realtà chi non è bella, chi non lo è sin dalla adolescenza, come me, non può credere al valore dell’altrimenti bello. Non c’è alcun “altrimenti”. Se non disponi di un minimo di attrattività estetica non vieni guardata, avvicinata, considerata sino a una età nella quale ormai ti sei già data per perdente. E da perdente cominci a coltivare altre strade: la cultura, il sapere, la conoscenza.
*Come è in generale il il tuo rapporto con le altre donne?
Buono, lavoro meglio con loro che con i colleghi maschi. Meno ambizione, meno attaccamento al denaro e meno identificazione nel successo professionale.
*E cosa consigli alle giovani donne?
Non rinunciare a niente. Fare ciò in cui si crede. Non farsi ricattare dai sentimenti. Ne ho dati tre!
*Come sei generosa! Ti stanno a cuore i giovani?
Si, ho molto a cuore la situazione giovanile, vorrei tanto che si favorisse in ogni modo l’occupazione e si deviassero molti aiuti economici oggi dati ai soggetti anziani verso le necessità dei giovani. Punterei sulla generazione attiva che rischia ora di essere cancellata dalla sottoccupazione
* Da dove nasce il tuo amore per le lingue antiche e qual è il loro valoro attuale?
Ho un amore esagerato per il greco antico, a volte patetico. Mi sembra che il nostro pensiero, non solo la nostra lingua, derivi dalla cultura greca. Quando non capisco qualcosa cerco l’etimo delle parole che la definiscono. Vado alle origini. Lo farei con qualsiasi lingua “prototipica”, con il sanscrito, con l’ebraico. Ma il greco è quella che più sento di conoscere.
*Certo, con tutto il greco che abbiamo studiato insieme! Ma tu hai anche studiato teologia. Cosa cercavi, cosa hai trovato?
Ho fatto il mio ingresso nelle aule di teologia seguendo un docente di bioetica che aveva smesso di insegnare al S. Raffaele e aveva ottenuto una cattedra alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Lì, come accade spesso, per caso ho conosciuto un teologo di grande profilo, Pierangelo Sequeri, conoscitore di vocalità, studioso, musicista, compositore. Ho seguito il suo corso di Teologia Fondamentale e mi sono appassionata all’argomento. Da lì è stato facile seguire gli altri corsi, Antropologia, ebraico biblico, greco biblico sino al master in Cattolica: Bibbia e Cultura europea.. Non sono credente. Sono un cultore dello Spirito.
*Parlaci del tuo incontro con il Cantico dei Cantici che tu hai tradotto e commentato e della differenza, nell’opera, tra l’atteggiamento della donna e quello dell’uomo.
Ho iniziato a studiare l’ebraico proprio per arrivare al Cantico. Ero all’inizio di quella età difficile che è la menopausa, la perdita della capacità riproduttiva. Il Cantico racchiude il mistero della sessualità e dell’attrazione e volevo, in un momento così complicato per me, penetrarvi appieno. I due amanti del Cantico sono di una diversità abissale. Lui, Dodi, è paragonato a un cerbiatto, a un animale veloce e fuggitivo. Lei a una colomba che abita le rocce e gli anfratti dove vivono leoni e ghepardi. La sessualità maschile e quella femminile sono descritte come profondamente diverse. Quella di Amato accudente, quella femminile disperata, violenta, intrusiva. Amata non teme le guardie delle mura, non si vergogna di rivolgere la parola ai pastori, non si vela. Giunge a paragonarsi a una fortezzale le cui torri sono i suoi stessi seni. L’unione tra i due è impossibile, così come è impossibile la comprensione reciproca. Ci si può amare, non capire. Si rimane sempre separati dal monte di Betér.
*Beh qualche volta un po’ di solitudine non è male…
La solitudine è per me un miraggio. Ne coltivo piccoli bocconi a fine giornata quando dico che vado a comprare il pane e il latte e invece me ne sto in un bar da sola a guardare la gente o cammino per le strade. Dire alla mia famiglia “voglio stare sola” suonerebbe una critica alla loro calda e onnipresente vicinanza. Devo svignarmela, senza dare nell’occhio. Lo faccio appena posso.
*E, a proposito di solitudine, come hai vissuto l’essere figlia unica?
Ho una sola risposta: ho fatto tre figli e ne avrei fatti di più.
*Come sono stati i tuoi rapporti con i tuoi maestri?
Stretti e d’amore. Non credo che si ami di più una persona (oltre ai propri famigliari) come un maestro. Gli devi molto, gli devi i dubbi più delle certezze, le mancanze più delle conquiste. Ma senza dubbi e mancanze non si va avanti. Quindi gli devi il tuo futuro.
*E a proposito di futuro, cosa ti sta regalando di nuovo il passare degli anni? Quali nuovi aspetti di te stai scoprendo?
Vorrei dire saggezza, pazienza e comprensione ma non è così. Sto avvertendo con molta sorpresa la mia fragilità fisica, la mia salute scadente. Ciò che più mi ha dato l’età (e i problemi cardiaci) è la coscienza che potrei sparire da un momento all’altro e che anche un piano di scale può diventare una barriera insormontabile. Una conquista però l’ho raggiunta. Non sono più interessata a essere stimata, ammirata o apprezzata. Sono come diventata indifferente al giudizio degli altri. Credo sia il primo gradino per la vera libertà. Sto diventando una vecchia bizzarra, di quelle che se ne vanno in giro vestite a caso e dicono quello che pensano a tutti.
*Mamma, moglie, medico, formatrice, regista: e Silvia?
La tua compagna di banco, quella che tu conosci benissimo.