E’ comunemente accettato il concetto che la morte sia un evento da vivere con tristezza e abbattimento
Finché fu bimba, ogni volta che papà accendeva la TV per ascoltare le notizie del telegiornale, lei ne fuggiva lontana: non sopportava di dover ascoltare la parola UCCIDERE, specie se declinata sulle quantità. Seppur di formazione cattolica praticante, aborriva la giaculatoria:
12 dicembre 1969: diciassette civili uccisi in piazza Fontana, ora pro nobis,
22 luglio 1970: strage di Gioia Tauro, sei civili uccisi, ora pro nobis,
7 gennaio 1971: ucciso l’operaio Gianfranco Carminati, nell’Incendio della Pirelli-Bicocca, ora pro nobis,
17 maggio 1972: ucciso Luigi Calabresi, ora pro nobis,
12 aprile 1973: Giovedì nero di Milano, un ucciso, ora pro nobis,
28 maggio 1974: strage di piazza della Loggia, otto civili uccisi, ora pro nobis, e 4 agosto: strage dell’Italicus , dodici civili uccisi, ora pro nobis, ora pro nobis,
2 novembre 1975: ucciso Pier Paolo Pasolini, ora pro nobis,
16 dicembre 1976: bomba di Piazzale Arnaldo, un civile ucciso, ora pro nobis.
Allontanarsi da quelle giaculatorie significava anche allontanarsi dal quel corpo protettivo e se ne dispiaceva. Per causa dei giornalisti, non gradiva dover rinunciare al suo diletto papà in poltrona, lei sdraiata lungo le sue gambe da tennista distese e sollevate sulla sedia modello Chiavari, la mano di lui appoggiata colomba sui soffici capelli di bimba. Così, un bel giorno, invece di rinunciare al papà, decise di rinunciare alla parola ucciso. Prese i tappi di cera dal cassetto del comodino di mamma e turò le orecchie.
Da adulta, aborrire la parola UCCISO diventò maestro della sua vita. Decise di accendere la TV solo per la visione di film d’amore e fantasia, romantici e sognatori, happy end e go lucky. Non era di grandi pretese, desiderava solo pace e fratellanza universali, non solo per sé, ma per tutti. Eppure, per quanti sforzi facesse di rimanere all’oscuro, veniva a sapere ugualmente dell’abisso in cui sprofondava il mondo. Ci pativa. Non sapeva come fare per.
Poi verso i cinquant’anni, capì che solo trasformando la sua vita, facendo delle sofferenze il suo arricchimento interiore per la sua felicità e quella del vicino, è la rivoluzione possibile. Incarnare il cambiamento che avrebbe voluto nella Società. Morì felice.