Alessandra Calvani afferma che le sue collezioni costituiscono delle sequenze formali autonome che cercano di qualificare il corpo nel suo rapporto con lo spazio e il corpo è parte inscindibile dell’abitare. E’ in questo senso che considera i suoi gioielli oggetti di design. Questo è il suo modo di fare architettura.
Alessandra mi apre le porte del suo atelier con un largo sorriso accogliente e rassicurante. Il luogo del suo progettare si trova all’interno di una curiosa area urbana, un vero e proprio esempio di archeologia industriale piuttosto inconsueto per la città di Roma.
Lo studio di Alessandra – mi racconta – era occupato da una ex fonderia sorta nei primi anni del ‘900 e l’atmosfera del luogo mantiene in qualche misura la vocazione delle sue origini, sebbene il sapiente recupero architettonico dell’intero complesso ne conferiscano un allure assolutamente contemporaneo. Quando lo vide per la prima volta fu “amore a prima vista” e lì per lì non avrebbe immaginato di stabilire proprio in quel luogo la nuova sede del suo brand. All’interno la superficie è suddivisa in due ampie sale che esaltano il senso d’intimità degli ambienti, celebrando al tempo stesso l’immagine contemporanea delle collezioni di Alessandra, gioielli in cui balza agli occhi con assoluta evidenza il processo progettuale che governa la creazione, dalla ricerca formale agli accostamenti cromatici, fino alla meticolosa ricerca dei materiali e delle tecnologie per realizzare il prodotto finale. Ne derivano bijoux concettualmente eccentrici dalle nuances sovrapposte che talvolta creano sfumature inedite. Appassionata di fotografia, Alessandra spesso prende appunti attraverso i suoi scatti di dettagli architettonici ed innesca il processo progettuale che approda alla creazione di vere e proprie architetture da indossare.
SEI STATA INCORAGGIATA DALLA TUA FAMIGLIA NELLA SCELTA DI STUDIARE ARCHITETTURA?
Ho il ricordo vivissimo di una lunga passeggiata al mare in chiacchiere con mio padre. Lui sosteneva il mio desiderio di iscrivermi alla Facoltà di Architettura, ma io sapevo che il suo incoraggiamento era in parte frutto di un suo vissuto quando dieci anni prima aveva fermamente dissuaso mia sorella dallo stesso desiderio. Questo succedeva a metà degli anni ’70 quando nella cultura borghese corrente l’architettura e l’ingegneria erano studi fortemente legati al progetto edilizio, al cantiere e dunque sostanzialmente “roba da uomini”. Nei dieci anni successivi il doppio salto mortale compiuto dalle donne per l’affermazione delle proprie libertà aveva profondamente cambiato lo scenario e fortunatamente anche mio padre era cambiato. Tuttavia mia sorella sostiene da sempre di essere l’unica paladina della mia scelta!
ARCHITETTO O ARCHITETTA?
Non ho mai pensato a questa differenza ma il termine “architetta” mi diverte e dunque perché non usarlo?
COSA SIGNIFICA PER TE FARE ARCHITETTURA OGGI
Sappiamo molto bene che dalle Avanguardie in poi si è sviluppata un’idea di circolarità nelle discipline artistiche.
Possiamo passare dalla casa di Wittgenstein a Vienna alle matrici tessili di Sonia Delaunay o al lavoro di Annie Alberts operando semplicemente un salto di scala. Nel mio ambito, le creazioni dell’orafo e artista Giampaolo Babetto ne sono la prova e il suo metodo progettuale lo rende realmente un architetto contemporaneo. Nel mio lavoro cerco di non perdere mai di vista questo tipo di approccio. Penso che le mie collezioni costituiscano delle sequenze formali autonome che cercano di qualificare il corpo nel suo rapporto con lo spazio e il corpo è parte inscindibile dell’abitare. E’ in questo senso che considero i miei gioielli oggetti di design.
Questo è il mio modo di fare la “mia” architettura.
A CHI TI ISPIRI?
Mi ispiro alla vista, all’osservazione. Parto da tutto ciò che passa davanti ai miei occhi cercando di liberarmi dalla trappola delle abitudini ottiche. Inconsapevolmente i miei occhi indagano, cercando di cogliere delle sintesi generatrici nella casualità del quotidiano. In questo mi aiuta molto la fotografia con cui ottengo dei layout per elaborare delle mie sequenza geometriche che rappresentano l’essenza dei miei oggetti.
CHE COS’E’ PER TE LA BELLEZZA?
Per me la bellezza è un cerchio che si chiude, è l’accostamento armonico di elementi non necessariamente omogenei tra loro. La bellezza è qualcosa che si compie e quando è compiuta dà la sensazione di essere sempre stata lì. Un oggetto è bello quando non offende e non pretende di imporsi ma ti attira e si accontenta persino di passare inosservato come l’eleganza che, diceva Audrey Hepburn, è l’unica bellezza che non sfiorisce.
COME CONTESTUALIZZI LA SENSIBILITA’ FEMMINILE IN ARCHITETTURA?
Nella capacità di risolvere problemi di piccola e grande scala con spirito di adattamento ed elasticità mentale. Credo siano doti prettamente femminili che le donne mettono in pratica quotidianamente.
AFFERMARSI PROFESSIONALMENTE E’ PIU’ DIFFICILE PER LE DONNE ARCHITETTO?
Direi che i livelli di difficoltà sono molteplici: il primo è affermarsi professionalmente oggi, il secondo è farlo in quanto architetto e il terzo è farlo in quanto donna.
Diventa dunque fondamentale un presupposto che è quello di volerlo fare veramente.
Ovviamente questo mestiere è sempre stato prevalentemente maschile, ma attualmente i numeri nelle Facoltà di Architettura, oltre ad essere cresciuti esponenzialmente, si sono capovolti e le iscrizioni femminili sono maggiori di quelle maschili. Sinceramente non mi preoccuperei troppo di questo, perché a passi lenti anche l’Italia sta progredendo verso un’idea di parità sul lavoro. Con certezza si andrà risolvendo tutto, anche se non è facile interfacciarsi con un mondo che è quello del cantiere, popolato per di più da maestranze di culture molto diverse e, spesso, purtroppo ancora più arretrate proprio su questo tema.
Personalmente non ho mai vissuto nulla di tutto ciò. Nel mondo del gioiello contemporaneo la differenza di genere è totalmente irrilevante.
SEI MAI STATA DISCRIMINATA DURANTE LA TUA CARRIERA?
Fin dall’inizio della mia attività, ancor prima di finire Architettura, ero certa che questa passione sarebbe diventata realmente il mio lavoro. Lo desideravo con tutta me stessa, ma ero la sola a prendermi così sul serio. La credibilità altrui è venuta dopo ma all’inizio, presuntuosa com’ero, mi sentivo oggetto di discriminazione. Fortunatamente la mia famiglia mi ha sostenuta sin dall’inizio della mia avventura.
QUAL E’ IL PROGETTO ARCHITETTONICO CHE TI E’ RIMASTO NEL CUORE?
Nel 2009 ho partecipato al workshop di Giampaolo Babetto sulla progettazione del gioiello geometrico. In quell’occasione ho realizzato un anello in argento e pigmenti. Ero l’unica architetta del gruppo e l’unica non orafa di formazione. E’ stata un’esperienza indimenticabile di confronto e scambio con i miei compagni ma con la supervisione del nostro grande Maestro. Quell’anello è la sintesi di tutto questo.
COSA PENSI DELL’ATTUALE SITUAZIONE PROFESSIONALE DELLE DONNE ARCHITETTO?
Generalizzerei questa domanda perché credo sia difficile affermarsi professionalmente sia come architetto che come architetta. Architettura è una di quelle facoltà che maggiormente si è aperta al flusso dell’università di massa, ma a questo incremento non corrisponde una realtà lavorativa. Ed è proprio lì che esiste la vera disparità. La discriminante per aprire un’attività in proprio è senza dubbio l’estrazione sociale. Se non si può far conto su una buona base economica e sulla frequentazione di ambienti di un certo livello, è molto difficile intraprendere autonomamente questa carriera e dunque inizia la trafila degli stage non retribuiti che può durare anche molto tempo. Negli anni Trenta architettura era una facoltà classista, facevi l’architetto se eri figlio di architetti o se eri comunque molto in alto nella scala sociale e paradossalmente oggi è la stessa cosa. Oggi la necessità di un architetto è sempre meno sentita, perché non riconosciuta e non compresa, nonostante tutti vivano in uno spazio domestico e in una città, difficilmente ne sanno leggere le qualità. Questo è molto grave, perché stiamo vivendo un periodo di deprivazione culturale piuttosto evidente, voluto dalla politica e assecondato dalla cultura dell’immateriale.
CHE RAPPORTO HAI, NEL TUO LAVORO DI ARCHITETTO E NEL QUOTIDIANO, CON LA TECNOLOGIA?
È un rapporto strettissimo e necessario. Soltanto grazie alla tecnologia trovo soluzioni e piccole astuzie per realizzare i miei progetti. L’uso della tecnologia è strettamente legato all’atto creativo e per un designer è fondamentale lavorare a stretto contatto con bravi tecnici. Uso la tecnologia per comunicare il mio lavoro e per tenermi aggiornata sul lavoro dei miei colleghi che vivono in ogni parte del mondo e molti di loro sono divenuti miei cari amici.
Evviva Facebook!!
COME E’ ORGANIZZATO IL TUO LAVORO, COSA RIESCI A DELEGARE E COSA SEGUI PERSONALMENTE?
Solitamente stabilisco un piano di lavoro settimanale ma le mie mansioni sono talmente tante e gli imprevisti all’ordine del giorno che difficilmente rispetto la programmazione stabilita. Tendo a seguire tutte le fasi del mio lavoro, dall’ideazione alla commercializzazione dei miei prodotti. Non potrei fare diversamente perché tutto è parte di un progetto. I miei collaboratori si occupano principalmente della produzione e della comunicazione grafica ma lavorando sempre a stretto contatto con me. Caratterialmente ho difficoltà a delegare.
QUALE E’ STATO IL TUO APPROCCIO NELLA GUIDA DEL TUO STUDIO?
Cerco di motivare i miei collaboratori, cercando sempre di trasmettere la passione per questo lavoro, sostenendo il progetto comune. Le persone lavorano con me e non per me. Ho collaborazioni fisse e a progetto e il mio studio è sempre un work in progress!
CHE SUGGERIMENTO DARESTI ALLE GIOVANI COLLEGHE? CONSIGLIERESTI A UNA RAGAZZA DI ISCRIVERSI AD ARCHITETTURA?
È sempre valido il consiglio di seguire le proprie passioni e le proprie inclinazioni. Ma in ragione delle considerazioni fatte sul mondo lavorativo, credo che si debba mettere in guardia un po’ tutti coloro che si iscrivono ad architettura.
Il fascino di questo tipo di studio sta nella sua ampiezza. Ho sempre pensato che chi ha una formazione da architetto potrebbe fare potenzialmente qualsiasi cosa nella vita. Perché aldilà di essere un tipo di studio a cavallo tra le discipline tecnico-scientifiche e quelle umanistiche, ti fornisce molti strumenti per interrogarti sulla realtà e osservare un mondo dominato dalle immagini.
Il mestiere dell’architetto poi, se si riesce a praticarlo, è forse uno dei mestieri più belli che esistano perché è un mestiere di buon senso e in questo io lo percepisco come un mestiere necessario a ristabilire dei valori comuni, anche di natura estetica, che fanno parte della nostra tradizione e della nostra cultura specifica
UN OGGETTO DI DESIGN E UN’ARCHITETTURA A CUI SEI PARTICOLARMENTE AFFEZIONATA
La lampada Falkland disegnata da Munari nel 1964 per Danese. Per questo progetto Munari coinvolse genialmente una ditta che fabbricava calze in nylon da donna. Il tema della decontestualizzazione dei materiali mi affascina molto
Un’architettura? Non ho dubbi, casa Tugendhat di Mies van der Rohe a Brno. Solamente da una struttura regolare, come lui sosteneva, può nascere la “pianta libera” in grado di risolvere tutti i problemi concreti dell’abitare. Lo spazio non è chiuso né aperto ma è uno spazio “fluido” e le possibilità infinite. Gli elementi architettonici sono pochissimi e la scelta dei materiali sorprendente. Creare una struttura regolare di partenza intesa come costruzione logica è da sempre la base progettuale per tutte le mie collezioni di gioielli. Composizioni spaziali che entrano in relazione con il corpo.
SUL TUO TAVOLO DA LAVORO NON MANCA MAI…
Sicuramente il disordine. C’è un tempo per tutto: prima il disordine, poi l’ordine ma quest’ultimo arriva solo quando ho chiara la strada da intraprendere. Per me il disordine è congeniale alla creatività. Anche l’accostamento casuale dei materiali selezionati sul tavolo da lavoro può far nascere un’idea che mi sorprende.
UNA BUONA REGOLA CHE TI SEI DATA?
Non entrare mai in competizione con i miei colleghi. Noto che molti sono ossessionati dall’idea di essere copiati ma gli stimoli e le ispirazioni non si copiano perché viaggiano liberamente da una testa all’altra e sono in continuo mutamento.
IL TUO WORKING DRESS
Non c’è mai una regola ma per il colore scelgo quasi sempre il nero.
Il mio studio è anche uno showroom aperto al pubblico e dunque vestirmi di nero mi aiuta ad esaltare al massimo i colori dei gioielli da mostrare ai miei clienti.
CITTA’ O CAMPAGNA?
Non ho dubbi, la città. La campagna mi piace solo per brevi periodi ma non riesce a distrarmi e spesso ho tanto bisogno di uscire dai miei pensieri e distrarmi da me stessa.
QUAL E’ IL TUO RIFUGIO?
La mia famiglia
ULTIMO VIAGGIO FATTO?
Recentemente ho scoperto l’arte rupestre in Valcamonica. Immagini di vita quotidiana incise su quelle meravigliose rocce che sembrano enormi lavagne curvilinee. Le prime risalgono a diecimila anni prima di Cristo. La mente si perde.
IL TUO DIFETTO MAGGIORE?
L’impazienza. Vorrei sempre tutto e subito che a volte mi porta al non ascolto di me e degli altri. Peccato!….mi perdo qualcosa.
E LA COSA CHE APPREZZI DI PIU’ DEL TUO CARATTERE?
Il senso dell’accoglienza. Mi piace mettere gli altri a proprio agio. E’ importante guardarsi negli occhi con sincerità ed esprimere i propri pensieri senza imbarazzo o timore del giudizio. Parto da un pensiero: se tu mi accogli, io mi fido di te e questo accade spessissimo e ne sono molto felice.
UN TUO RIMPIANTO?
Non aver mai vissuto l’esperienza dello studente fuori sede che ha possibilità di vivere e sperimentare diversamente i luoghi e le relazioni in una città come Roma.
WORK IN PROGRESS…?
Proprio in questi giorni è nato un mio piccolo progetto editoriale. Ho voluto festeggiare i miei 20 anni di attività invitando 20 amiche architette a indossare ognuna una collezione per ogni anno. Ne è nato un catalogo fotografico dal titolo 20x20x2. In questo momento non riesco a pensare ad altro e sono troppo emozionata per questo nuovo progetto.
Non ho figli ma forse questo catalogo un po’ lo è.