Sarebbe riduttivo definirla “una gattara”, le si addice di più “nume tutelare dei gatti”, perché, ascoltando la sua inclinazione a proteggere il gregge, rende sacro il suo compito, vivendolo come una scelta di vita in cui gli umani non occupano di certo un posto in primo piano.
Una leggenda Irlandese dice che gli occhi di un gatto sono finestre che ci permettono di vedere dentro un altro mondo. Credo che Letizia Montanari, da sempre detta Tizzi, veda proprio un altro mondo negli occhi dei suoi innumerevoli gatti. Quell’altro mondo nel quale ha sempre amato rifugiarsi, non per scappare ma per dare un senso alla vita. Perché non si è mai accontentata di quel significato apparente di chi non sa che domande porsi e raccoglie solo risposte preconfezionate, superficiali ed effimere.
Ma chiudersi in un mondo egoriferito non ha mai fatto per lei, sempre pronta a battersi per i suoi ideali e ad arrampicarsi su qualunque barricata che le stia sbarrando la strada. Ogni strada di cui si innamora è ”la sua strada” e guai a chi le voglia impedire di camminarci sopra e di costruire ponti, ma solo dove vuole lei.
Per questo Tizzi mi è sempre piaciuta e, ora che la ritrovo dopo tanti anni, mi piace ancora di più, perché da tempo ha individuato il suo compito e lo sta svolgendo con amore e con determinazione, salvare i gatti in difficoltà e darli in adozione. E, ovviamente, conviverci.
Ma sarebbe riduttivo definirla “una gattara”, credo che le si addica più “nume tutelare dei gatti”, perché Tizzi, ascoltando la sua inclinazione a proteggere il gregge, rende sacro il suo compito, vivendolo non certo come un hobby né come una qualunque forma di volontariato ma come una scelta di vita in cui gli umani non occupano di certo un posto in primo piano. E’ più immediato per lei decifrare gli stati d’animo dei suoi otto gatti con cui ora convive e di tutti quelli di cui si sta occupando da anni.
Con un intuito e una capacità di ascolto molto ben sviluppati, Tizzi sa accudire donando, in quell’accoglienza disinteressata, tutta se stessa. E ogni volta che si deve separare da un suo gatto, dopo avere minuziosamente analizzato la situazione, lo affida all’universo dove sa che tutto il bene ritorna sempre come bene e dove le sue creature sono certamente al sicuro. In lei la lotta e il riposo nel suo mondo interiore sono sullo stesso piano, l’una funzionale all’altro, entrambi conquista quotidiana mai data per scontata
Autrice della raccolta di racconti “Abra-cat-abra” mi ha dato il permesso di pubblicarne uno a Dol’s:
“Nei carrugi profumati di basilico e ombra silvana, abita un gatto. E’ un bel gatto rosso, con una pettorina bianca. E’ un gatto solitario, molto filosofo, i grandi occhi dorati sempre perduti nei meandri dei suoi pensieri, tortuosi come le vie dell’antico borgo medievale che si diletta a percorrere, con passo flessuoso e tranquillo. E’ un gatto di magia sicuramente, chè nel manto rossiccio ricorda i bagliori di un rogo acceso quattrocento anni fa. Ogni anno infatti, quando il sole arriva all’apogeo e le notti si fanno brevi e incantate, Marlin annusa nell’aria l’arrivo della sua basura d’elezione. La basura arriva da lontano e si ferma per alcune settimane nella piccola casa delle fate dove conserva con cura i pensieri più cari e sacri. Chi avverte Marlin di quella presenza piuttosto segreta se non la vibrazione ancestrale che lega la Donna al Gatto? Con stupore di tanti che vengono da lui sfuggiti, Marlin si presenta puntuale pochi minuti dopo il suo arrivo. E così ogni giorno, ogni mattina, quando la donna apre all’alba la porta, lui si fa trovare per miagolarle un buon giorno, offrire il pelo umido di rugiada vagabonda al palmo della mano di lei e gioviale consuma una rapida e abbondante colazione, prima di andarsene con un altro miagolio, sparendo giù per le scalette ripide della rocca medievale. Prima di scendere il primo gradino, si volta e rivolge un sorriso da Gatto del Cheshire alla sua basura. E’ un gatto picaro, narratore di bellissime storie che parlano di erbe medicinali, viaggi notturni, strane formule mormorate ai piedi di un letto di malattia. Conosce tutti e tutti lo conoscono. Ma non è il gatto di nessuno. Solo per qualche settimana all’anno, lui è il Gatto della Basura. Il gatto della Strega”
Questa é Tizzi. Da bambina dolce e volitiva, da ragazza icona di bellezza senza mai essersene accorta, la ritrovo ora Donna più che mai e per questo la accolgo con gioia tra le altre Donne Eccellenti che potete trovare qui, perché anche lei é una Donna con la maiuscola..
*Quali sono i punti di contatto e le differenze tra la tua filosofia di vita e quella di un gatto?
Potrei tranquillamente risponderti: “Buongiorno, mi chiamo Letizia e sono un gatto”.. almeno, mi sto sforzando di diventarlo a tutti gli effetti. Ammiro dei gatti la grande capacità di indipendenza, la loro inclinazione nel saper cogliere il lato positivo e pratico delle situazioni e al tempo stesso il legame alla routine. Il gatto è un filosofo e io spero un giorno di acquisire la sua serenità di visione della vita
*Come è nato e come è cresciuto il tuo amore per i gatti?
Sono nata da una famiglia di gattare da parte paterna. La mia bisnonna Clarice li adorava. Ho sempre desiderato avere un gatto da piccola, ma non è stato possibile. Dopo il primo divorzio, rimasta sola a 27 anni non ho più cercato gatti, sono stati loro a trovare sempre me. Il primo era un meraviglioso simil certosino salvato dalla strada, ancora lattante, Porfirio. Ora all’età di quasi 65 anni ho in casa otto gatti meravigliosi e tutti i gatti di cui mi sono occupata nel corso degli anni salvandoli, curandoli e facendoli adottare.
*E come è stata la tua vita con Porfirio?
Con Porfirio ho trascorso 12 lunghi e brevissimi anni, solo lui e io. Porfi era molto possessivo nei miei confronti. Con lui, una magica sintonia telepatica, ci capivamo senza nemmeno “parlarci” . Quando morì, caddi nell’errore classico di chi è straziato dalla perdita del suo migliore amico: decisi di non avere più gatti. Ma dopo quattro mesi, ogni volta che rientravo nella casa vuota e silenziosa, mi sentivo straniera in patria. Così, per il mio quarantesimo anno, accolsi in casa una gentile femminuccia grigia, Giselle. Dopo di lei arrivò Edison, trovato per strada mentre tornavo da scuola, un sabato di novembre e poi via via tutti gli altri. Ero giovane e purtroppo ancora non avevo compreso che la mia natura mi porta a vivere completamente padrona di me stessa.
*Dici “purtroppo” quindi vuoi dire che a questo punto hai in qualche modo tradito il tuo bisogno di indipendenza?
Si, mi sono sposata una seconda volta, con un uomo che sembrava assecondare tutti i miei interessi e tutte le mie passioni. I primi anni sono stati un bel sogno anestetizzato. Per quel sogno ho rinunciato a buona parte della mia indipendenza e intraprendenza, appoggiandomi, troppo, su mio marito. Invecchiavo e non me ne accorgevo. Era la mia anima che invecchiava e perdeva lo smalto ribelle che è la sua principale caratteristica. Nel 2004 morì mia madre, e per me fu un colpo durissimo, l’ho vista morire giorno dopo giorno e spegnersi come una candelina, dopo un anno e mezzo, tra le mie braccia. Ma rimaneva mio padre, l’unico uomo che non mi abbia mai tradita. Ho passato sei anni parlando con lui, discutendo, litigando, ridendo. Quando se ne è andato nel 2010, mi sono ritrovata smarrita e tremante, come una bambina perduta nel bosco delle sue paure.
*Ma avevi ancora tuo marito con te?
Proprio in quel momento, alla morte di mio padre, mio marito si è staccato da me. Non capivo, cercavo di capire che cosa stesse accadendo. Ovviamente c’era un’altra donna. Cominciava così un estenuante tiro alla fune. Ho combattuto come una tigre per quasi un anno. Poi, il 18 di novembre del 2011 sono caduta per strada. Ho rotto la testa del femore e sono stata operata. Mi hanno inserito tre mezzi di sintesi nella testa del femore E sono diventata invalida per sei mesi. Non potevo più camminare senza stampelle né uscire di casa, non avendo ascensore. Il due gennaio 2012, lui se ne è andato di casa, abbandonandomi al mio destino.
* Ti ha lasciata sola in quella situazione?
Si, e non è stato facile, no, non lo è stato per niente, ritrovare il filo conduttore della mia vita. Ho rifiutato di prendere antidepressivi, anche se ne avrei avuto bisogno, ma mi ripugna farne uso. Ho passato lunghe notti insonni, scrivendo per me stessa mentre cercavo di dipanare quel gomitolo di rabbia e dolore. Dormire a letto era impossibile per i dolori atroci al femore. Sonnecchiavo un paio di ore in poltrona. Unica compagnia i miei gatti. E la badante che ogni giorno veniva a casa per fare la spesa e aiutarmi a pulire. Mi sono immersa ancora di più nel volontariato, cercando in esso una ragione di vivere. Ci sono voluti quasi sei anni per uscire dal pozzo buio, sei anni nel corso dei quali ho subito tante delusioni da persone che reputavo amiche e che invece hanno sfruttato il mio desiderio di aiutare e anche di essere aiutata. Tutte persone nell’ambito del mondo del volontariato.
*Cosa pensi di questo mondo, quando si incarna in grosse associazioni come, ad esempio, Greenpeace?
Per quanto posso giudicare dell’operato di Greenpeace, direi che stanno facendo un buon lavoro, spero solo che come tutte le grosse organizzazioni non si lascino fagocitare dal sistema. Confesso che di base sono un po’ anarchica concettualmente e le grosse organizzazioni spesso crollano sotto il peso della loro stessa struttura. Troppe teste, molto caos. E spesso troppi interessi finanziari che fanno perdere di vista l’obiettivo principale, vale a dire aiutare. Una grossa organizzazione è sotto le luci della ribalta, si pecca spesso di mania di protagonismo e smania di potere. Le piccole associazioni funzionano finché si è in pochissimi a lavorare, pur chiaramente faticando a mantenersi a galla finanziariamente. Chi intraprende questa strada con coscienza pura, deve sapere che mai avrà potere e che molto frequentemente dovrà mettere di tasca propria il necessario per aiutare. Ma gli umani sono così. Per questo motivo ho deciso di condividere la mia vita e le mie emozioni solo con i gatti, dedicando ogni mio pensiero a loro che capisco e dai quali vengo capita.
* Come comunicate tra voi?
Il linguaggio che uso con loro è mediato da una specie di anello di Re Salomone che mi mette in sintonia con le loro vibrazioni. Con pazienza e amore si possono decifrare i loro stati d’animo senza interferenze. E’ un po’ quello che dice un vecchio detto iniziatico “Se vuoi sapere che cosa è cavallo, fatti cavallo”. Ora all’età di quasi 65 anni ho in casa otto gatti meravigliosi, con i quali felicemente vivo con una routine che a altri può sembrare noiosissima ma che per me è fonte di serenità e sicurezza, e ho in me tutti i gatti di cui mi sono occupata nel corso degli anni salvandoli, curandoli e facendoli adottare.
*C’è tra te e i tuoi gatti una comunanza di linguaggio gestuale e comportamentale?
Non è difficile “parlare” con loro. Basta sapersi mettere in sintonia con la loro aura vibrazionale. Io guardo i miei gatti come farebbe un altro gatto, senza sfidarli. Mi avvicino a loro senza essere brusca, mi rivolgo a loro con voce gentile. Non li tratto come esseri inferiori, ma come anime pure che hanno preso una forma meravigliosa. Ho appena adottato il mio ultimo micio, un gattino nero abbandonato in strada. Lo hanno recuperato moribondo, la carne mangiata fino a quasi l’osso dalle larve delle mosche. Ha perduto un occhio. E’ arrivato da me terrorizzato. Ora dopo quattro mesi, Tenshi Komorebi (che in giapponese significa l’angelo del sole che filtra tra i rami degli alberi) corre da me quando lo chiamo e si fa accarezzare. Non vuole ancora essere preso in braccio, né essere baciato sulla testa. Ma mi chiama con la zampina e mi fa fusa sonorissime. E’ chiaramente felice ogni volta che mi vede
*Cocteau sosteneva che la differenza con i cani è che non esistono gatti poliziotto. Sapresti spiegarci il perché?
Cocteau era un grande gattofilo e sicuramente un antispecista come me. Io amo tutti gli animali, ma il mio totem è sicuramente il gatto con il quale ho quella comunanza di linguaggio gestuale e comportamentale di cui stiamo parlando e che non ho con i cani. Posso garantire di aver avuto gatti da guardia molto più determinati di tanti cani. Quanto al mestiere di poliziotto, direi che non è adatto al gatto che per indole non si impegna a difendere altro che il suo territorio e la prole.
*Secondo te l’essere umano si merita l’amore dei gatti?
Gli umani non si meritano in generale l’amore di nessun animale. Fondamentalmente a mio avviso perché non sanno ascoltare quello che queste creature trasmettono. L’umano standard si crede “padrone” del creato. E sbaglia enormemente. I delitti degli umani nei confronti dei gatti e di tutti gli altri animali sono molteplici e tutti dovuti a presunzione, egoismo e crudeltà.
*Da dove nasce questo antropocentrismo?
L’uomo ha la pesante responsabilità di essere stato dotato del cosiddetto libero arbitrio, ma ha mal interpretato quello che Jehova gli disse nella Genesi “ Tu avrai il dominio sul creato” Questo dominio non significa, a mio avviso la libertà di commettere delitti sia nei confronti dell’habitat che degli animali. Per dominio si intende la capacità di prendere per mano il creato e di condurlo lungo la strada di una celeste evoluzione. L’uomo ha fallito e continuerà a fallire, non avendo capito tutto questo
* Ritornando al volontariato, hai dato vita alla Associazione Gatti Non Parole. Di cosa si tratta?
L’Associazione Gatti Non Parole è nata tre anni fa, dalla mia precisa convinzione che un lavoro di squadra sia sicuramente più proficuo dell’impegno di un singolo. Il nome è dovuto al mio spirito molto pratico, di taglio americano, indicando l’impegno immediato nei confronti di un’emergenza. Operiamo su tutto il territorio italiano e anche all’estero. Ci preoccupiamo di diffondere, trovare contatti in loco, recuperare i gatti, farli curare, inviamo aiuti finanziari se i gatti non si possono spostare, organizziamo staffette, promuoviamo adozioni, ci occupiamo dei preaffidi. Una delle mie gatte, Zoe, arriva dagli Stati Uniti, salvata dalle camere a gas. La nostra associazione nasce della pagina la Bancarella di Toshi, aperta sei anni fa dopo la morte di Toshiro, il mio adorato e indimenticabile Orientale, volato via a soli tre anni
* Ho letto su Fb un tuo post in cui definisci il volontariato come il tuo amante..
E’ stato il ricordo di Toshiro a spingermi a diventare sempre più operativa nel volontariato, un mondo molto difficile in cui muoversi, ma il mio mondo a tutti gli effetti, il mondo che ha dato la motivazione finale alla mia vita. Un amante, se così possiamo definirlo, di gestione alquanto impegnativa, con il quale ho un rapporto a volte complicato in quanto, per la struttura stessa dell’associazione, mi costringe a interagire con gli umani, un genere con il quale non vado sempre d’accordo. Ma, a volte rimango stupita e commossa dalla solidarietà che anche loro riescono a dimostrare.
*In cosa ti ha cambiato il volontariato?
Il volontariato non mi ha cambiato, ha solo affinato le mie caratteristiche di base, soprattutto, e in questo mi considero un cane da pastore, la necessità di proteggere il gregge.
* Come si manifesta in te questa necessità di proteggere il gregge?
Questo atteggiamento da cane da pastore mi deriva sicuramente dai quarant’anni vissuti in cattedra. Per i miei ragazzi ho sempre cercato di rappresentare un punto di riferimento, l’adulto responsabile e corretto. Mi piaceva insegnare inglese, ma quello che più mi piaceva insegnare loro era un metodo di ragionamento, la capacità di saper affrontare un problema e risolverlo. Non sono mai stata materna con loro, non era questo il mio ruolo. Ma alcuni di loro li ho veramente amati, come individui, non come figli e ho cercato di trasmettere loro tutti i trucchi del mestiere, facendoli appassionare all’esercizio della bella traduzione in italiano, avendo lavorato io per quasi trent’anni anche come traduttrice Mondadori, incitandoli sempre a superare il maestro.
* Possiamo dire che tuoi allievi siano stati un po’ come sono oggi per te i tuoi gatti?
Si, in fondo li ho trattati un po’ come tratto i miei gatti: con rispetto, senza mai fare pesare una presunta superiorità. Magari con i ragazzi, dovendo per mestiere fare rispettare le regole, sono stata un pochino più severa. Con i miei gatti lo sono pochissimo, perché siamo come dei bambini in un parco gioco insieme.
* Immagino che tu sia vegana o vegetariana. Giusto? .
Sono assolutamente vegetariana da quasi trent’anni, una scelta iniziatica e morale. Ho seguito un Maestro per anni e ho studiato a lungo il pensiero dei Maestri del passato; dal ragionamento e dall’affinamento del pensiero è scaturita la consapevolezza che la scelta del vegetarianesimo era corretta moralmente
*C’è un gatto che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
Ho una specie di ipetrofia cardiaca che mi consente di tenere nel cuore tutti i gatti che mi hanno lasciato. Toshiro è qualcosa più di un gatto, è il mio spirito guida. Il mio Daimon.
*Cosa intendi per Daimon?
Per Daimon intendo quella presenza indicata da Marco Aurelio nei suoi scritti, non un angelo custode, bensì l’essenza della tua stessa coscienza trasfusa in un essere celeste.
*E se parliamo di umani, chi ti è rimasto nel cuore?
Pochi umani mi sono rimasti nel cuore. Primi fra tutti i miei genitori. . E di pochissimi vivi. Ma cerco di avere un rapporto distaccato da ognuno di loro. Posso sembrare arida, ma il dolore è gelo e secca il terreno su cui si posa
*Cosa è restato oggi in te della Tizzi bambina?
Della Tizzi bambina, ringraziando Iddio, mi è rimasto moltissimo a dispetto delle ferite della vita. La capacità di isolarmi nella mia mente e viaggiare senza problemi e sapere stare da sola senza soffrire di solitudine. L’amicizia e l’amore mi hanno profondamente delusa. Ora sono io la mia migliore amica.
*-Dai tuoi quindici anni in avanti sei stata il simbolo della bellezza per chi entrava in relazione con te. Come si diceva “tipo Twiggi” si diceva anche “Tipo Tizzi”. Ne eri consapevole?
Guardo nel ricordo la ragazza che non c’è più e mi fa una grande tenerezza, ma a volte vorrei sgridarla un po’. Non mi sono mai sentita bella, anzi forse proprio il contrario. Ora vedo che lo ero. E a quella ragazzina dico che non deve fidarsi ciecamente degli umani perché la maggior parte di loro sono insinceri e poco limpidi. Lei è diventata la figlia che non ho avuto e io subisco la sorte dei genitori che vorrebbero proteggere il loro bambino, pur sapendo che l’unica maestra di vita è la vita stessa. Lo vorrei dire a tutti i ragazzi oggi, direi loro quello che avrei dovuto dire a me stessa, ma risulterei noiosa. Si insegna più con l’esempio che con le parole.
*Cosa significa per te il tempo che passa?
Con il passare del tempo e l’avvicinarsi della vecchiaia ho guadagnato la libertà che non avevo prima. E sono molto più serena nell’accettazione di uno stato diverso della mia vita. Ora sono finalmente libera dalle pastoie che mi costringevano ad abbozzare quando qualcosa non mi andava. Posso dire e fare quello che mi va, senza cercare approvazione e consenso. E sono molto più serena nell’accettazione di uno stato diverso della mia vita. Sento di assomigliare, e spero migliorata, a una mia presenza in una vita precedente. Ma sono unica. Credo di avere sviluppato il senso dell’intuito e quello dell’ascolto. Sicuramente anche quello dell’accudimento. Per fortuna ho il dono della sintesi, altrimenti dovrei cambiare mestiere. Non è possibile interagire nel mondo del volontario senza impazzire se non si ha la capacità di sintesi. E cerco di tenere a bada l’empatia, sempre per lo stesso motivo.
A me sembra che tu di empatia ne abbia a vagonate!!! Grazie Tizzi!