L’Italia, dopo la tornata elettorale del 4 marzo 2018, continua a non essere un Paese per Donne.
di Isa Maggi
L’Italia, dopo questa tornata elettorale, continua a non essere un Paese per Donne.
L’invito rivolto ai candidati e alle candidate a sottoscrivere ed adottare Il Patto per le Donne, il documento politico delle donne, costruito trasversalmente a cura degli Stati Generali delle Donne e del Comitato scientifico, è stato molto partecipato. Continueremo il nostro lavoro con chi è stato eletto/a e nelle altre Regioni che andranno al voto a maggio e in ottobre. Il Patto per le Donne è il risultato di un lavoro collettivo, frutto dell’impegno di tantissime donne che in ogni Regione italiana lo hanno costruito dopo un lungo lavoro di ascolto e di confronto. Il Patto contiene l’elenco delle azioni da realizzare per permettere finalmente all’Italia di diventare un Paese per Donne.
Il Global Gender Gap Index 2017, del World Economic Forum, vede infatti l’Italia all’82esimo posto su 144 Paesi analizzati, e addirittura al 117esimo posto quando consideriamo la dimensione economica. Occorre comprendere che l’enorme vantaggio dell’occupazione femminile è che crea altro lavoro. Le famiglie a doppio reddito consumano molti più servizi delle famiglie monoreddito. Per ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro si possono creare fino a 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi: assistenza all’infanzia e agli anziani, prestazioni per i vari bisogni domestici, ricreazione, ristorazione, turismo, ecc…Molti studi hanno evidenziato che un aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro del 25% entro il 2025 può aggiungere 1% alle previsioni di crescita del Pil.Ma i risultati nazionali e regionali sono ancora lontani dal livello ideale per colmare il gender gap tra uomini e donne per quanto riguarda l’empowerment politico, cosi come più volte segnalato dai dati del World Economic Forum.E’ ormai evidente a tutti e a tutte che garantire un maggiore equilibrio nei luoghi decisionali produce un beneficio non solo alle donne, ma alla società e alla democrazia nel suo complesso.
I RISULTATI DELLE LEZIONI A LIVELLO NAZIONALE
Alla Camera entrano 210 donne su un totale di 630 deputati, il 33%; al Senato ne entrano 107 su 315 senatori eletti, il 34 %.Nel 2013 alla Camera le donne costituivano il 31%, mentre al Senato erano il 29%.I miglioramenti sono davvero minimi. Ci aspettavamo risultati migliori perché il Rosatellum prevede espressamente strumenti per promuovere la parità di genere.I dati migliorano se si considerano solo gli eletti all’uninominale: alla Camera entrano 83 donne su un totale di 232 deputati (36 per cento) eletti col sistema maggioritario.Al Senato entrano 45 donne su 116 eletti (39 per cento).Per quanto riguarda la composizione rispetto al partito risulta che nel centro-destra, le donne sono il 30,5 per cento alla Camera e il 31,8 al Senato.Nel Movimento 5 stelle, le donne sono il 41,6 % alla Camera e il 38,4 al Senato.Per il centro-sinistra le donne sono il 30,6 % dei deputati e il 33,9 % dei senatori.Su base regionale, i dati sono diversi tra i due rami del Parlamento: al Senato è il Centro a eleggere più donne, mentre alla Camera ne elegge di più il Sud. Il Nord presenta quote molto simili sia alla Camera che al Senato.
I RISULTATI A LIVELLO REGIONALE
Nel Lazio sono state elette 16 donne su 50 consiglieri, il 32 %.In Lombardia sono state elette 18 donne su 80, un drammatico 22 % .
LEGGE ELETTORALE, IL ROSATELLUM E L’EFFETTO FLIPPER
Il Rosatellum prevede l’alternanza di genere nelle liste di partiti e collegi, una misura che avrebbe dovuto garantire una rappresentanza di donne non inferiore al 40 per cento alla Camera e al Senato.La nuova legge prevede infatti che nelle liste dei collegi plurinominali i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere.Alla Camera nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento nel totale dei collegi uninominali, inoltre nessuno dei due generi può occupare la posizione di capolista nei collegi plurinominali in misura superiore al 60 per cento. Al Senato le stesse norme valgono a livello regionale.
Questo sistema, inficiato da un lato con l’esistenza di collegi elettorali “più o meno certi” e dall’altro con le candidature multiple, ha dato luogo a una elusione della legge sulle “quote rosa”.I partiti hanno ovviato all’alternanza di genere candidando le stesse donne su liste diverse.
E le donne hanno accettato!
Così le candidate sono state “spalmate” in più collegi mantenendo nella realtà al di sotto del 40 per cento la quota delle candidate.Le pluricandidature femminili sembravano vantaggiose ma da subito avevamo segnalato che nella realtà il sistema si poteva trasformare, come poi è avvenuto, in un boomerang per le donne. Con questo sistema infatti le donne devono necessariamente risultare elette in un solo collegio e in caso di vittoria in più collegi, devono lasciare automaticamente il posto a chi le segue nella lista, che per legge è un uomo.
fonte: https://isamaggi.wordpress.com/2018/03/13/donne-e-politica-un-primo-bilancio-post-elezioni-cosa-non-ha-funzionato/
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