Era appena arrivata a vivere in quella cittadina in Italia sul confine con la Francia un’italiana ritenuta straniera dai suoi abitanti.
Eppure fu invitata per capodanno a casa di una nuova amica conosciuta al corso di yoga dell’ex sindaco. Marito e fratello della nuova amica erano figli di una minuta e anziana signora, Stellamaria, presente alla festicciola, ma in un angolo. I figli motteggiavano bonariamente le stranezze dettate dalla senilità, ma l’italiana straniera no. Amò ascoltare l’ardimento di gioventù di Stellamaria, che fu un’esperta sciatrice nonché maestra di sci, conosciutissima in tutta la valle, da Torino in su. Nonostante la tarda età, la longeva signora compiva quotidianamente una passeggiata sulle strade in salita della cittadina, spesso con un’amica torinese, più spesso da sola. Un cammino normalmente percorribile in trenta minuti, con Stellamaria diventava di due ore: si sentiva in obbligo di scambiare quattro chiacchiere con tutti coloro che incontrava. Così facendo, cercava di tenere allenati anche i muscoli della mente, che ormai tendevano sempre più al lasso.
Un mattino d’estate, uno dei figli la trovò in casa semi spogliata che vagava incerta sul da farsi, la doccia aperta e scrosciante in bagno. Un altro, si era rivestita con gli abiti smessi, intrappolandosi nelle prassìe più scontate: aveva indossato le mutande sopra il pantalone. Stellamaria non era più lei, ma una sua versione trascolorata, dolcissima, ma trascolorata. Figli e nuora, d’accordo, si risolsero a chiamare l’italiana straniera per assistere Stellamaria nelle quotidiane abluzioni, cosicché non vi si perdesse. L’italiana straniera accettò: sapeva quanto la saggezza degli anziani amasse nascondersi sotto a croste amnesiche, alla perdita del senso delle date, al diventare incapace di tornare sui propri passi.
Stellamaria le raccontava un episodio occorsole durante la sua vita da maestra di sci. Un racconto i cui esiti facevano di lei una eroina, avendo portato in salvo un ragazzino abbandonato dal padre in pista per andarsi a stordire con l’alcol in una piola. Glielo raccontò così tante volte in un’unica sessione di doccia, che la sera stessa, al telefono con sua mamma, l’italiana straniera glielo riportò senza tralasciare dettagli. Stellamaria non usciva più per le sue passeggiate, il ginocchio sinistro dolorante glielo impediva. Il suo mondo esclusivamente casalingo ormai, si era impreziosito della presenza dell’italiana straniera, quella che le faceva i grattini sulla testa e i massaggini sul corpo durante la doccia, quella di cui non ricordava il nome né dove l’avesse conosciuta. Chiamava i figli non più per nome ma “Quei due signori là, così gentili, sembra mi conoscano da una vita. E lei, chi è?”. Non voleva più farsi tagliare i capelli, tenuti cortissimi da sempre e nemmeno le unghie. Si ribellava con la forza di una rosa che aveva perduto le sue spine.
Una mattina d’inverno non la si trovò, se non con l’elisoccorso sulla cima della Guglia Rossa. Si era addormentata nella neve, con la camicia da notte di flanella impetalata nelle gambe. Rosa delle nevi.