Nell’Ottocento, che le donne non potessero affrontare un percorso universitario era il pensiero comune dominante.
Nicola Pende, uno scienziato che sostenne le leggi razziali fasciste, scriveva che alle donne si dovevano proibire gli studi scientifici: “sappiamo che il cervello femminile non è per natura sufficientemente preparato per le carriere delle scienze, della matematica, della filosofia, della storia, dell’ingegneria, dell’architettura”.
Invece Giovanni Keplero così si esprimeva:” E’ bene che la donna faccia altre cose e non si impegni nello studio della scienza e della matematica, che le sono innaturali”. Nell’Ottocento, che le donne non potessero affrontare un percorso universitario era il pensiero comune dominante. Non potevano ricoprire incarichi politici o di altra natura per colpa del ciclo mestruale che le rendeva di umore instabile e poco affidabili. Addirittura nel 1870, il professore di medicina dell’Università di Harvard, Edward H. Clarke, pubblicò un libro in cui sosteneva che gli studi universitari rischiavano di rendere sterili le ragazze. Fu Mary Putnam Jacobi a demolire questa ridicola tesi. Mary analizzò scientificamente lo stato di salute e la forza fisica delle donne sia durante il ciclo mestruale sia in assenza, dimostrando come non vi fossero differenze. Inoltre, concluse il suo lavoro asserendo che “le donne erano più sane proprio quando erano istruite, impegnate mentalmente e fisicamente attive”.
Con questa sua ricerca vinse il Boylston Medical Prize, un prestigioso premio scientifico assegnato dall’Università di Harvard dove insegnava Clarke. In seguito Mary diventò la prima donna ad essere ammessa sia all’École de Medicine francese sia alla Academy of Medicine di New York.
Ma le leggende sui presunti effetti destabilizzanti del ciclo mestruale si sarebbero rivelate dure a morire. Nel 1960 alcuni scienziati sostennero che le donne a causa delle mestruazioni non potevano diventare astronaute, e non dimentichiamo anche che l’opposizione all’ingresso in magistratura delle italiane fu giustificata da molti politici con la scusa che, per il ciclo mestruale, in certi giorni non avrebbero avuto “serenità di giudizio”.
Parlando di prime donne e scienza ci corre l’obbligo di iniziare con Maria la Giudea, probabilmente vissuta tra il primo ed il terzo secolo d.C. filosofa ed alchimista. Ci conferma la sua esistenza Zosimo di Panapoli, che nel più antico testo alchemico giunto sino a noi la menziona come “uno dei saggi della sua epoca”. Dei molti libri che ella scrisse, a noi rimangono gli insegnamenti citati da autori successivi. Pare che tra le tante sue invenzioni oggi ne ricordiamo una presente nel nostro prosaico quotidiano: la cottura cosiddetta “a bagnomaria”, attribuitale, perché spesso usata nei suoi processi chimici.
Anche la celebre Ipazia vanta un primato, anche se tragico: fu la prima scienziata vittima del fondamentalismo religioso. La sua storia è nota e lei sicuramente rappresenta il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione e per la scienza. Quando all’inizio del terzo millennio centonovanta Stati chiesero all’UNESCO di creare un progetto internazionale per “realizzare un migliore equilibrio nella partecipazione di entrambi i sessi alla scienza e al progresso”, l’UNESCO accolse la richiesta e denominò il progetto “Ipazia”.
Maria Gaetana Agnesi fu la prima donna a pubblicare un manuale di matematica. Nata a Milano nel 1718, nel 1739 pubblicò le Propositiones philosophicae, centonove saggi di logica, fisica e scienze naturali. Per le discipline matematiche, nel 1748, scrisse le Istituzioni analitiche ad uso della gioventù, due volumi di oltre mille pagine. Questo manuale, molto apprezzato, le consentì di ottenere l’insegnamento di Matematica e Storia naturale all’Università di Bologna. Maria Gaetana fu anche soprannominata “oracolo sette lingue” poiché oltre all’italiano, conosceva il greco, il latino, l’ebraico, il francese, il tedesco e lo spagnolo. Avrebbe voluto abbracciare la vita religiosa ma la famiglia si oppose a questo suo desiderio, lei poté solo sottrarsi alla vita mondana e al matrimonio, e quando il padre morì, “intraprese in forma secolare la vita monacale” che aveva desiderato. Con l’eredità ricevuta organizzò nella sua dimora una casa di cura per le persone più bisognose. Scelse una vita povera e il suo ultimo desiderio fu esaudito alla morte: essere sepolta in una fossa comune.
Diodata Saluzzo, a soli 28 anni, nel 1802 fu la prima donna ad essere ammessa alla Reale Accademia delle Scienze di Torino.
Tra i primati delle donne ecco una storia dimenticata e solo di recente venuta alla luce: nel primo decennio del Novecento, quattro suore sono state sicuramente le prime a scoprire e catalogare più di quattrocentomila stelle. Si chiamavano Regina Colombo, Concetta Finardi, Luigia Panceri ed Emilia Ponzoni, tutte provenienti dalla Lombardia. Questa storia inizia a Parigi quando, tra il 1897 ed il 1899, gli astronomi più celebri dell’epoca si riunirono per redigere un Catalogo Astrografico in grado di creare una mappatura del cielo ed indicare in modo preciso la posizione degli astri. Tra quegli studiosi, anche un inviato da papa Leone XIII, il gesuita John Hagen che fece richiesta di alcuni aiutanti per redigere le coordinate delle stelle. Per questa collaborazione furono scelte le quattro suore che dopo aver ricevuto le istruzioni iniziarono a lavorare alacremente riuscendo anche ad usare il telescopio per osservare la volta celeste. Regina, Concetta, Luigia ed Emilia provenivano dall’Istituto Suore di Maria Bambina di Milano: la loro scelta fu casuale, soltanto perché quel convento era ubicato vicino al luogo dove c’era il telescopio. Loro diventarono talmente brave da essere definite “le donne calcolatrici” per la loro velocità e capacità di calcolare le coordinate. Il progetto internazionale di Parigi andò avanti fino al 1966 ed il Vaticano fu uno degli Stati che contribuì maggiormente a compilare una delle prime mappature del cielo.
La prima italiana laureata in Ingegneria spaziale al Politecnico di Milano si chiama Amalia Ercoli Finzi. Amalia è inoltre consulente scientifica della NASA, dell’ASI e dell’ESA. Ha ricevuto la medaglia d’oro dell’Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica.
Ada Lovelace è la donna che per prima elaborò il primo programma per calcolatore, un software del 1843. Ada ha praticamente previsto, più di un secolo e mezzo fa, il ruolo del moderno computer. La sua scoperta gettò le basi della moderna informatica. Era nata a Londra nel 1815 dal poeta Lord Byron e da una madre matematica: Anne Isabelle Milbanke che la introdusse e la seguì negli studi scientifici, nella logica e nella matematica.
Il contributo della pioniera Ada all’informatica è stato sottovalutato per molto tempo, ma nel 2009 è stato istituito il “Ada Lovelace Day”, una giornata per promuovere la partecipazione delle donne “nel mondo delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica”. Sicuramente un grande tributo al lavoro di Ada è stato dato dal dipartimento della Difesa statunitense che, nel 1977, ha creato un nuovo linguaggio di programmazione in grado di servire da ponte tra le centinaia di linguaggi usati dal dipartimento: questo nuovo programma fu chiamato ADA.
Sempre donne furono le prime programmatrici dell’ENIAC, uno dei primi computer. Si chiamavano: Kay Muchley Antonelli, Jean Bartik, Betty Holberton, Marlyn Meltzer, Frances Spence e Ruth Teitelbaum.
Siamo nel 1945 in Pennsylvania: l’ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer) era il primo computer digitale al mondo, era enorme e occupava lo spazio di 180 mq. Ovviamente in quegli anni esistevano pochissimi computer al mondo ed erano di proprietà dei grandi centri di ricerca. Erano macchine molto lente che eseguivano operazioni semplici ed elementari. L’ENIAC però era più veloce ma per farlo funzionare esistevano solo degli schemi e nessuna persona era riuscita a svolgere operazioni complesse. Ci riuscirono le sei programmatrici. Senza manuali e senza insegnanti. Anche questa storia è stata sepolta subito, visto che a quei tempi le donne erano sempre state considerate le “aiutanti degli uomini”. A Betty Holberton, il suo professore di matematica aveva consigliato di abbandonare gli studi per sposarsi e fare figli. Betty si guardò bene dal seguire lo sciocco consiglio e diventò una figura di spicco della storia dell’informatica americana. Nel 1977 il loro lavoro è stato riconosciuto e sono state inserite nella, ricevendo un premio ed un riconoscimento internazionale.
Sempre nello stesso ambito, Grace Brewster Murray Hopper è stata la prima donna a conquistare, nel 1969, il titolo Computer Science “Man of the Year” che già nella denominazione esclude a priori le donne. Nel 1991 poi è stata decorata con la National Medal of Technology. “Grace è riconosciuta in tutto il mondo per il suo lavoro pionieristico nella programmazione del primo computer digitale su larga scala e per aver creato il primo compilatore”. Nata a New York nel 1906, studiò matematica e fisica presso il Vassar College, conseguendo in seguito un master ed un dottorato in Matematica a Yale. Durante la seconda guerra mondiale, con il grado di tenente, fece parte del team informatico del Bureau of Ships di Harvard. È morta nel 1992. Molti centri informatici americani e un cacciatorpediniere portano il suo nome.
Dorothy Crowfoot Hodgkin, nel 1930, è stata la prima scienziata ad eseguire delle analisi basate su calcoli tridimensionali per definire la struttura molecolare. Biochimica britannica, nata a Il Cairo nel 1910, si era laureata ad Oxford nel 1932. Nel 1964 vinse il premio Nobel per la Chimica. Inizialmente si occupò di cristallografia e mineralogia, ma in seguito i suoi sforzi e le sue ricerche si concentrarono “nella cristallografia a raggi x che le permise di determinare la struttura atomica di sali e composti organici”.
Progettò e sintetizzò vari antibiotici fondamentali per la cura delle malattie infettive e riuscì a determinare la struttura della penicillina. Nel 1987 ottenne il Premio Lenin per la Pace, grazie al suo forte impegno per promuovere il disarmo e la pace nel mondo.
Infine due primati recenti: nel 2013 Marcella Frangipane, nata a Palermo nel 1948 e docente di archeologia preistorica e protostorica all’Università La Sapienza di Roma è stata la prima italiana ammessa alla National Academy of Science americana; nel 2016, Propa Ghosh è diventata la prima donna statunitense a capo di un reparto di chirurgia robotica.
da ”Le mille i primati delle donne” dell’Associazione Toponomastica femminile a cura di Ester Rizzo