Pur nel suo dolore che l’ha colta impreparata- e chi mai può essere preparata ad un dolore così forte e a quell’eta?- ha avuto la forza di rialzarsi in piedi e di reinventarsi la vita, mentre noi sue coetanee ci permettevamo ancora di spaziare tra le nostre infinite possibilità con quel senso di onnipotenza che ci caratterizzava.
Ho sempre amato il suo stile, sia quando ancora era una ragazzina sui banchi del liceo che oggi, con la sua età-che è poi anche la mia-portata benissimo. Quando parlo dello stile di Alessandra Ghelardoni, dalla cultura umanistica e dalla attività di manager che si è sempre occupata di ricerche di mercato, non mi riferisco soltanto alla sua evidente bellezza ma soprattutto ad una sua armonia che non è semplicissimo ritrovare intatta negli anni. Bella, intelligente, elegante, affamata di vita, profonda, radicata, fantasiosa, creativa, riassume in sé le qualità che non la fanno certo passare inosservata.
In un mio vecchio servizio sullo stile nell’abbigliamento apparso su Gioia tanti anni fa, tra le donne intervistate e fotografate c’era anche Alessandra Ghelardoni che, tutta vestita di bianco, dichiarava :
“Amo il bianco e gli abiti da sera anni sessanta. Mi piace abbinare cose diverse tra loro, gonne leggere e giacche maschili, cerco qualcosa fuori dagli schemi, mi diverte scompaginare le pagine, anche soltanto una collana o una spilla indossate in modo diverso. Mi vesto spesso in bianco, e amo i dettagli e gli accessori, in particolare le scarpe che prediligo col tacco e nelle forme allungate. La sera attingo ad un guardaroba interessante anni sessanta e settanta e recupero queste piccole opere d’arte che hanno ancora i pesi negli orli, le fodere che scivolano in modo differente sulle forme del corpo, i bottoncini per le spalline del reggiseno”
Basterebbero queste sue parole, apparentemente frivole e senza un senso particolare-se non in un servizio sulle preferenze nell’abbigliamento- per comprendere in toto il suo approccio alla vita: quell’abbinamento di capi diversi tra loro é la sua capacità di mettere insieme elementi apparentemente contradditori; le gonne leggere, tipicamente femminili e le giacche maschili ci mostrano il suo costante tentativo- sempre riuscito, di portare in armonia le sue due energie, quella femminile (con la sua intuizione, l’affettività, l’empatia, l’ascolto, la creatività, il pensiero circolare) e quella maschile ( con la sua progettualità, la capacità di analisi, la discrimininazione, l’azione); quel suo divertimento nello scompaginare le pagine non é solo nell’abbigliamento ma sempre e comunque in ogni sua scelta; l’attenzione ai dettagli e agli accessori su uno “sfondo” preferibilmente bianco é quella ricerca dell’elemento particolare in un contesto raffinato e essenziale, mai appesantito da inutili ridondanze. E il recupero delle piccole opere d’arte e l’attenzione alla tradizione ben simboleggia il suo interesse per la ricerca, la storia, la cultura.
Laureata in lettere con indirizzo storico, già molto attenta negli anni dell’università alla realtà politicosociale e alle sue contraddizioni, Alessandra non ha esitato a prendere in mano con prontezza la sua vita e quella di suo figlio Christian, quando a soli ventisette anni – mamma da quattro- è rimasta vedova. Pur nel suo dolore che l’ha colta impreparata- e chi mai può essere preparata ad un dolore così forte e a quell’eta?- ha avuto la forza di rialzarsi in piedi e di reinventarsi la vita, mentre noi sue coetanee ci permettevamo ancora di spaziare tra le nostre infinite possibilità con quel senso di onnipotenza che ci caratterizzava. Lei no, non aveva più la certezza dell’onnipotenza e dell’immortalità perché aveva conosciuto in modo prematuro il dolore della morte dell’uomo che amava, del padre di suo figlio.
Ricordo Aldo e Alessandra come una delle coppie più interessanti di quegli anni e poi, quando Aldo se n’è andato, Alessandra ha mostrato a tutte noi amiche quanta forza e quanta energia ci può essere anche tra i confini di un ambiente protetto e agiato come quello in cui avevamo vissuto fino a quel momento.
A sua insaputa e, malaugaratamente per lei, è stata maestra a tutte noi e sono felice di inserire la sua tra le interviste sulla Eccellenza del Femminile (che potete leggere qui) perché la sua storia è la storia di tante altre donne che dalle sue parole possono trarre beneficio.
I tratti più evidenti della sua Energia Femminile sono, l’Intuizione, l’Affettività, la Creatività e il Pensiero Circolare che è alla base di quella Armonia che la contraddistingue. E quella capacità di rendere complementare quanto ad altri può sembrare in contrapposizione. E il suo saper entrare nell’attimo godendosi la vita in ogni suo aspetto e in ogni momento. Con amore e creatività.
* Bello ritrovarti dopo tanti anni.. Come stai vivendo questo momento della tua vita?
Sai perché non volevo fare quest’intervista in questo momento? Perché è un momento in cui mi sento “sospesa”. Un momento in cui fatico sia a guardarmi indietro, nel tentativo di raccogliere qualche certezza in ciò che ho costruito, sia a guardare avanti. E’ uno status che non mi appartiene, un vestito che non sento mio, che mi impedisce di muovermi ma da cui non riesco a liberarmi. Spero che sia solo un periodo, un momento un po’ particolare..
*Ti ho ritrovata in un momento strano?
Diciamo che è un momento decisamente critico in cui scelte del passato si sono rivelate sbagliate. Persone nelle quali riponevo totale fiducia non ci hanno pensato un attimo a coinvolgermi in questioni che avranno un forte impatto anche sul mio futuro. Questo mi ha profondamente ferito e ha messo in discussione un mio modo di essere che pensavo positivo, qualcosa di cui andare fiera e che invece si è rivelato solo stupida ingenuità. Come forse ti ho accennato sono praticamente afona da quasi un mese Credo che in tutto questo ci sia una componente psicosomatica. Forse è un modo per comunicare come tutto questo mi abbia tolto la voglia di esprimermi. Non mi hanno tolto solo le parole Mi hanno tolto un pezzo importante della mia identità.
* Quali sono stati i più importanti cambiamenti nella tua vita?
Al contrario di come mi sento adesso, mi ha sempre contraddistinto un gran fame di vita, una fame che mi ha fatto bruciare le tappe. Mi sono sposata a diciannove anni, sono diventata mamma a ventidue, ho accavallato diversi ruoli (ragazza, moglie, madre, studentessa) e tutto questo mi ha strattonato fra emozioni diverse. Una vita, la mia, che non mi ha risparmiato molto, a cominciare dalla morte di mio marito quando avevo ventisei anni e un bambino di quattro.
*Ti sei ritrovata, così giovane, a dover allevare tuo figlio da sola..
Si, ed é certo che questo lutto e l’anno di malattia di Aldo che lo ha preceduto, un anno davvero crudele e devastante, sono stati cruciali nella mia esistenza e naturalmente in quella di mio figlio. Sono stati una violenza, una ferita il cui segno rimane per sempre, non solo perché mi é venuta a mancare la persona con la quale avevo pensato di trascorrere la vita ma perché, in un momento anagrafico quale quello dei vent’anni in cui esplode il senso di potenza e la sacrosanta illusione dell’immortalità, queste mi sono state sottratte e sostituite con fragilità e paura. Paura non del domani ma del concetto stesso di domani, quasi che qualsiasi proiezione nel tempo fosse illegittima, un pensiero insolente e tracotante.
* Come hai reagito a tutto questo?
Tanto per darti un’idea, ho capito che qualcosa stava rimarginandosi quando, facendo la spesa, sono riuscita a riconcepire l’idea di “scorta” E’ stato anche un T°: l’inizio di una nuova consapevolezza e l’emergere di una forza che non avrei mai pensato di possedere. E’ come se da quelle macerie mi fosse data l’opportunità di far esplodere una nuova identità . Quando ero ragazzina mia madre mi diceva che ero l’ultima tolemaica sulla faccia della terra (erano ancora tempi in cui la scienza non era complottismo a favore dei poteri forti): tutto “doveva” girare attorno a me. Mia madre, come spesso fanno le madri esagerava, ma in ogni caso non è stato più così. La fragilità aiuta a mettersi in discussione, ad ascoltare e soprattutto, poiché hai realizzato che nulla è dovuto e tutto va conquistato, a godere ma godere davvero di ogni momento.
*Hai imparato a vivere il presente e a entrare pienamente in ogni istante?
Si e penso ancora oggi che dare ma soprattutto imparare a trovare piacere anche nelle piccole cose sia molto, molto importante. Questo è uno tra i più grandi insegnamenti che mi ha lasciato mia madre che fino all’ultimo ormai cieca (lei grande lettrice e cinefila), sofferente, costretta su una poltrona dal suo cuore malandato, riusciva a godere di un semplice pomeriggio passato con le amiche e dirmi, quando alla sera le telefonavo: oggi è stata una bellissima giornata
*Cosa ti ha permesso quindi, dopo la morte di Aldo, di credere ancora nel futuro?
La vita, la voglia di viverla fino in fondo. Perché nella sindrome del sopravvissuto accanto al senso di colpa quello che si fa largo è la necessità del riscatto: dal dolore, dall’impotenza, dal ruolo commiserevole “della giovane povera vedova”. La necessità di affermare che sei altro rispetto a questo. E così, pian piano, dal dolore recuperi la voglia di stare bene, all’impotenza rispondi a muso duro che invece “se vuoi, puoi”, al ruolo commiserevole sostituisci, con determinazione, un’immagine vincente (anche un po’ più vincente di quanto non sia in realtà)
*Parliamo del tuo lavoro. Hai dovuto improvvisamente prendere in mano le redini dell’aspetto economico della vostra vita..
Quanto alla mia attività lavorativa, tutto è nato per caso. Ricordo ancora il momento in cui ho realizzato – una volta rimasta sola con la responsabilità di crescere il mio bambino- che davanti a me si aprivano due possibilità: quella di tornare a fare la figlia o quella di diventare veramente adulta, autonoma il ché, pur nella sua prosaicità, significa, in primis, mantenersi. Era l’inizio degli anni 80, iniziavano ad affermarsi anche in Italia marketing e ricerche di mercato e così, senza sapere davvero di che cosa si trattasse, accantonata l’idea di poter vivere di borse di studio che era quello in cui potevo sperare in funzione del mio corso di studi in lettere con indirizzo storico, ho preso al volo un’offerta di lavoro in un Istituto di ricerca, specializzato in ricerche “qualitative”. Si tratta di quelle ricerche che lavorano sugli atteggiamenti, sulle motivazioni che determinano la percezione –positiva o negativa-ad es. di un oggetto, di una pubblicità, di un soggetto politico, di una trasmissione televisiva o radiofonica e così via.
*Come hai conciliato in te il tuo taglio culturale umanistico e il tuo ruolo manageriale?
E’ nata così la mia vita professionale che, devo dire, mi ha dato e mi dà molte soddisfazioni e che incredibilmente ( perché neanch’io lo sospettavo) non è mai entrata in conflitto con i miei studi umanistici. Anzi, è probabilmente a questi o quanto meno all’impostazione che questi mi hanno dato – la passione nell’analizzare i fenomeni, l’entusiasmo nell’individuare i nessi, la determinazione nell’andare a fondo, nel capire davvero i perché, le cause, nello stesso uso attento delle parole- che è riconducibile quel quid in più che i miei clienti riconoscono ai miei lavori. Perché ancora oggi, dopo tanti anni, di ogni lavoro che faccio, m’innamoro. Insomma le tante ore passate ai seminari universitari sulla metodologia della ricerca storica non sono andate perse.
* E come hai potuto tener fede ai i tuoi impegni lavorativi con un figlio da allevare da sola?
Nonostante quello che mi è capitato, per lungo tempo ho avuto un buon rapporto con il fato. Così, dopo circa sei anni di gavetta, di vera gavetta durante i quali però, devo dire, ho imparato il mestiere, succede che avverto che mio figlio vive un momento di disagio (mezze frasi, bigliettini) accentuato- o più probabilmente dovuto- alla mia assenza dalla mattina alla sera. Chiedo, pur garantendo lo stesso carico di lavoro, di avere una maggior elasticità d’orario. Il mio è un lavoro che, tolte le riunioni e gli incontri con i clienti, si svolge alla scrivania: è essenzialmente analisi e scrittura e quindi fattibile anche da casa. Mi sarebbe piaciuto qualche volta poter andare a prendere mio figlio a scuola, invitare i suoi amici ed esserci, fargli sentire la mia voglia di stare con lui e condividere momenti diversi dalla cena (spesso neanche quella) e dalla favola della buona notte. L’elasticità mi viene negata e quindi chiedo e ottengo – obtorto collo- il metà tempo. Ma il metà tempo significa anche metà stipendio e questo è un problema.
* Quale aiuto ti ha dato Alessandra bambina nella gestione del tuo lavoro e delle difficoltà che via via stavi incontrando?
La sua incoscienza? Mentre litigo con gli spicci per arrivare a fine mese, mi arriva la telefonata di un head hunter che mi propone un colloquio per una posizione in una grossa società di ricerca. Vado, con quel coraggio incosciente che solo giovinezza e necessità riescono a dare, pongo come condizione a qualunque trattativa la famosa elasticità d’orario che non solo mi viene accordata ma mi viene offerta la dirigenza e uno stipendio circa tre volte superiore a quello che precedentemente percepivo a tempo pieno. Rimango così basita che non riesco nemmeno a proferire la parola “accetto” ma il mio silenzio viene interpretato come resistenza ad un’offerta forse non sufficientemente adeguata. Viene così aggiunto un bonus di fine d’anno di circa dieci milioni. E finalmente riesco a farmi uscire un “va bene… firmo”. Con quella firma per parecchi anni entro in paradiso.
*Cosa resta oggi di Alessandra bambina?
In un altro momento probabilmente ti avrei risposto la solarità, il piacere di scoprire cosa c’è dietro l’angolo. Oggi posso solo dirti che spero di riappropriarmi di questi aspetti dell’Alessandra bambina
* Conoscendoti posso solo assicurarti che la ritroverai. Non se n’é mai andata. Ora é lì in silenzio che aspetta il momento buono per ricominciare a guidarti nel modo giusto per te oggi. Ritorniamo al paradiso di cui mi stavi parlando…Avevi trovato un ambiente lavorativo accogliente?
Mai visto –e disgraziatamente mai più visto- un ambiente lavorativo così allegro, così dégagé. Certo ognuno aveva le sue responsabilità ma, come nel mio caso, dirigere un settore in un clima complessivamente rilassato dove la parola d’ordine era “che qualcuno stia male per lavoro non fa parte della nostra filosofia”, diventa tutto sommato semplice. Anche se sei donna, soprattutto se sei donna Perché se la gestione del potere è sessista tanto da dar luogo a frasi come “ gestisce il potere come un uomo”… “lo fa da donna”…, la responsabilità individuale non ha sesso.
* Hai avuto difficoltà, nel management aziendale sempre un po’ maschilista, ad affermarti come donna manager?
E’ stato più complesso costruire una mia autorevolezza all’esterno del mio ambiente lavorativo. Il mio lavoro porta a confrontarsi con i management aziendali e questi erano ancor di più un tempo, in parte lo sono ancora adesso, maschilisti. Un maschilismo non necessariamente ostentato, magari travestito da galanteria, ma comunque percepibile Per anni mi sono sentita dire a fronte per es. di un’analisi lucida “ ma guarda (incredulità ) che bella intuizione” (perché l’intuizione è un apprezzamento che si accorda con il femminile ma la lucidità eh no, quella è patrimonio del maschile) oppure “ è bella…ma anche brava”( quasi che i due concetti per il femminile fossero in antitesi e che la coesistenza fosse motivo di stupore) o ancora “sa… quella cosa là che ci ha detto – per inciso magari sei mesi prima- è proprio vera … ieri, al convegno, l’ha detta anche.. il prof.Y laddove, naturalmente, Y era un maschietto.
Come reagivi al maschilismo sul lavoro?
Ad un comportamento decisamente maschilista, si reagisce se non altro per rivendicare la propria dignità e i propri diritti. Difendersi da una mentalità maschilista non è cosa semplice perché spesso gli uomini in questione ne sono “portatori inconsapevoli”. Io credo di essermi “difesa” puntando sulla costruzione, giorno dopo giorno, della mia credibilità. Una credibilità che certamente, in primis, è frutto di un lavoro duro e serio ma anche di un approccio al lavoro chiaramente marcato da istanze tipiche del femminile: più partecipativo, più affettivo, più coraggioso.
*Cosa consiglio alle giovani manager?
Avere fiducia nel proprio femminile. Essere consapevoli che, coniugato con l’impegno, lo sguardo femminile sulla realtà, sulla stessa organizzazione, nei rapporti, è un valore
*Uno dei tuoi punti di forza?
Direi l’ intuizione. E’ uno dei motivi per cui la mia intelligenza è stata, spesso, sopravvalutata, però la possiedo E’ quella scintilla, quell’illuminazione che ti consente di iniziare ad elaborare un pensiero fuori dagli schemi. L’intuizione è ciò che rifiuta il pregiudizio, abbatte l’ovvio. E’ l’incipit del pensiero circolare.
* Sei riuscita a mantenere sempre viva negli anni la tua creatività?
La creatività è, secondo me, più che una dote un’opportunità salvifica : è coraggio, curiosità, entusiasmo. E’ osare. E’ quella cosa che ti consente di fare un lavoro per tanti anni gustandone ogni volta il piacere della novità. E’ quella cosa – che la vita richiede o almeno la mia me l’ha richiesta più volte- di reinventarti senza sentirsi schiacciata dal peso del fallimento. E’ fatica vitale
*Se tu dovessi sintetizzare la tua filosofia di vita cosa scriveresti?
Non è un caso che ho cercato di fare mio il motto che un mio amico diceva avrebbe voluto incidere nel suo blasone – caso mai ne avesse posseduto uno-: Oso tremando
*Past President del Rotary: perché il Rotary? Quali valori incarna una associazione di questo tipo?
Sono entrata tanti anni fa su insistenza di un amico dei miei genitori Sul mio ingresso ha giocato da un lato la curiosità per un mondo vissuto come distante anni luce da un mio modo di essere e pensare, dall’altro, poiché ero una delle prime donne ad essere ammessa, il piacere di sfidare una realtà fortemente maschile e maschilista. In realtà ho trovato un gruppo di persone con tanta voglia di incidere sul territorio con azioni sociali di un certo rilievo e con le quali nel tempo si è sviluppato un bel rapporto di amicizia
*Qual sono i vuoti culturali e sociali dell’umanità di oggi che tu, se ne avessi il potere, vorresti colmare?
Due sono i nodi dell’attuale società italiana (parlo di questa perché è quella che conosco meglio ) che , in possesso di una bacchetta magica (temo che il solo potere non sia sufficiente) vorrei far scomparire 1) la latitanza del senso della responsabilità individuale che, se da un lato è ciò che consente di trovare sempre un colpevole altro rispetto a sé – la politica, la sfortuna, il vicino di casa, l’emigrante ecc – dall’altro provoca passività, inerzia. Siamo oggi una società di passivi aggressivi che, in quanto tale, non è in grado di costruire nulla 2) la rinuncia al ragionamento che è ancora peggio dell’ignoranza. All’ignoranza c’è rimedio alla seconda no. E’ solo ottusa protervia. E questa società passiva, aggressiva, proterva non mi piace anzi mi fa paura Trovo più che mai attuale un’affermazione di Gramsci che diceva: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”
*Cosa mi racconti di Alessandra nonna?
Essere diventata nonna è la cosa più bella che mi è successa negli ultimi anni. Un’emozione intensissima che non avrei mai pensato potesse essere di tale portata. Per carità, i bambini in generale mi piacciono ma non ho mai avuto verso di loro un particolare trasporto. E invece questi due meravigliosi bambini che ho avuto la fortuna di avere per nipoti, mi hanno totalmente soggiogato. Sarà che entrambi, sia il maschio sia la femmina, assomigliano molto a mio figlio da piccolo ma è come se mi avessero dato la chance di rivivere una seconda “maternità” con una disponibilità mentale diversa, con una capacità di marginalizzarmi che con mio figlio – e aggiungo probabilmente giustamente- non ho avuto. Non ho più bisogno di contendere il tempo e gli spazi. Non ho più bisogno di guardarmi crescere oltre che guardare mio figlio crescere. E così rigusto o meglio gusto fino in fondo il loro affidarsi, mi sorprendo di ogni loro scoperta, annego nella meraviglia che esprimono davanti al sorgere della luna, davanti ad una bolla di sapone che rimane sospesa nell’aria, mi sciolgo nei loro abbracci alla mattina quando dormono da me. Un figlio lo ami, un nipote ti commuove.
*Quale ruolo assume in te il tempo che passa?
Vorrei dire che ho un buon rapporto con tempo che passa, con l’invecchiamento ma non è così. Temo l’affievolirsi dell’energia, dell’entusiasmo nel mettermi in gioco, temo il diradarsi delle occasioni, temo la possibilità di accumulare rimpianti senza avere il tempo necessario per cancellarli.
*Tu sei una persona accudente?
Si, mi riconosco molto nell’accudimento, inteso come quelle mille piccole cose che penso possano far stare bene chi mi è vicino, meglio che penso possano portare godimento nelle minutaglie del quotidiano. Per queste cose ho una memoria incredibile forse degna di miglior causa: so perfettamente a chi far trovare l’acqua a temperatura ambiente perché la preferisce, a chi la marmellata della tal marca perché, se ospite a casa mia, possa far colazione nel migliore dei modi. Un accudimento che cerca di affermarsi anche attraverso le parole che regolarmente uso e che, mi rendo conto, cercano di dare una consistenza speciale a normalissime azioni quotidiane. Per es ai miei nipoti non dico è l’ora di andare a letto” ma “è arrivato il momento di sentire una bellissima favola”. E’ a questo punto che il più grande, prendendomi in giro, aggiunge, anticipandomi “e domani mattina ci facciamo una gran bella colazione con tutte le cose che ci piacciono di più”. Il buffo è che tanto trovo naturale accudire, tanto mi piace immaginare di essere accudita, tanto nei fatti non riesco a farmi accudire. Nella prossima vita capirò perché.
*Quale ruolo ha per te ogni relazione affettiva?
L’affettività, anche alcune volte a sproposito, è la mia chiave di relazione con il resto del mondo. Una chiave pericolosa perché nasconde un bisogno e un’attesa: quella di essere ricambiata. In sintesi una porta spalancata alla sofferenza. Accidenti a me!
Grazie Alessandra. Chiudo questa intervista con la foto apparsa su Gioia in quel mio servizio sugli abiti. Sono certa che questo tuo sorriso é ancora lì dentro di te, insieme alla tua Bambina Interiore che ti sta dicendo ” Tu hai tutto l’amore dentro di te. E questa luce non se n’é mai andata, ricordatelo..”