“Siete tutti invitati, un matrimonio in musica”.
Louise Bourdau, Eugène Ysaÿe e la Sonata per violino e pianoforte di Cesar Franck.
Questo dono… non solo per me, ma per l’umanità intera.
Eugène Ysaÿe, 28 settembre 1886
Parigi, Agosto 1886. La città è sfiaccata dalla calura estiva, il pensiero si fa più lento e verrebbe voglia di una boccata d’aria nuova, magari andarsene in villeggiatura per respirare un po’ e ritornare su progetti che frullano nella mente da più di trent’anni. Meglio soggiornare altrove. E perchè no, andare a Combs-La Ville, un quieto borgo poco lontano dal fremito della città contemporanea che avanza e sale, pulsando per la nascita di cantieri ovunque, nuove facciate di palazzi alteri, grandiosi boulevards alberati, strade spianate e giardini, sventrata com’è nel suo nuovo assetto dal grandioso piano di riqualificazione urbana del barone Haussman. Nella quieta cittadina di provincia, ogni angolo è più a misura, di passo e di intenzioni, per un uomo che, nell’ultimo quarto dell’Ottocento, ha già compiuto sessantaquattro anni e avverte il peso e il senso dell’esistenza. La giovinezza a Liegi, città d’origine in Belgio, il trasferimento a Parigi, gli anni di studio, i molti e faticosi anni di docenza in Conservatorio grazie alla prestigiosa cattedra di organo, gli impegni come compositore e come organista della chiesa di Santa Clotilde, ove proprorre veri e propri concerti domenicali di grande impatto sul pubblico e di un virtuosismo estremo, persino nell’improvvisazion
Lo stesso Franz Liszt, il principe del pianismo trascendentale, sentendolo suonare, lo ha paragonato niente di meno che al grandissimo Bach. Avvolto dal fascino lento delle piccole piazze ombreggiate dai platani, dalla campagna circostante e dai rivi d’acqua, dai sapori e dai profumi della cucina e del buon vino, che si fondono nella dolcezza propria di quella provincia francese che narra di lirica semplicità e di risonanze lontane, il compositore Cesar Franck ripensa alla sua Sonata per violino e pianoforte, avviata molti anni prima e ancora in divenire. Questa volta l’occasione c’è, per mettere finalmente la firma al manoscritto, con tanto di dedica. Gli è da poco giunta una missiva, una lettera vergata dall’inchiostro color sanguigna e dal carattere arrotondato, sicuramente una scrittura femminile. Dopo aver sbrigato un po’ di corrispondenza impilata da giorni sullo scrittoio, il compositore apre lentamente la busta, rifilandone il bordo del pregiato cartoncino avorio con minuta precisione. E’ la giovane Louise Bourdau, fidanzata dell’amico Ysaÿe, violinista anch’egli di origine belga. Dopo essersi premurata di avere buone notizie sulla sua salute, la ragazza gli annuncia che con Eugène convoleranno presto a nozze e sarebbero onorati della sua presenza alla cerimonia, fissata per il 28 Settembre prossimo nella ridente cittadina vallone di Arlon, in Belgio. Che piacevole sorpresa e quale regalo offrire al ricevimento nuziale? Le risorse sono quelle che sono nella vita di un musicista e compositore che non ha raggiunto una gran fama fino ad allora. Meglio portare in dono qualcosa di personale, che parli dei colori e dei sapori della vita insieme, ora soavi ora amari, ora teneri ora appassionati, ora renitenti ora combattivi, ora melanconici e infine festosi, e dedicare proprio a Eugène, considerato l’amico e l’interprete ideale, per capacità espressive e tecnica straordinaria, la sonata per violino e pianoforte che è nel cassetto da molto tempo.
E’ solo un dono in musica, almeno apparentemente.
Nell’atmosfera riflessiva e melanconica della provincia, Franck ripensa alle appassionate discussioni avvenute a Parigi con Camille Saint-Saëns e con gli altri amici della Societè Nationale de Musique, ferventi sostenitori del rilancio della musica cameristica francese, in opposizione all’egemonia respirata in quegli anni di sinfonismo tedesco e di opera lirica. Le idee gli sono chiare, bisogna utilizzare un linguaggio di forte carica espressiva, quel “colorismo” della tradizione francese, alla ricerca del valore timbrico dell’accordo puro e agli influssi derivanti dalla musica da camera che giunge dalla MittelEuropea. Sonorità pregnanti nell’intimo da scandagliare. C’è anche la suggestione che lo lega al sofferto cromatismo wagneriano e alla cura per l’equilibrio e l’architettura della forma compositiva, tanto è profonda la sua consuetudine con la partitura di Bach. Sono giorni trascorsi nell’aria dolcemente salubre, tutto appare avvolto di luce nuova e nel groviglio del materiale pensato fino a qui, rintornano alcuni echi sonori, quasi sussurri che giungono da lontano. Come devono essere questi frasi musicali… sicuramente riconoscibili in modo chiaro dall’ascoltatore e con una linea melodica essenziale. Sì, è l’estrema cantabilità che egli cerca e ci lavora ardentemente, nel tentativo di unificare i singoli movimenti della sonata per avvolgerli in un unicuum.
E’ il principio della composizione ciclica, già presente in Beethoven, per esempio nel finale della Nona sinfonia, al quale egli vuole attingere in modo sistematico, così come ha sviluppato da poco nel Quintetto in Fa minore con esiti felici. Le unità tematiche, liriche ed espressive, intende riproporle all’interno di un sistema sempre più variegato e complesso, con la creazione di un intreccio reticolare di richiami interni, in analogia con la tecnica del leitmotiv esaltato da Wagner, e di rimandi sonori che si ripetono in tutta la composizione. E così, nella dolcezza suadente e malinconica del paesaggio rurale della tarda estate, dai colori caldi e dalle tessiture morbide, ecco fuoriuscire dal serbatoio sonoro alcuni temi che ritornano più volte nel cuore e si fissano sul rigo musicale. Egli sente che la stesura si fa inaspettatamente rapida, la stagione si consuma nel lavoro alacre di colui che rivisita, con sopravvenuta maturità d’intenti, il progetto di una vita intera a suggello di un amore compiuto che prenda fisicamente forma. Suo malgrado, Franck sa di non potersi recare personalmente alla cerimonia e invia per l’occasione un pacco regalo, il manoscritto della sonata consegnato agli sposi tramite i comuni amici, Charles Borde e l’eccellente pianista Marie-Lèontine Bordes-Pène. Come non essere colpiti dall’eccitazione febbrile di Ysaÿe mentre sfoglia avidamente il plico di fogli, tenuti insieme con misurato ordine da un cordoncino sottile. Commosso per un dono che definisce “Non solo per me, ma per l’umanità intera”, Ysaÿe legge la sonata tutta d’un fiato e ne intuisce subito l’intimismo lirico e la forte carica espressiva tanto che egli implora l’amica pianista di provare con lui, seduta stante e proprio durante il banchetto, la prima e memorabile esecuzione a prima vista, in una sorta di pubblica dichiarazione d’amore alla giovane sposa, sotto gli occhi emozionati dei suoi ospiti. Dopo un’apertura di accordi soffusi del pianoforte, alla quinta battuta il violino di Eugène inizia a cantare sommessamente il primo motif, costituito da un arpeggio ascendente e discendente su intervallo di terza, dato dall’alternanza giambica di nota lunga e nota breve e ripreso più volte nei movimenti successivi, nello stesso modo o con sembianze mutate.
Questa unità minima, di pregnante cantabilità, è stata a lungo interpretata, per quanto gli studi critici attuali tendano a ravvederne molte e ulteriori sollecitazioni, come una probabile fonte di ispirazione sonora per Marcel Proust nella descrizione della conturbante “piccola frase” musicale della Sonata per violino e pianoforte di Vinteuil che Charles Swann, uno dei protagonisti de ” la recherche du temps perdu”, associa all’amore che egli nutre per la giovane e misteriosa Odette.
“Questa sete d’un incanto sconosciuto, la piccola frase la risvegliava in lui, ma senza offrirgli nulla di preciso per soddisfarla. E così quelle zone del suo animo in cui la piccola frase aveva cancellato la cura degli interessi materiali, le considerazioni umane e alla portata di tutti, essa le aveva lasciate vuote e in bianco, ed egli era stato libero di iscrivervi il nome di Odette. Inoltre, a quel che l’amore di Odette poteva avere di un po’ angusto e deludente, la piccola frase aggiungeva, amalgamava la propria essenza misteriosa”
Può una sola frase, entrare nel vissuto di ciascuno e, ritornando più volte rivelare il significato profondo quell’intimo di sè? Ysaÿe subito intuisce che altri due temi fondanti costituiscono l’impalcatura dell’intera composizione, il secondo presente due volte nello sviluppo del secondo tempo e una volta nel terzo, mentre la terza unità tematica è costituita da una oscillazione di intervalli di quarta e quinta che compaiono con intensità la prima volta nel terzo tempo, divenendo persino costrutto formale del quarto e ultimo tempo, fino a esplodere celebrando felicità inaudita e compiuta.
Franck deve attendere ancora prima di realizzare con pienezza la portata del suo prodotto. Sarà presente alla prima esecuzione pubblica della sonata, il 16 Dicembre dello stesso anno, per un concerto promosso in orario pomeridiano dal Cercle Artistique et Littèraire de Bruxelles in una sala del Museo d’Arte Contemporanea. Ed ecco la magia pura. Calate le prime ombre, non essendo possibile, per regolamento museale, l’illuminazione con le candele nelle sale della collezione di pittura, Ysaÿe e la Bordes-Pène suonano l’intera sonata nella completa oscurità tra i presenti completamente estasiati.
Ma per Franck la Sonata è soprattutto una narrazione in cui riconoscersi e ben corrisponde a una metafora sonora in cui vengono messi in scena, nei quattro tempi, quattro distinti e possibili momenti di verità e naturalezza nella vita di una coppia rappresentata dai due strumenti congiunti, il violino e il pianoforte. A partire dal lirismo intimista e sognante del primo incontro amoroso, una sorta di Berceuse sentimentale e carezzovole, quale esordio in Allegro moderato di un amore trepido che nasce semplice, ma unico nella sua riconoscibilità, si passa nel secondo tempo, Allegro, attraverso momenti di accesa passione e veemenza tra i due strumenti. Il rapporto dialogico è, di per sè, fonte di conflitto o tentativo di prevaricazione, tanto che può scaturire, nel contrasto, una vivida forza espressiva che segna il vissuto dei due protagonisti che non vogliono soccombere e cantano ardentemente le loro idee. Alla lite seguono, nel terzo tempo, Recitativo-Fantasia, momenti rapsodici di meditazione retrospettiva, infelicità e ripiegamento nostalgico di fronte anche solo all’idea di una temuta frattura o separazione, fino a giungere a un nuovo e dolce riavvicinamento, un Allegretto poco mosso “in canone”, che prelude all’effervescenza celebrativa della festa finale. Ci ritroviamo, anche noi, umanità intera, sorprendentemente invitati al banchetto per ascoltare lo sposo che suona, accompagnato al pianoforte. In un lieto e fortunato giorno, ch’ha posto fine agli amorosi affanni, nel tripudio floreale di cori e colori, si ergono tutt’intorno mute comparse. E’ una festa bucolica, di ascendenza classica e dal sapore antico, che celebra l’augurale lieto buon fine del “viver tutti felici e contenti”.