Sa sempre dove guardare e come tenere bene aperti gli occhi, andando al di là del suo naso, della sua terra, della sua persona, spaziando, cercando mete. Pioniera e viandante, non si é mai fermata di fronte a nulla.
Quando la si vede arrivare si può essere certi che accanto a lei c’é Barney Ettore Baruch Gersony . Con il nome altisonante e un musino tenerissimo è il suo fedele e amatissimo barboncino che la accompagna ovunque.
Parlare di Marina Gersony è piuttosto difficile perché è una donna poliedrica, impegnata in numerose attività, una donna che sa penetrare profondamente tra le pagine di un libro e sa coglierne l’essenza per condividerla e renderla ancora più fertile. Giornalista, scrittrice e regista, è così abile nello sposare una causa e nel buttarsi a capofitto a difendere i deboli, a proteggere le comunità in minoranza, a combattere per quello che ritiene importante. Con le sue interviste, ricche e attente all’attualità e alle radici storiche, offre materiale importante a chi vuole conoscere, capire, partecipare. Sa sempre dove guardare e come tenere bene aperti gli occhi, andando al di là del suo naso, della sua terra, della sua persona, spaziando, cercando mete. Pioniera e viandante, non si é mai fermata di fronte a nulla.
Ha partecipato alla nascita de L’Indipendente e ha scritto per Il Giornale, Il Giorno, Il Tempo, Panorama, Glamour, Elle e ha lavorato per Canale 5 e per la Rai. Programmista-regista nei programmi di Enzo Biagi (Rai1): Linea diretta ; Terre vicine terre lontane ; I dieci comandamenti all’italiana e nella trasmissione Carnet di Rai Sat Art, canale telematico digitale dedicato all’arte. Autrice e regista nella trasmissione La scuola in diretta su Rai Sat3, giornalista al Tg3 Italie(2001-2003). Autrice di Contesto, un programma di libri a cura di Emilio Tadini (Tele+) Tra le sue tante produzioni cinematografiche ricordiamo per Il mio Novecento: La vita di Benazir Bhutto e la puntata sul Il Generale Jaruzelski. Tra i ritratti e le biografie per Le grandi storie Renato Dulbecco; Rita Levi Montalcini; Federico Faggin, ingegnere elettronico italiano, padre “americano” dei moderni microprocessori; Andrea Viterbi, inventore dell’algoritmo usato per codificare trasmissioni digitali
Si occupa di Critica Letteraria, Attualità, Ebraismo, Buddhismo, Islam, Politica estera(in particolare UE, Asia e Medioriente),Immigrazione e Memoria. Ha pubblicato Milano Etnica, con E. Aguiari (Zanzibar; IIa edizione Giunti, 1997). Europa Low Cost (Sperling & Kupfer, 2005). Nell’aprile del 2007– con la collaborazione di O. Bitjoka -, Ci siamo, un saggio sull’immigrazione in Italia e in Europa (Sperling & Kupfer).
Nata da madre italiana e da padre di origini austro-baltiche, è cresciuta tra l’Italia, l’Inghilterra e la Germania. Ha una particolare firma energetica che si può notare in tutto quello che fa, la sua profondità leggera, la sua capacità di andare a fondo sempre con il sorriso sulle labbra. Bellezza, cultura, profondità, equilibrio, intensità sono le lenti attraverso cui legge il mondo. Là dove mette in evidenza la pecca, la bruttura, la difficoltà, il vuoto, propone sempre un aspetto di bellezza e di luce, perché ha fatto un grande lavoro di ricerca interiore che procede pari passo con i suoi studi, con il suo continuo e costante desiderio di comprendere il senso del mondo, sia a livello individuale e spirituale che a livello politico e sociale. E ogni ricerca non può che portare a saper vedere in profondità non solo quello che manca ma soprattutto il dono.
Empatia, Pensiero Circolare, Sintesi, Spiritualità Intuizione sono gli aspetti energetici del Femminile che, tra gli altri, spiccano in lei. Ed é per questo che ho voluto affiancarla alle altre Donne Eccellenti che ho la gioia di avere incontrato in questi mesi.
* Come è il tuo rapporto con le altre donne?
Ottimo. Credo nell’amicizia e nella solidarietà femminile. Sono molto vive in me l’empatia e inclusività, accompagnate da autonomia di pensiero e pertanto mi piace il lavoro di squadra. Tuttavia ho dovuto prendere atto che soprattutto in ambito lavorativo ci possono essere donne manipolatrici, subdole e senza scrupoli nel perseguire i propri interessi. Nella mia vita ne ho incontrate, non molte devo dire, ma quelle poche mi sono bastate e le ho spedite direttamente dans la pubelle. Stesso discorso vale per gli uomini.
*Le prevaricazioni sembrano moltiplicarsi in ogni campo e in ogni direzione…
Gli abusi, le prevaricazioni e le più sottili forme di violenza sono sempre in agguato. Come difendersi? Stando all’erta, cercando di capire le situazioni in cui ci troviamo, chi abbiamo di fronte ma anche chi siamo noi, soprattutto quest’ultima cosa non è scontata. Naturalmente ci sono casi in cui è difficile sottrarsi alle sopraffazioni altrui. Entrare nella testa di un’altra persona e prevederne gli intenti è tra le imprese più ardue.
*In quest’anno la tensione post-weinstaniana tra i due sessi è andata alle stelle. Tu cosa ne pensi?
Ho l’impressione che non se ne parli già più. L’intera vicenda ha avuto comunque il merito di scoperchiare un malcostume risaputo, per lo più taciuto e diffuso a tutte le latitudini, e non certamente da oggi. È auspicabile che qualcosa cambi nella mentalità maschile e che a loro volta le donne abbiano tratto da questa storia la forza di denunciare e di non subire. Anche qui però generalizzare è rischioso: ci sono uomini e uomini, donne e donne, situazioni e situazioni. Dipende dai contesti in cui accadono le cose. Discorso lungo e complesso.
*Ma ti sembra che questa tensione sia qualcosa di nuovo?
Se esiste una nuova tensione post-weinsteiniana non lo so. Credo che nel corso della Storia il rapporto tra uomini e donne abbia visto ciclicamente alternare momenti di evoluzione a momenti di involuzione. Oggi sono nate delle nuove consapevolezze ma c’è ancora molta strada da fare per arrivare a una forma di equilibrio e di rispetto tra i sessi. Conta molto il modo in cui ci poniamo gli uni con gli altri.
*Nel 2007 hai pubblicato “Ci siamo, un saggio sull’immigrazione in Italia e in Europa” (Sperling & Kupfer), anticipando gran parte delle tematiche sulla immigrazione che si sono scatenate in questi anni. Cosa ti aveva portato ad affrontare questo tema?
Ci sono miliardi di persone su questo pianeta e ci sono anche miliardi di tendenze e inclinazioni differenti. La diversità umana, pur nella sua sostanziale uguaglianza, mi ha sempre incuriosita. Da piccola non capivo perché ci fossero bambini con la pelle bianca e altri con la pelle scura. A quei tempi bisogna dire che di stranieri in Italia ce ne erano pochi, e quei pochi mi colpivano per la loro diversità. Senza contare che – nomen omen, un nome un destino –, la radice del mio cognome è Gher (Ger), in ebraico significa «straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste gherim (stranieri) nel paese d’Egitto»… Deve essere stato dunque un chiodo fisso di famiglia quello dello straniero e della diversità: perfino mio fratello, da bambino, si dilettava ad accoppiare criceti beige con criceti marroni con la speranza di vedere nascere dei cricetini a pois. Fuori di aneddoto, da giornalista ho iniziato a occuparmi di immigrazione negli anni Novanta, ho cercato di proporre una nuova narrazione degli immigrati che si erano integrati e ce l’avevano fatta. Volevo cercare, nel mio piccolo, di abbattere gli stereotipi che già allora esistevano e soprattutto le generalizzazioni. Già ai tempi si parlava di immigrazione soprattutto come minaccia ed emergenza da affrontare, senza tener conto che gli stranieri potevano – e possono – rappresentare anche una risorsa e nuove energie per la crescita di un paese. Oggi le lotte intorno ai temi di differenza e identità, la gestione dell’immigrazione, sono il tema del giorno. Forse ho anticipato troppo i tempi.
*Quali sono i principali temi che ami trattare nei tuoi articoli?
Diversi. Essere una giornalista vuol dire saper scrivere di tutto, così almeno diceva un mio direttore quando ero una giovane praticante. E così ho fatto nella mia carriera ormai più che trentennale. Ammetto tuttavia che lo sport e l’economia non siano mai stati quello che gli inglesi chiamano my cup of tea. Mi ha fatto comunque bene occuparmi anche di questi temi, tutte esperienze formative. Con il passare degli anni mi sono dedicata ad argomenti più legati ai miei interessi, dalla politica mediorientale, all’immigrazione alla critica letteraria e non solo.
*Una tua opinione sul modo di fare giornalismo oggi?
Oggi, pur amando ancora il mio mestiere, tranne rari casi, il giornalismo mi ha deluso. Per dirla con Wilde (Oscar), rischiando di apparire presuntuosa, «il giornalismo moderno non è affare mio difenderlo. Giustifica la sua esistenza attraverso il principio darwiniano della sopravvivenza del più volgare. lo ho soltanto a che fare con la letteratura».
*E il tuo lavoro in televisione?
La vita ha per noi in serbo piani misteriosi. Io ero una ragazza confusa, problematica, fantasiosa e molto insicura. Il caso mi ha fatto incontrare personaggi che mi hanno dato la possibilità di far emergere le mie qualità. Non so ancora se mi sono trovata nel posto giusto al momento giusto o se effettivamente avevo dei talenti. Di fatto ho iniziato a far le fotocopie nella sede Rai di Corso Sempione a Milano e un anno dopo giravo per il mondo a fare servizi, documentari e reportage per la tivù. Ho lavorato per qualche anno con Enzo Biagi – prima e dopo la caduta del Muro di Berlino – e da lì ho cominciato a lavorare per le maggiori televisioni e testate nazionali come giornalista e regista. In seguito ho proseguito per mio conto con dei progetti miei. Ho vissuto delle esperienze uniche e straordinarie e spero di viverne ancora.
*Hai pubblicato due guide, Europa low cost e Milano Etnica: perché queste guide?
Non le definirei propriamente delle guide. Erano piuttosto dei libri sostanzialmente diversi tra loro che raccontavano mondi dal mio punto di vista. Una guida è qualcosa di più preciso e meno soggettivo. Soprattutto Europa Low Cost che avevo scritto nel 2004, quando l’Unione Europea si apriva a dieci nuovi Stati: si trattava del passaggio storico da 15 a 25 Paesi con l’allargamento oltre l’ex cortina di ferro, ma entrarono a farne parte anche le isole del Mediterraneo, Cipro e Malta. Il libro è stato il frutto di un viaggio di qualche mese nell’Europa dell’Est. Le esperienze sono state molte e variegate: sono stata ospitata in un castello da una coppia di vecchi aristocratici polacchi e ho avuto qualche momento di panico come quando mi sono trovata da sola a viaggiare di notte su un treno vuoto attraverso la Slovacchia e l’Ungheria; e poi incontri con scrittori, capi zingari, politici, giornalisti, gente comune, studenti e professori universitari. Lo chiamerei un libro corale.
*Tu ami e hai amato molto viaggiare.
Sì, mi piace viaggiare, la vita non è fatta per essere vissuta in un solo luogo. Ma amo viaggiare per lavoro, con un progetto da portare a termine dopo un percorso di scoperta e conoscenza.
*Qual è la tua confort zone e come ti regoli a proposito?
Le abitudini radicate sono deleterie. Per quanto possibile cerco sempre di crearmi nuove sfide. Mi butto, preferibilmente con cognizione di causa, e poi sarà quel che sarà…
Cosa significa per te sentirsi a casa?
Significa stare nella casa dove passo la maggior parte del mio tempo. Non la ritrovo negli alberghi, non sono le case dei miei parenti o dei miei amici più cari, non è l’ovunque, non è l’altrove. È semplicemente la mia casa. Poi c’è un altro tipo di casa, quella interiore, ma è tutt’altra storia. Rappresenta la mia interiorità più profonda con le sue luci e le sue ombre..
*Appartieni alla comunità ebraica, in quali aspetti della tua personalità ti sei sentita formare proprio dalla cultura ebraica?
L’ebraismo ha esercitato su di me un grande fascino fin da bambina. Sento un forte senso di appartenenza. Mio padre era figlio di un’austro-polacca ashkenazita e di un lettone sefardita di Riga fuggito prima in Romania e poi in Turchia per approdare in Italia. Mio nonno commerciava in granaglie. Poi ci sono state ancora fughe, persecuzioni e finalmente la salvezza. Non tutti hanno avuto la stessa fortuna. Oggi posso dire di sentirmi a pieno titolo cittadina del mondo, ho avuto un’educazione cosmopolita, i miei genitori mi hanno insegnato il rispetto del prossimo. Rimane tuttavia dentro di me un’aderenza ai valori, al pensiero, alla tradizione e alla spiritualità ebraica dai cui non posso prescindere.
*E il tuo rapporto con la cultura e la spiritualità tibetana?
Il Buddhismo è un insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali che si sono evolute in modo diversificato nei secoli. Da quasi vent’anni, anche se in modo un po’ discontinuo, seguo gli insegnamenti del ven. Lama Paljin Tulku Rinpoce, fondatore e guida spirituale del Centro Studi Tibetani Mandala di Milano che fa parte dell’Unione Buddhista Italiana e dell’Unione Buddhista Europea. Ha centri associati in Italia e in Europa e opera in stretto collegamento con i Monasteri di Lamayuru e Atitse in Ladakh. Le attività del Centro sono legate all’applicazione del buddhismo tibetano nella vita di ogni giorno, sono aperte al dialogo interreligioso e non fanno proselitismo. Oltre ai praticanti, chiunque può essere introdotto alla dottrina buddhista senza vincoli di conversione, ma solo con l’intento di conoscere una tradizione che si basa sulla libertà dello spirito e sulla pace interiore.
*Quali sono, secondo te, i più grandi crimini che l’umanità sta compiendo oggi?
I crimini sono ovunque, a tutte le latitudini, il Male è tristemente spalmato su tutte le aree di questo pianeta anche se con intensità e forme diverse. Che siano le sofferenze inflitte al popolo siriano o ai poveri migranti vittime incolpevoli dei trafficanti di esseri umani, sono tutti casi di atrocità incommensurabili. E chissà quanti altri ce ne sono di cui non sentiremo mai parlare. Il Rapporto 2017-2018 di Amnesty International fornisce una completa analisi della situazione globale dei diritti umani in 159 capitoli-paesi e panoramiche regionali. Il Rapporto afferma che il 2017 potrebbe risultare uno degli anni più degni di nota nella storia recente dei diritti umani.
*Ti ritieni una persona giudicante?
Il non giudizio è difficile da praticare: diciamo che ci provo, ma se sento della negatività intorno a me mi sposto. Ogni tanto mi sbaglio
* E quali sono gli aspetti di luce dell’umanità oggi?
Ce ne sono moltissimi, ma per una tendenza insita nell’essere umano il Male attrae più del Bene. Il tema è stato ampiamente dibattuto da biblisti, teologi, studiosi e così via. Un omicidio efferato, un’ingiustizia o un crimine fa più notizia rispetto a un gesto di solidarietà, di rispetto o di correttezza. Come si suol dire, good news, no news. Ultimamente ci sono diversi tentativi di diffondere un’informazione e una cultura del Bene. Uno fra tutti il Corriere della Sera che attraverso un settimanale getta uno sguardo sul mondo dedicando spazio alle storie positive, al volontariato, alle associazioni, alle cooperative e alle imprese sociali. In breve, il Bene esiste, è luminoso, irradia luce, è contagioso, bisogna soltanto dargli più visibilità. Anche nelle nostre parole e nelle nostre azioni quotidiane.
*A proposito delle nostre parole, che rapporto c’è, secondo te, tra linguaggio e visione del mondo?
Ho intervistato di recente Claudio Magris, proprio su questo tema. Riporto qui la mia domanda e la sua risposta. Domanda: «Migrazioni, turismo, delocalizzazioni delle aziende, letteratura inclusa, rendono il linguaggio sempre più ibrido. Oggi si parla e si scrive sempre di più in “globish”, un inglese corrotto e impastato di Internet, emoticons, pubblicità, musica e fumetti, usato da circa due terzi della popolazione terrestre. Come si evolveranno le lingue in futuro?». Risposta: «È un discorso difficilissimo. Oggi ci troviamo dinanzi, forse per la prima volta nella storia, a una commistione, una mésalliance, un amalgama di nuovi linguaggi. Da una parte si tratta di un processo vitale, quasi corporeo, che poi diventa culturale e s’innesta sulle tradizioni. Dall’altra parte c’è anche un distruttivo e arido processo di perdita, di falsificazione, di omologazione del linguaggio. Personalmente ho simpatia per la trasformazione delle lingue, ma c’è differenza tra la trasformazione dell’italiano nei secoli, creativa e vitale fondata insieme sulla continuità e sull’apertura al nuovo, e rigide e morte formule come scrivere per esempio, «ci sei» con il numero, c6. Questo tipo di trasformazione equivale a una perdita totale di espressività […]».
*Ripromuovere la lettura potrebbe essere una delle possibili, se pur parziali, soluzioni…E allora veniamo a Bookcity, in che misura tu ne sei coinvolta?
Tutto quello che si fa per stimolare la lettura e a tenere vivo il libro è a mio avviso auspicabile. Bookcity è una rassegna importante e ricca di eventi con l’obbiettivo di avvicinare le persone alla lettura. Lo scorso novembre mi hanno chiesto di collaborare con la nuova rassegna BookCity nelle case: in pratica si trattava di leggere alcune pagine di un autore noto – io ho scelto Underworld di Don DeLillo – negli spazi più intimi dei cittadini milanesi che hanno deciso di aprire le loro case in occasione di questa iniziativa. C’erano persone preparatissime tra il pubblico, è stato stimolante anche per me.
*Se tu dovessi definirti quali aspetti priviligeresti di te?
Come ti dicevo prima certamente empatia e inclusività. E poi direi introspezione, visione, partecipazione, azione, concretezza.
* Quale spazio occupa nella tua vita e nel tuo sentire l’affettività?
L’affettività è importantissima, contempla le nostre emozioni, i bisogni che abbiamo, le richieste e le aspettative degli altri nei nostri confronti. In breve, va gestita cum grano salis.
*E concludiamo con Barney, il tuo inseparabile cagnolino, il tuo alter ego. Quali aspetti di te ritrovi in lui?
Barney non è il mio alter ego, mi guarderebbero strano se lo presentassi come mio vice… Fuor di battuta, lui è semplicemente il mio cagnolino, un barboncino di sette anni che mi segue ovunque. La sua presenza è positiva, mi fa ridere, mi fa compagnia, mi accetta per quella che sono. Mi sono abituata ai suoi ritmi e lui ai miei. Siamo in sintonia, ci amiamo e ci rispettiamo: lui fa il cane, io faccio me stessa.
Grazie Marina!