Un’ arte senza età : Mirella Bentivoglio, la ” luminosa” espressione del femminile, nel linguaggio come archetipo di comunicazione visuale.
Antesignana delle artiste visuali italiane, dalla lunghissima carriera, ha sperimentato dalla poesia concreta alla poesia visiva, alla poesia-oggetto. Compresa la fotografia.
Mirella Bentivoglio, è nata a Klagenfurt am Wörthersee il 28 marzo 1922, da genitori italiani: la madre, Margherita Cavalli e il padre, lo scienziato e medico Ernesto Bertarelli, i cui studi sulla sifilide furono fondamentali per la comprensione della malattia. Mirella trascorse gli anni dell’infanzia a Milano e compì gli studi umanistici,da poliglotta qual’ era, nella Svizzera tedesca, seguendo la famiglia per il lavoro del padre, e poi in Inghilterra, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel ’49 sposò Ludovico Matteo Bentivoglio del cui cognome si ammantò sia per la sua attività artistica sia per il significato (quasi un anticipo di poesia verbo-visuale). Il marito fu professore di Diritto spaziale ed in seguito esperto, presso l’ONU, di problemi di natura diplomatica concernenti le relazioni fra nazioni nello spazio cosmico, che si profilava affollato di lì a poco. Dal loro matrimonio nacquero tre figlie: Marina (1950), Leonetta (1952) e Ilaria (1960). Rimarrà vedova nel 1980.Ha vissuto a Roma e vi si è spenta il 23 marzo 2017 a 95 anni.
GLI INIZI
Giornalista, la sua prima raccolta di poesie in volume,”Giardino”, fu pubblicata dall’editore Vanni Scheiwiller nel 1943. Comprese ben presto di sentire una necessità di espressioni poetiche differenti, polimorfiche, che traghettassero la parola in ambiti altri, verso un linguaggio visibile, verso esperienze più prettamente visuali. Approcciò con la fotografia, e desiderò rivolgersi all’immagine; spiegherà in seguito: “Probabilmente un’emersione dall’inconscio: l’archetipo linguistico è pittografico”. Il ricorso all’immagine è stato una necessità di molti poeti d’avanguardia in tutto il mondo, già alla fine degli anni ’40. – I brasiliani avevano fondato la Poesia Concreta, agli inizi degli anni ’50, e precedentemente erano stati anche loro poeti in senso stretto, autori di versi. Gli artisti italiani Villa e Novelli, e proprio lui in particolare, nato anch’egli a Vienna,avevano trascorso un lungo periodo in Brasile in quegli anni; accadde dunque che si producesse un imprevedibile e fortuito “encouragement” artistico internazionale, che ai muoveva tra Vienna, Londra, Parigi , New York, San Paolo del Brasile, Roma, un circuito culturale nel quale contatti e scambi erano fermento puro: Novelli conobbe a Parigi anche Tristan Tzara e André Masson, Man Ray e Hans Arp. De Kooning e Cy Twombly gli ravvivarono l’ interesse per il rapporto tra pittura e scrittura: tutto così confluì in Roma che era uno dei principali centri di questo scambio di influenze. Vari pittori americani avevano portato nella Capitale il New Dada e l’espressionismo astratto, come Cy Twombly (al secolo Edwin Parker J. ) “C’era, insomma, nella capitale italiana, molta effervescenza, eppure nessuno si era mai preoccupato di fondare qui, per queste ricerche, un gruppo” – ebbe modo di considerare la Bentivoglio.
Nel 1948 si iscrisse al Sindacato Scrittori, divenne membro dell’ ACAIA ( Ass. Internazionale Critici d’ Arte) e si attivò nel campo pubblicistico.Seguì anche un seminario di studi americani a Salisburgo nel ‘ 59.
GLI ANNI SESSANTA – La poesia CONCRETO/VISIVA
Nel ‘ 63 pubblicò con De Luca Editore, una monografica sull’ artista americano di origine Lituana, Ben Shahn, morto in quell’ anno, pittore di impronta espressionista, socialmente e politicamente impegnato, fotografo e designer statunitense, come critica d’ arte.Ma la vera ricerca era già partita dai primi anni ’60.La Bentivoglio iniziò a praticare la poesia concreta già da allora, dopo aver letto un articolo su un quotidiano torinese che, appunto, ne parlava. “Per me è stata una rivelazione, come fare un buco e trovare il petrolio. Credo che tutte le mie prime opere, i primi testi-immagine, siano nati in modo ancora confuso in una sola notte. Evidentemente c’era questo bisogno, così tutto ad un tratto ho capito come avrei dovuto operare”.
Avendo così scelto fin da quegli inizi l’ambito dell’espressione verbovisiva (configurazione di lettere e parole, ossia Poesia Concreta, e coniugazioni di immagini e parole, cioè Poesia Visiva), organizzerà, in un’ottica di condivisione, numerose mostre collettive incentrate su questi movimenti. Il suo lavoro sul femminile nell’arte si è espresso con l’organizzazione di mostre che sono diventate un riferimento fondamentale per il tema di genere.
Un certo percorso però ha inizio nella seconda metà degli anni ’60, quando la Bentivoglio comincia a giocare con le parole.
Dal 1965 infatti si occupò di poesia concreta e di poesia visiva come critica e artista, creando composizioni con parole e immagini, collage, tecniche grafiche. Dalle sperimentazioni di poesia concreta, che valorizzano aspetti visivi della scrittura, passò alla poesia visiva, che più liberamente associa scrittura e immagine, e alla poesia oggetto, che opera interventi linguistici su oggetti e ambienti.
«Uso la parola come immagine dal 1966. E mai più di una parola per volta, per arrivare oggi ad usare quasi esclusivamente la pietra. Sono considerata, erroneamente, uno scultore, sia pure atipico; in realtà il mio lavoro si svolge, oggi come ieri, in un ambito totalmente poetico: tra linguaggio e immagine, tra linguaggio e materia, tra linguaggio e oggetto, tra linguaggio e ambiente. Ho dilatato l’uso della parola all’uso del simbolo: scelgo simboli universali, prelinguistici; matrici dei significanti, o, meglio ancora, matrici dei significati plurimi, dei significati aperti. […]. Utilizzo la forma dell’uovo come mio segno costante, emblema della vita, simbolo cosmico della perpetuità e dell’origine». Staccando le parole dalla frase, isolando sillabe e lettere, per poi combinare lettere dell’alfabeto, lemmi , immagini ed oggetti, in un gioco sapiente di correlazione fra linguaggi -verbale ed iconico- che si completano in una dimensione simbolica.
La sua ricerca si orienta all’ inizio sulla Poesia concreta, e poi diventa Visiva come ” Gabbia (Ho) ” sempre del ’66, partecipa anche in qualità di artista con l’opera emblematica Monumento (1966), realizzata con la pittrice Annalisa Alloatti, muovendo dall’esigenza di fare un censimento laddove storiograficamente c’era un vuoto. “Mentre altre città ( ad esempio Torino, Milano, Firenze, Spoleto , anche su differenti fronti artistici) e regioni, sono state molto più attente nello storicizzare questi fenomeni, qui si è tutto un po’ perso. Anche perché Roma è notoriamente distratta!”, affermava la Bentivoglio.
Il suo lavoro studia ogni possibile variazione sul linguaggio e gli apparentamenti o gli straniamenti di senso riscontrabili con il gioco delle frammentazioni e degli spostamenti, come appunto nel caso della cartella di Monumento, opera in cui l’artista smantella «il Monumento attraverso le lettere del suo nome. È una storia costruita con gli elementi alfabetici di quella sola parola», che viene anagrammata per trovarne altre idonee a rendere precaria l’identità del codice scrittorio in esame, praticando un lavoro che sottolinea il metodo della “SEGRETEZZA RIVELATRICE” assai prossima all’ambito enigmistico ma dal profilo valoriale poetico; per dirla un po’ con Filiberto Menna, Mirella Bentivoglio grazie ad un personalissimo gusto critico, che utilizza anche in senso poetico e non di rado polemico ma comunque all’ interno del suo “”linguaggio”, supera l’ impasse della segretezza rivelatrice per organizzare esposizioni esemplari e impaginare, «in un’ottica di condivisione» e di partecipazione, saggi visivi legati all’ambito della scrittura iconica e pittoverbale”.
Ella costruisce così, negli anni, una frequentazione operante,”militante” appunto, luminosa, rivelatrice, la cui luce rileva la sua personale necessità-cui saprà raccordare una percepita necessità collettiva- rivelando l’esigenza di mostrare un percorso sulle cose e sulle parole: per non perdersi, per tramandare, per costruire orditi e trame in un tessuto archetipico e collettivo.
Nel 1968 pubblica la raccolta ” Calendario” per Vallecchi e e Successo ( Success ).Sempre nello stesso anno ottiene l’idoneità all’insegnamento di Estetica e Storia dell’arte nelle Accademie italiane.
GLI ANNI SETTANTA
Le curatele importanti
Condividendo gli ideali (ma non la militanza strettamente politica) del femminismo, la sua attività critica e organizzativa sarà orientata, tra le altre cose, comunque e sempre verso il femminile. Prima in Italia, si occupa, a partire dagli anni Settanta, di coinvolgere artiste italiane e straniere per mostre internazionali. Numerose le iniziative di arte al femminile che organizza in Italia e all’estero; fautrice delle artiste, produce una attivività operosa e paradigmatica della condizione femminile che negli anni ’70 del XX°sec è segnata da grandi conquiste e riscatti in diversi ambiti dell’arte e della vita quotidiana.
Del ‘ 70 è ” Ti amo “. Nel ’71 c’ è anche Pagina-finestra (Window-Page) e Fiore Nero (Black Flower), che rappresenta bene il suo lavoro di poesia visiva.
Nel ’71 organizza poi l’Esposizione Internazionale di Operatrici Visuali al Centro Tool di Milano, la prima di questo settore operativo dedicata ad artiste donne: nasce il desiderio di coinvolgere artiste italiane e straniere con lo scopo di puntare l’indice sulla creatività femminile e di organizzare discorsi esemplari.Anche la tridimensionalità entra nella sua opera come in I trucchi della scrittura del ’72 in cui gioca con le parole “Essere sul punto di” in senso spaziale. La fotografia interviene spessissimo a supporto e documentazione di tutte le opere, sia quelle in pietra , sia di poesia visuale. Spesso le opere fotografate diventano le copertine dei suoi libri.
La sua prima opera scultorea che usa il libro e l’uovo è Poema Totale ( Total Poem ), 1974.Sempre del ’74 è ” Artivisive – poesiavisiva” ( Editrice Magna ).Nel 1975 pubblica ” Poesia Visiva” e nel 1976 “Poesie in sequenza” ( Edikon ).
” Il cuore della consumatrice ubbidiente” è un esempio di poesia visuale in 2 versioni (una delle quali ammirabile a Bari in questi giorni al Museo Nuova Era), del ’75 e del ’76 . Queste due immagini si ripresentano in molte delle sue opere successive, e appaiono in uno dei suoi lavori più notevoli, L’Ovo di Gubbio ( The Egg di Gubbio ),opera ambientale in pietra del 1976.Il livello sperimentale delle sue opere, approfondito dalla interazione con le
immagini, si è mostrato particolarmente interessato a figure archetipiche come l’uovo, che nasce fondendosi con la lettera O, interesse evidente anche in altre sue opere più recenti, visivamente più comunicative. ( “Utilizzo la forma dell’uovo come mio segno costante, emblema della vita, simbolo cosmico della perpetuità e dell’origine”. ) – simbolo di origine primigenia – utilizzato in diversi contesti e tecniche come appunto nell’Ovo di Gubbio.Sempre nel 1976 Bentivoglio crea un altro lavoro per la città italiana di Gubbio , dal titolo all’albero Poesia ( Il Poema all’Albero ). Questo pezzo di arte performativa consisteva nel sollevare nella piazza principale della città un albero e invitare i passanti a scrivere qualcosa su un pezzo di carta, e quindi ad attaccarlo all’albero. Bentivoglio quindi raccolse i giornali e ne scelse alcuni tra loro per creare un poema unico. L’ Ovo di Gubbio, l’Albero Capovolto, il Libro-campo sono sue opere certamente di matrice linguistico – simbolica.La lettera alfabetica, resterà sempre fondamentale, in quanto è il punto di collegamento con l’archetipo pittografico.Pian piano utilizza i grandi simboli, trovando questo linguaggio appropriatamente globale, anche attraverso la forma delle lettere alfabetiche.
LA BIENNALE DI VENEZIA
Nel 1978, proprio mentre Argan la chiama a stendere la prima voce “Poesia visiva” per il Supplemento all’Enciclopedia Universale dell’Arte (Unedi, Fondazione Cini) la Bentivoglio è chiamata a curare la mostra “Materializzazione del linguaggio” alla Biennale di Venezia. Un evento apripista che, se da una parte ufficializza il suo lavoro critico, dall’altra rappresenta il primo esempio storico, in Italia, di un’esposizione dedicata integralmente al mondo femminile e alla sua creatività.
Bentivoglio invita ottanta artiste operanti nel campo della poesia visuale o pittovisuale.Questa storica mostra è a tutt’oggi un unicum per le istituzioni italiane, mai più ripetuta neppure alla Biennale di Venezia. Nel catalogo viene spiegato che la donna è stata: «smaterializzata in passato nella sublimità astratta della sua pubblica immagine, parallela alla sua pubblica assenza; privatamente confinata nel contatto quotidiano e esclusivo con le materie, la donna oggi pone tutta se stessa a un mondo derealizzato nei meccanismi ripetitivi. Le nuove forme di poesia sono la riappropriazione di ciò che lei, insieme con l’uomo, ha elaborato dalle sedi primarie dell’esistenza, il linguaggio; (…) la poesia della donna tende spesso alla specularità, circolarità, complementarietà, primarizzazione sottile o violenta. E se è vero che nel suo risultato finale l’espressione poetica, di uomo o di donna che sia, è sempre totale, ermafrodita, è anche vero che il raggruppamento di molte opere provenienti da tempi e da luoghi disparati evidenzia certe costanti di scelte e di procedimenti.(…)
“C’è da credere a un rapporto profondo tra la donna e l’alfabeto, e non solo perché per prima ne trasmette la forma ai figli. “ (M. Bentivoglio, Introduzione a Materializzazione del linguaggio, Biennale di Venezia, 1978) Questo lavoro fu molto importante per lei, proprio per “capirsi”. Per capire
la condizione femminile di artista legata alla scrittura. “Il linguaggio è lo strumento del potere, della storia, della legge che ha emarginato la donna nel pubblico silenzio. Ma la donna vive il linguaggio come strumento di comunicazione al di fuori dei meccanismi alienanti. Ha con il linguaggio un rapporto intimo, caldo, ed è lei a darlo al bambino. Ho trovato che le artiste sono particolarmente dotate in questo settore operativo, e non sufficientemente conosciute”. Con la cura di circa trenta mostre al femminile in tutto il mondo (tra l’altro alla Biennale di San Paolo, alla Columbia University di New York, ecc.) condusse questo lavoro di promozione, e anche di analisi, di confronto anche oltre il lavoro della Biennale di Venezia. Quanto poi al rapporto che l’uomo-artista ha con la scrittura è, la Bentivoglio lo stigmatizza invece, nel settore verbovisivo, decisamente polemico. L’uomo, nel linguaggio, colpisce il potere come per liberare la via della comunicazione.Ma ne fa un’ altra strada di potere. Una azione iscritta nel potere, agisce un potere. Si manifesta pertanto la linea evolutiva di un percorso di ricerca dipanatosi poeticamente in tutto il decennio degli anni settanta, dalla mostra del ’71, al Centro Tool di Milano, fino alla biennale di Venezia del ’78.
Se scrivere è scendere nella propria essenza, essere presenti in se’ e assenti al mondo, senza esercitare alcun potere,l’essenza della donna che scrive, o tesse, o cuce in un angolo della cucina o della casa è l’ unico gesto di ribellione possibile. “Scrivere solo di Domenica. Mia cara amica uscire solo di Domenica. Domenica è l’unica giornata femminile della settimana.” (Tra linguaggio e immagine. Saggio di Mirella Bentivoglio, 1976. Cfr. “Il canale di Venezia”).Il linguaggio, – Logos – maschile – (linguaggio e legge), contro la Mater,(madre e materia) – l’ immagine – femminile.L’ incontro alterato, il Crossing Over mistificato degli archetipi ancestrali. La Bentivoglio sceglie quindi “Materializzazione del linguaggio” quale titolo per il settore arti visive e architettura della Biennale di Venezia del ’78 per aggrumare emozioni profonde e archetipi storicizzati in evidenze storiche, in un percorso programmatico tutto dedicato all’investigazione visiva sul come e quanto ricondurre la scrittura asemantica alla traduzione matrilineare, attraverso la dimostrazione, visuale o pittovisiva, che i primi gesti linguistici sono propri delle donne, così come lo è la millenaria proprietà del linguaggio di strutturarsi in tessiture, orditi, trame,ricami. Nei millenni quasi sconosciuta è la parola delle donne – pochissime poetesse, solo Saffo in Grecia antica, le donne non hanno mai diritto alla parola: questa resta proprietà e istituzione dell’uomo, organizzata in falsità e menzogna,solo per consolidare valori e sentenze maschili e predatorie.
Da qui il doppio passo della sua ricerca, della poesia visuale, della pittovisualità: uno verso le regioni siderali delle lettere o le sue declinazioni femminili d’incarnazione e dolenza, l’altro verso la guerriglia semantica, la contestazione, lo smascheramento, la resistenza e la liberazione della parola dall’asservimento al commercio e alla pervasività persuasiva dei mezzi di comunicazione (Mirella Bentivoglio è l’unica a cercare di conciliare prodigiosamente queste due vocazioni, incastonando lettere come perle, ma perle di un rosario esplosivo e iracondo- G.Garrera).Scrittura-spazio e suono-tempo ricreano quindi l’unità sotto il segno di uno strano ritmo intessuto. Perché una connotazione veramente particolare di queste operazioni femminili è il trasformare il linguaggio in un tessuto. …la via scoperta lungo un filo di memorie,il raggio di luce che illumina una via dimenticata o segreta, verso l’ inconscio femminile, dove la donna incontra i propri miti : Il filo delle Parche, di Arianna, di Aracne, il filo di un discorso sempre spezzato nel tempo , finalmente recuperato. C’è ancora della distanza da un’idea di arte portatrice di messaggi ideologici o dalla mera rivendicazione di una maggiore presenza femminile nel mondo dell’arte; piuttosto il lavoro della Bentivoglio – tanto come curatrice quanto come artista – ha gettato luce, in modi nuovi ed originali, su questioni politiche ed estetiche che, a partire da quegli anni, hanno attraversato l’arte delle donne e la loro vita, e di cui l’artista, nel corso del suo lungo impegno intellettuale, è stata espressione.
“Ho dilatato l’uso della parola all’uso del simbolo: scelgo simboli universali, prelinguistici; matrici dei significanti, o, meglio ancora, matrici dei significati plurimi, dei significati aperti”, chiariva la Bentivoglio. A queste tematiche non sono perciò estranee le eperienze nel campo della performance e della poesia fonetica (Lettura come poesia, Gubbio 1979).