Per Marilia Vesco fare architettura vuol dire avere la capacità di dare voce allo spazio che ci circonda in modo che esso interagisca con noi donandoci bellezza, armonia e funzionalità, sia alla micro che alla macro scala.
Il 26 febbraio scorso al Piccolo Teatro Grassi di Milano, in occasione della serata di tributo a Nanni Svampa a sei mesi dalla sua scomparsa ho conosciuto la voce di Marilia Vesco e le sonorità jazzistiche abilmente combinate alle sonorità che rimandano alla terra delle sue origini, la Sicilia. Ma solo in tempi più recenti, grazie ad un’amica comune, ho scoperto che Marilia è anche architetto: musica e architettura convergono nella sua progettualità, perché la sua musica è ricca di evocazioni legate allo spazio, così come la progettazione risente del benefico fluido che scorre attraverso la musicalità. Marilia è cantautrice, polistrumentista, interprete e compositrice jazz e dal 2000 si è esibita a Roma ed in Italia nell’ambito dei circuiti legati alla musica jazz. Nella costante volontà di contaminazione dell’attività di architetto con quella musicale, si è unita in passato al gruppo “Just friends”, composto principalmente da architetti, partecipando con loro ad eventi organizzati dalle università di Architettura e producendo un disco per la diffusione del corso “Progettare per tutti senza barriere architettoniche”. Nella sua incessante attività, in occasione della partecipazione al festival “Lucca Jazz Donna” del 2008, costituì un gruppo Jazz al femminile, le “Just 4 Jazz ladies” ridenominato “Jazz Ladies project”. Marilia ha vinto ben tre edizioni del Premio Lunezia, nella sezione “Musicare i Poeti” con la poesia di Pier Paolo Pasolini “Supplica a mia madre” nell’edizione 2011, con la poesia di Mario Luzi “La sera non è più la tua canzone” nel 2014, ed infine nell’ultima edizione con la poesia di Maria Luisa Spaziani “Come in una cattedrale”.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
I miei genitori, mio padre in particolar modo, auspicavano per noi il “posto sicuro” e volevano indirizzarmi verso studi più brevi e concreti. Negli anni ’90 era ancora visione comune quella di cercare il posto fisso come meta della realizzazione professionale. Mia madre non insisteva più di tanto perché lei è stata una delle pioniere della piccola media impresa femminile a Palermo. Negli anni ’50 aveva avviato un suo piccolo atelier di alta moda. Ed era apprezzatissima dalle nobildonne palermitane che la chiamavano “Ago d’Oro”. Purtroppo abbandonò per seguire gli impegni familiari. Cosa che oggi sarebbe impensabile. Quando decisi di fare architettura mio padre non mi parlò per giorni. Mia madre invece disse: “fai quello che tu senti, segui le tue vocazioni per non avere mai rimpianti, ma fallo sempre responsabilmente”
Il suo esempio è stato per me più incoraggiante di qualsiasi parola.
Che cosa significa per te “fare architettura”?
Per me significa avere la capacità di dare voce allo spazio che ci circonda in modo che esso interagisca con noi donandoci bellezza, armonia e funzionalità, sia alla micro che alla macro scala. Mi sono specializzata in disegno industriale e ho sempre avuto molto interesse per la dimensione abitativa. Ma nello stesso tempo i miei venti anni di attività come segretario nazionale di Europan Italia, mi hanno sensibilizzato al senso della città e alla valorizzazione degli spazi urbani come risorsa per la sconfitta del degrado sociale. Il vero architetto per me deve interpretare e valorizzare la visione del committente rinunciando ad imprimere a tutti i costi la sua firma che rischia sennò di diventare un cliché.
Che cos’è per te la Bellezza?
Pienamente d’accordo con Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. Sono sicura che lui non pensava ai vip siliconati del terzo millennio o al lusso, ma a quel senso di armonia che ognuno di noi è capace di creare in quello che fa. La ricerca di bellezza come equilibrio di ciò che permea la nostra mente e il nostro spazio. Uscendo dal campo dell’architettura, essendo un’amante della buona cucina, mi piace proporre un paragone. Immaginate un panino con dentro schiaffata una mozzarella, pomodoro, olio e origano. E poi immaginate un piatto colorato, che ospita una mozzarella a fette sottili…alternate con fette sottili di pomodoro…e per finire un filo d’olio d’oliva e un pizzico di origano… il tutto con pane aromatizzato all’aglio, che in Sicilia diremmo “stricatu cu’ l’agghia”. E per le nostre città? In generale sono convinta che la bellezza è dentro ognuno di noi, ma occorre creare le condizioni, mostrare gli esempi, perché venga fuori: la rigenerazione parte dunque dall’esempio.
A chi ti ispiri?
Il Less is more di Mies van der Rohe ha sicuramente spianato la strada all’architettura moderna. In generale tendo verso l’architettura organica, ma dipende! Mi sono formata all’Università di Palermo nel periodo di Gregotti, circondata dall’architettura arabo-normanna e dal liberty siciliano di Ernesto Basile. Quindi cerco sempre di essere me.
È più difficile per le donne affermarsi e salire ai livelli più alti?
Inutile girarci intorno, ancora bisogna fare tanta strada affinché il riconoscimento professionale ed economico sia paritario. Ammiro sempre le donne che conquistano i vertici. Ovviamente quelle che lo fanno con le loro forze e la loro preparazione. Poi è chiaro che la fortuna gioca sempre il suo piccolo ruolo, ma questo vale sia per gli uomini che per le donne.
Pensi che nell’Italia di oggi ci siano ancora dei pregiudizi nei confronti di una donna architetto?
Non posso dire di avere avuto particolari incidenti di percorso dovuti al mio essere donna, ma, soprattutto dopo la laurea, ho dovuto rinunciare a qualche collaborazione con studi professionali per incompatibilità con il titolare dello studio. Come architetto ho spesso la sensazione di dover fare il triplo del lavoro ed essere più aggressiva di quanto vorrei, per dimostrare di essere all’altezza di un lavoro ancora considerato maschile.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
Oggi non credo. Le possibilità sono date a tutti. Nei concorsi di Europan vedo tantissimi gruppi premiati in tutta Europa a principale composizione femminile e anche nelle fasi successive ai concorsi dimostrano grande professionalità e sono considerate paritariamente.
Come concili l’attività professionale con la tua duplice attività di compositrice e musicista?
Sfrutto tutto il tempo a disposizione: diciamo che non mi annoio mai! Alcune volte mi sembra di vivere due vite parallele ma poi scopro che l’una sostiene l’altra. Dal punto di vista degli impegni sono agevolata dalla mancanza di figli. Questa parte di amore non dato lo metto a disposizione della musica. C’è stato un momento, dopo la mia seconda tournée in Australia, in cui ho dovuto scegliere se seguire il successo commerciale con laute risorse economiche ma ho invece privilegiato i miei interessi musicali un po’ più di nicchia come il jazz, condito da tutta la musica che mi ha influenzata – incluso il cantautorato italiano – pervenendo così ad una conciliazione tra Musica e Architettura, risparmiandomi chirurghi plastici e partecipazioni a programmi stile “L’isola dei famosi”… orrore!
Qual è stato il progetto architettonico che ti è rimasto nel cuore?
Un progetto d’interni. Una casa sul litorale laziale che ha la caratteristica di guardare il mare da una parte e il centro storico dall’altra. Ho giocato sul total white come foglio bianco sul quale una splendida coppia con un bambino, hanno scritto quello che volevano. La felicità negli occhi dei clienti che sentono la casa come se l’avessero disegnata loro è impagabile. Questo me lo ha insegnato il bravissimo interior designer Santi Cinà, con il quale ho collaborato per qualche anno a Palermo, un sapiente maestro per quanto riguarda il trattamento degli interni.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Non mi sembra che stiamo messe male …. Abbiamo colto tutte le opportunità creative che la nostra formazione ci permette – dal cucchiaio alla città – siamo più resilienti degli uomini. Le percentuali di donne architetto sta crescendo molto in Europa con circa il 60% di donne in Grecia, il 50% in Svezia e Danimarca, e il 40% in Germania, Italia e Francia.
Che rapporto hai, nel tuo lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?
La tecnologia è uno strumento fondamentale per la gestione di tante nostre attività, sia quotidiane che professionali. Io cerco di utilizzarla al meglio. Sono una Apple dipendente dal primo classic mac, quindi dagli anni ’90. Ma ho dimestichezza con tutti i sistemi operativi. Mi piace controllare i devices e non esserne controllata. Però la matita è la matita, irrinunciabile così come i piccoli taccuini che tengo sempre in borsa. Certo non ce la farei se il bip del telefonino non mi ricordasse gli appuntamenti.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Seguo personalmente tutta la parte dell’abitare perché è necessario entrare in sintonia con i committenti. E’ una sorta di viaggio insieme… Ovviamente mi avvalgo di colleghi specializzati in base alle diverse necessità e non disdegno né ingegneri, né geometri perché ognuno con le sue competenze completa l’intero iter realizzativo.
Nell’ambito dei progetti di rigenerazione urbana attraverso i concorsi di Europan, cambia lo scenario ad ogni edizione, sulla scorta dei temi affrontati e delle città che partecipano; questo per dire che sono abituata a gestire team di lavoro temporanei che mi seguono nell’arco di circa diciotto mesi e poi si sciolgono.
Quale è stato il tuo approccio nella guida del tuo studio?
Vedo molto il mio lavoro in mobilità. Condivido lo studio con l’abitazione, secondo il concetto di casa atelier, e gli strumenti digitali mi aiutano molto nella gestione dei progetti. Ritengo che lo studio nel senso classico del termine si possa superare. L’idea del co-working mi piace molto.
Cosa consigli a chi vuole investire nei propri progetti e intraprendere una carriera come la tua?
Completare gli studi prima possibile e abilitarsi subito. Cercare all’inizio di acquisire più competenze possibili attraverso l’esperienza. Sono ancora sostenitrice della gavetta purché non si trasformi in sfruttamento. Conoscere più sfaccettature possibili della nostra professione ci fa capire che tipo di architetto vogliamo essere. Non dedicare più di 2/3 anni per decidere e poi concentrarsi sulla propria attitudine.
Quali sono le caratteristiche o le qualità che prediligi nella selezione dei tuoi collaboratori\trici?
Il senso critico, che per me si traduce nell’affrontare il lavoro con consapevolezza e l’interesse mostrato per quello che si svolge; tutto il resto si può imparare. Lavorare con la propria testa e non eseguire compiti senza capirne la finalità. Non sempre purtroppo ho trovato queste caratteristiche, ma quando le ho incontrate i risultati sono stati molto positivi. Giusto per citare una mia infaticabile collaboratrice, Claudia Cesario, ora è in pensione ma continua ad inviarmi link che riguardano i temi della rigenerazione urbana.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura?
Consiglierei certamente Architettura. Anche una delle mie nipoti sta intraprendendo questa carriera e sono molto contenta. Mi sentirei di consigliare di cercare di mantenere sempre attiva la rete di collaborazione con i colleghi e di fare squadra. Serve a crescere.
Cosa vuol dire per te fare design (o architettura) oggi?
Come dicevo prima forse bisogna essere resilienti. La parola più adeguata in tempi di crisi è “adattabilità”. Penso sempre al film “L’uomo senza passato”, diretto da Aki Kaurismäki, quando immagino il nostro ruolo nel mondo professionale, a qualunque scala noi lo facciamo. In particolare la scena in cui, di fronte alla terribile situazione di non ricordare chi era e non avere neanche un soldo in tasca, trova alloggio in un container. E lo arreda. Vi consiglio la visione perché è geniale.
C’è una donna architetto a cui ti ispiri? E una donna musicista e cantante?
Mi piace guardare nella nostra contemporaneità e, per la sua preparazione, grinta e professionalità direi Guendalina Salimei e non perché ci conosciamo da vent’anni ma per la sincera stima professionale. Per quanto riguarda la musica, potrei dire quattro nomi che racchiudono un po’ il mio mondo, Ella Fitzgerald, Jony Mitchell, Esperanza Spalding e Noa.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
Diciamo un oggetto di design della mia collezione Mari Electra. Ho iniziato a riciclare componenti elettrici e piccoli elettrodomestici nel 1996. Quando ancora neanche si parlava di re-design e il primo prototipo sul quale ho lavorato è stato il frullatore che mia madre utilizzava quando eravamo bambine. Poi il bicchiere in vetro si è rotto e adesso si chiama “frulamp” ed è una delle mie lampade preferite.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
Una bottiglia d’acqua, fogli di carta da lucido, matita e, se sto progettando un buon disco di Jazz
Una buona regola che ti sei data?
Cerco di pianificare il più possibile le mie giornate. Di regole me ne dò tante, altrimenti non potrei fare tutto quello che faccio ma lascio sempre dei margini per trasgredirle.
Il tuo working dress?
Dipende dalla situazione. Mi piace vestire sempre in modo appropriato al contesto. Però sono una motociclista e quindi considero anche gli aspetti funzionali. Diciamo che nel quotidiano vesto uno sportivo/elegante ma ci tengo molto alla femminilità.
Città o campagna?
Direi mare!…Scherzi a parte, penso che nell’arco della nostra vita cambiamo anche i luoghi dove desideriamo vivere. Fino ad oggi sento di desiderare ancora il pulsare della città, in futuro chi lo sa…
Qual è il tuo rifugio?
La mia sala musica.
Ultimo viaggio fatto?
In questi ultimi anni ho prediletto l’Italia, ma ho desiderio di esplorare nuove mete internazionali. Per via di Europan giro l’Italia in lungo e in largo, ma anche l’Europa. L’ultima meta europea è stata Amburgo. Sono rimasta incantata dalla Elbphilhamonie progettata da Herzog & De Meuron e da tutto il piano di rigenerazione verde della città. Pannelli solari sui tetti degli edifici, un mix energetico con impianti geotermici o solari e pompe di calore che sfruttano l’acqua dell’Elba, piste ciclabili … eccezionale qualità di vita.
Il tuo difetto maggiore?
Il mix esplosivo di un’eccessiva sensibilità unita alla mia cocciutaggine: vado come un treno e, senza volerlo, travolgo chi mi sta vicino.
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno… un ottimismo smisurato.
Oggi si direbbe che ho la capacità di trasformare le criticità in opportunità. Forse è così.
Un tuo rimpianto?
Uno di poca importanza: aver rifiutato l’opportunità di lavorare presso uno studio di architettura a Brisbane in Australia nel 2006. Ammetto che mi ha spaventato la lontananza da tutti i miei affetti. Per il resto ancora non ho rimpianti.
Work in progress….?
La nuova edizione di Europan – la quindicesima – nella quale festeggiamo trent’anni di attività, e per la quale speriamo di avere siti interessanti e amministratori illuminati; d’altro canto la preparazione di un nuovo spettacolo musicale/teatrale con nuove mie composizioni.