La storia è attraversata da uomini e donne, ma per secoli i passi compiuti dalle donne sono stati marginalizzati e relegati in un angolo, subordinati e oscurati da una narrazione monosessuata al maschile. Una storia che è relazioni e intrecci tra i generi sarebbe zoppa senza considerare il genere femminile. Pertanto nella ricostruzione è fondamentale ricomporre un modello relazionale, di rapporto e di incontro/scontro tra i generi.
La cittadinanza è un concetto che irrompe con la Rivoluzione francese, con l’avvento dei diritti universali dell’uomo. E l’altra metà, le donne che posto occupavano? Nel 1791, Olympe De Gouges con la sua Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadina, rimise ordine e cercò di portare un equilibrio per il quale pagò con la ghigliottina, dimentica delle “virtù che convengono al suo sesso e di essersi immischiata nelle cose della Repubblica. Olympe, insieme a Théroigne de Méricourt (che aveva proposto la formazione di un battaglione di donne per partecipare alla guerra, fu rinchiusa in manicomio) rappresentano il tentativo di mobilitare le donne per la causa della liberazione dall’oppressione di un potere gestito solo dagli uomini.
Nel 1792, a Londra, Mary Wollstonecraft pubblicava “La rivendicazione dei diritti delle donne”, le donne per superare la loro condizione subalterna dovevano prendere coscienza del loro valore sociale attraverso l’educazione, dando centralità al valore pubblico e politico della dimensione personale.
Quando parliamo di “cittadinanza di genere” cosa intendiamo, di quali specificità è portatrice? L’essere donne, uguali e differenti, essere partecipi della vita sociale, politica, comunitaria significa garantire benessere e miglioramenti per tutte le componenti. Questo è il farsi e il potersi fare cittadina, esercitando consapevolmente e pienamente i propri diritti, conoscendone in primis l’origine e il cammino che ci ha portato ad acquisirli. Quali soluzioni, quali risposte, quale qualità della vita, quale grado di attenzione, quale priorità sono state accordate alle donne? Quale la nostra autonomia e quale la nostra capacità di incidere e di cambiare il corso degli eventi e della storia, quali sono state le nostre parole davanti alla storia e alle sue sfide? Quanto è solida e ampia la nostra democrazia? Quanto dipende dalla presenza e da un’azione delle donne? E se si smarrisce ciò che è stato il contributo delle donne per pigrizia o per una solerte “operazione dimenticanza”, cosa accade?
E lo notiamo quando in un momento di crisi e di difficoltà, quando si parla di riforma e di costruire una nuova stagione per un partito, ritroviamo ancora una volta tra i relatori di un evento solo degli uomini.
Nessuna discontinuità. Tutto cambia attorno, ma non sembra che ci sia la volontà di accorgersene e di dimostrare di voler intraprendere un cammino diverso. E non crediate che non ci siano donne in grado di spingere e di segnare una nuova stagione. Le energie ci sono, ma a furia di non includerle e di non valorizzare ciò che è autenticamente differente, si ha la sensazione di un immobilismo ripiegato su se stesso. D’altronde cosa e chi si pensa di rappresentare se non ci si accorge di queste anomalie?
A volte sembra tutto molto simile nelle difficoltà a quando nella Consulta del 1945 si discuteva sull’opportunità di estendere il diritto di voto alle donne, con i partiti di massa che ne temevano le conseguenze, tra calcoli politici e dubbi sulle loro capacità di scelta. Le donne andavano educate alla partecipazione: “C’era da “alfabetizzare” un intero popolo alla politica, alla partecipazione, all’espressione delle proprie istanze, alla democrazia rappresentativa. Ancora più importante diventava la formazione delle donne, escluse da sempre, ritenute non idonee alla politica e alla vita pubblica.”
Pio XII allertava le conseguenze sugli equilibri del focolare domestico. Nel febbraio del 1946 con 179 voti contro 156 contrari, le donne riuscirono a conquistare il suffragio. Il 2 giugno 1946, 21 donne vennero elette all’Assemblea costituente. Solo 5 donne entrarono a far parte della Commissione Speciale, detta “dei 75”, incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula: Maria Federici (DC), Teresa Noce (PCI), Angelina Merlin (PSI), Nilde Iotti (PCI) e Ottavia Penna Buscemi (UOMO QUALUNQUE).
Fu l’occasione di riscatto civile per tutte le donne, la testimonianza di una volontà di voler rappresentare le italiane tutte. Ci riuscirono facendo squadra. Numeri esigui ma che seppero segnare l’anima della nostra Carta costituzionale: il principio di uguaglianza (art. 3), la famiglia e il matrimonio (artt. 29, 30, 31) il lavoro femminile e la parità di retribuzione (art. 37), il diritto di voto (art. 48), l’accesso alle cariche politiche elettive e amministrative (art. 51). Il clima ostile non permise da subito l’ammissione delle donne nella Magistratura, ma non per questo si smise di lottare: dovremo attendere il 9 febbraio del 1963.
Un contributo ampio, oltre le questioni femminili, volto a costruire un nuovo tessuto democratico, con un pensiero e soluzioni con sguardo di donna, che fosse finalmente anche a misura di donna.
Il tema della cittadinanza femminile non è un orpello decorativo da commemorazione, lo si vede plasticamente quando viene messo nell’ombra: gli effetti e i risultati sono in frenata, in retromarcia.
Teresa Mattei intervenne nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente:
“Il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo”.
Il passaggio dalla carta alla pratica nella realtà è tuttora in atto, un’eredità di cui dobbiamo innanzitutto essere consapevoli. Un lavoro che implica uno sforzo comune tra uomini e donne, che rileva il grado di maturità di un Paese e il livello di superamento dei muri di genere.
Stando alle vicende di questi ultimi mesi/giorni, si stenta a credere che ci sia sufficiente senso di responsabilità e senso del valore di istituzioni e della nostra Carta. Se manca il passaggio intergenerazionale, il rischio di tornare indietro è purtroppo molto concreto. Ciò che è accaduto ha mostrato alcuni gravi segnali di un cortocircuito prodotto da una sorta di smarrimento delle fondamenta comuni della nostra casa. Nel chiacchiericcio e nei calcoli da perenne campagna elettorale si sono disciolte, rendendo più arduo un discorso politico serio e di qualità. Tutto e il contrario di tutto, in un modello gattopardesco che parla di “cambiamento”, in un gioco pericoloso di ribaltamento di significato.
E noi donne di cosa abbiamo paura? Cosa stiamo aspettando? Ci andranno ancora bene i meccanismi di stampo maschile che ci sottraggono opportunità di rappresentanza autentica e puzzano di tanfo patriarcale? Ci andranno bene soluzioni e proposte politiche che non tengono conto della nostra voce e del nostro punto di vista?
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