Scrittura e felicità sono coesistenti solo sulla carta. Questa è la mia dolorosa riflessione nel pensare alla triste fine che accomuna numerosi grandi autori.
Solo nei rivoli di inchiostro che solcano le pagine bianche prima intonse e poi vissute di chi le traccia e di coloro che le scrutano, le analizzano, rivolgono loro occhiate qua e là rapite o superficiali, solo lì esiste una trasposizione di pensieri connessa al benessere.
Si può scrivere di felicità, ma difficilmente è possibile vivere questo stato dell’anima scrivendo.
La scrittura è una brutta bestia e lo affermo pur sapendo che scrivere è vitale per tutti quelli che sentono dentro di poter comunicare prevalentemente attraverso parole tracciate su pagine bianche, così come attraverso i pixel di un blog.
Che ragione mai potrebbe avere una donna che possiede sensibilità e talento, un aspetto gradevole e modi gentili, generosità e acume di essere triste?
Guardi il volto di Hemingway e scorgi le tracce incise dalla vita. Le stesse che puoi osservare nelle pieghe espressive di Virginia Wolfe e nel velo del disincanto che toglie trasparenza allo sguardo di Cesare Pavese.
Osservi il viso di Alessandra Appiano e rimani incantato dalla sua bellezza brillante e luminosa, che non può raccontare di nulla che non sia gentile e armonioso, soave e delicato.
Riconosco il mio pensiero come fortemente intriso di pregiudizio, eppure non riesco a scorgere neppure un briciolo dell’oscurità delle tenebre nei suoi occhi così protesi verso l’interlocutore.
Non smetterò mai di domandarmi perché la tristezza risieda con così sottile piacere accanto a coloro che della scrittura fanno il mezzo espressivo più efficace. E di rispondermi che, forse, è proprio nella scelta della forma di comunicazione che si trovano le risposte. La scrittura isola, recide con incredibile immediatezza i contatti con il mondo reale che ci si sforza di descrivere e raccontare. Scrivere svuota. Ogni parola che si abbozza su un foglio, sia esso cartaceo o virtuale, trasferisce su di esso anche una parte di chi la emette e che non tornerà più al suo posto. Nel nobile tentativo di dare al lettore il meglio, lo scrittore si regala e di esso si priva.
Non esiste una maniera di recuperare i pezzi di anima che se ne sono andati via insieme alle parole. Scrivere, quando è azione compiuta con l’approvazione e l’autenticità dell’anima, è un gesto di incredibile generosità e insieme autolesionismo, che non tiene alla salvaguardia della propria integrità, ma, volutamente, la infrange, incurante delle conseguenze che l’impoverimento avrà sullo spirito.
La scrittura può essere terapeutica solo nella dimensione dello sfogo, disordinato ed egoista, nel diario tiepido di emozioni usate e arruffato di parole accavallate di chi si libera di un fardello pesante e limitante, ma non può evidentemente esserlo per chi si accolla il carico altrui e lo regge con onore, prendendo dolore sconclusionato e restituendo storie di senso compiuto e sentimenti cui è possibile, persino nelle loro più nascoste sfaccettature, attribuire un nome.
Da uno sguardo come quello di Alessandra Appiano non ti aspetti lacrime, ma chiarori di serena letizia. Da labbra così ben disegnate nessuna lamentosa e polemica elucubrazione: solo frasi empatiche, pronunciate con voce piena e sincera.
E tutto il brutto? Tutti i pensieri che, come noi, avrà anche lei faticato a posizionare nella mente, in cui avrà avuto paura di riconoscersi e la cui oscurità avrà rifiutato? Tutto ciò che neghiamo, che non riconosciamo parte della nostra persona, dove finisce, se agli altri arrivano solo sorrisi e belle parole, gesti di generosità e parole di aiuto?
Apprezzo infinitamente la disponibilità di cui non mi ritengo capace e al tempo stesso ne disprezzo l’incompatibilità con la capacità di condivisione. Trovo profondamente ingiusto che proprio coloro che più sanno dare e darsi agli altri, sono maggiormente impediti nel ricevere.
E penso a tutti gli scritti per i quali mi sento grata, ai volumi divorati durante l’adolescenza, alla bulimia nell’ingestione di libri a grandi bocconi, ai sogni che hanno saputo ispirarmi, alle emozioni che mi hanno regalato. Così, senza chiedere nulla in cambio, senza nemmeno impormi una lettera più di quelle che volevo prendermi. Grazie ai racconti che ho incautamente saccheggiato, ai saggi che ho inghiottito, inalato e trasformato in idee e progetti miei.
Sono profondamente grata a tutti coloro che, come Alessandra, mi hanno messo a disposizione parole per comporre pensieri, che hanno affinato senza saperlo la mia capacità espressiva, che mi hanno aiutata a superare i miei limiti, con la disponibilità d’animo di chi cede alle frasi che emette un pezzo di sé.
Monica Torriani è moglie, mamma di quattro ragazzi, farmacista e blogger. Si occupa di Salute e Benessere per WELLNESS4GOOD, il sito che ha fondato.
(Photo credits: DiLei magazine)