Un incontro particolare, quello con Marisa Convento, designer di gioielli e impiraressa.
Un termine, questo, che non conoscevo e che viene da “impirar”, in dialetto veneto “infilare le perle”. Perché Marisa di lavoro fa proprio questo, affascinata dalle perle veneziane, le infila con pazienza e maestria, creando oggetti e gioielli nella sua bottega. Le piace trasformare le conterie, queste perline minuscole infilate con aghi sottili, in collane, fiori, nappe e quanto può servire per adornarsi con questi piccole gioie dai colori dell’arcobaleno.
Marisa ha imparato da sola, orientata agli inizi da un’esperta impiraressa, per continuare poi a lasciarsi guidare dalla sua creatività, dal suo amore per il bello e dalla sua passione. Creatività, amore per il bello, passione: potevo lasciarmi scappare una donna così “eccellente”?
Marisa Convento ha aperto a Venezia una bottega in Calle della Mandola, nel Sestiere di San Marco, con l’obiettivo di rivalutare questa antica cultura che vede protagonista la perla veneziana.
Ha iniziato quest’attività a quarantacinque anni, dopo aver lavorato a lungo come venditrice di souvenir di alta qualità. Stimo molto chi crede nel cambiamento ed è pronta a continue trasformazioni e anche per questo mi piace far parlare Marisa Convento in questa rassegna di Donne Eccellenti. La sua missione- mi viene da definire così la sua attività lavorativa così particolare- è un’esaltazione del Femminile da molti punti di vista.
La professione di “Infilzaperle” già descritta dal Grevembroch nel 1700 è sempre stata tipicamente femminile. Il “fare le perle”, invece é nata come professione maschile ed è stata poi riservata alle donne che sono chiamate “perlere”.
Le impiraresse sono state tra le prime donne a scioperare in Italia perché costrette a lavorare a cottimo, pagate pochissimo per infilare in matasse le conterie, le minuscole perline che erano usate in tutto il mondo come denaro negli scambi commerciali di mercanti, esploratori, missionari . Con due chili di perle veneziane si poteva perfino comprare uno schiavo.
Marisa fa parte del Comitato per la Salvaguardia dell’Arte della Perla in Vetro che ha l’obiettivo di far inserire le perle veneziane nella Lista degli Intangibili stilata dall’Unesco, come tra l’altro per l’Italia, l’Opera dei Pupi Siciliani, il Canto a tenore della cultura pastorale sarda, la dieta mediterranea, l’arte del Violino di Cremona, la pizza.
Le componenti energetiche del Femminile più evidenti in lei sono la creatività e l’accudimento, la cura per ogni aspetto e in ogni aspetto della vita.
Stiamola ad ascoltare.
*Qual è l’attività di un’impiraressa, come si svolge?
L’impiraressa è colei che infila, si tratta di un mestiere antico veneziano che nasce dall’esigenza di agevolare la spedizione delle conterie (piccolissime perle veneziane in vetro). Venivano infilate su filo sottile in mazzi di misura stabilita, usando dei lunghi aghi sottili. Le impiraresse più abili ne sapevano maneggiare anche 60/80 insieme. Così infilate, le perline si potevano impacchettare meglio, si creavano delle unità di misura e si verificava che fossero tutte perfettamente forate.
*Come hai scoperto il valore delle perle di vetro veneziano, perché te ne sei innamorata?
Vivendo a Venezia e avendo lavorato in vari ambiti dell’artigianato locale era inevitabile che incontrassi la bellezza delle perle veneziane. Dapprima le ho desiderate per indossarle, poi ho cominciato a collezionarle e infine ho provato a creare qualcosa, man mano imparando le diverse tecniche.
*Come hai scelto di farlo diventare un tuo lavoro?
Sono le perle che hanno scelto me! Pian piano sono diventate sempre più importanti, hanno preso sempre più tempo dalle mie giornate e sono entrate nella mia sfera lavorativa principale: da hobby è diventato mestiere. Prima avevo lavorato in negozi e showroom a Venezia, facevo la venditrice, poi la responsabile punto vendita.
*A cosa devono la loro “preziosità” le perle veneziane?
La devono alla complessità della loro lavorazione, alla preziosità del Vetro di Murano, antico di mille anni. Per quello che riguarda le cosiddette Perle al Lume, devono a mio avviso la loro preziosità all’abilità delle mani, soprattutto di donna, che per secoli le hanno plasmate fondendo e modellando esili cannule di vetro dai mille colori, per quello che riguarda le perle di conteria, le più piccole prodotte in fornace per secoli da canna tirata: il loro fascino risiede nell’infinita gamma di colori e forme e nella grande versatilità d’uso. Ricami, bijou, oggetti, fiori o frange, tutto risplende di nobile luce grazie all’uso delle conterie. Nell’uso nativo la conteria veneziana è diventata protagonista di espressione artistica.
*Simbolicamente cosa rappresentano per te?
La Libertà, la ribellione dai modelli imposti, un media espressivo, un valore identitario condiviso che però è in dialogo con altre culture in tutto il mondo. L’individualità, il misticismo. La perla è talismano, è simbolo, è adorno di sé ma è cultura.
* E in cosa ti assomigliano?
Nell’essere orgogliose, nell’avere una forte individualità.
*E’ un’arte basata su regole precise o l’infilare le perle di vetro facendone delle opere d’arte lascia spazio anche alla tua creatività?
O no, la libertà creativa è infinita. La tecnica s’impara e poi si distrugge per farla evolvere.
*Ci sono dei punti di contatto tra la bellezza di Venezia e quella delle sue perle?
Infiniti. Basterebbe la luce a descrivere la magia del vetro.
Antichi. Venezia crocevia di culture e alchimia di sostanze, non poteva che dare vita al vetro più bello, materia che Venezia non ha inventato ma portato alla perfezione.
Il vetro veneziano nella sua forma di gioiello, di perla da indossare ne è l’espressione più squisita. Nella sua piccola dimensione si racchiude l’essenza di mille anni di storia.
*E’ vero che il primo sciopero delle impiraresse, nel 1904, è stato il primo sciopero fatto dalle donne in Italia? E perché hanno scioperato?
No, a Venezia vi furono altri scioperi indetti da unioni di Tabacchine operaie della manifattura tabacchi veneziana. Fu uno dei primi. Ma lo sciopero delle impiraresse fece scalpore perché erano popolane che lavoravano a domicilio e a cottimo, non ci si aspettava da loro che riuscissero a organizzarsi e protestare. Erano esasperate dalle ingiuste condizioni lavorative, storicamente uno dei più gravi sfruttamenti lavorativi subiti dalle donne, complice un’epoca di mutamento politico e instabilità economica. La produzione di perline era una delle poche industrie fiorenti, ma comunque soggetta a concorrenza da qui l’esiguità dei compensi e la crudezza di trattamento per l’ultimo “anello” della catena produttiva che era appunto l’infilatura.
*Le perle erano usate come merce di scambio?
Ma non solo, erano anche tramite di dialogo con il divino nell’uso sciamanico-religioso basti pensare ai grani da rosario (paternostri) anticamente prodotti a Venezia, o alle “Rosette” dette Chevron usate da capi tribù, dignitari ma anche distinti professionisti nell’Africa odierna.
Le perle di scambio al lume o le minuscole conterie erano usate come moneta di scambio per barattare pellicce, schiavi, oro, argento, avorio, olio di palma, legni preziosi, spezie, ma anche per pagare portatori, per essere guidati… o per fare amicizia, con popolazioni native giustamente diffidenti. In America fino a metà ottocento gli indiani decoravano mocassini e indumenti in pelle con aculei di porcospino tinti e lavorati, con l’arrivo delle conterie vitree dai colori sgargianti e già pronte da cucire cambiarono completamente il loro media artistico.
* Che differenza c’è tra le perle di conteria e quelle “a lume”?
Le perle di conteria e le rosette, dette anche chevron sono perle a canna tirata, venivano lavorate in fornace: si fondeva il vetro, lo si soffiava e poi lo si tirava a caldo in lunghi tubicini forati, che poi venivano sezionati e arrotondati a caldo. Nel caso della rosetta si sovrapponevano vari strati di colore, modellandoli a stella. La canna ottenuta, forata in tutta la lunghezza, andava poi tagliata a pezzi e molata alle estremità a freddo. Queste perle non vengono oggi più prodotte a Murano.
Le perle al lume, invece, sono perle a vetro avvolto, ossia sono create fondendo una canna di vetro piena usando una fiamma che anticamente era potenziata da un mantice, ora dall’ossigeno o dall’aria compressa. Si avvolge il vetro fuso attorno a una bacchetta di metallo opportunamente trattata per permettere il distaccamento a perla finita e raffreddata, oppure intorno ad un tubicino di rame che poi viene disciolto in acido.
Le lavorazioni della perla al lume sono infinite, tra le più conosciute:
-a mosaico millefiori usando fettine di canna multistrato detta murrina
-fiorata decorata con sottili vette (filamenti) di vetro a formare ricami, roselline e nontiscordardimè. Anticamente decorate con foglia oro, poi con avventurina.
–sommersa a strati che contengono frammenti di avventurina, graniglie di vetro, decori policromi e/o foglia d’oro.
*La lavorazione a lume inizialmente era una professione maschile.
Nei tempi più antichi la lavorazione delle perle era organizzata in mariegole prettamente maschili: i paternosteri e margariteri, esistevano distinzioni nei metodi di lavorazione (a speo o a ferrazza).
Con la lenta evoluzione delle tecniche di lavorazione si è giunti alle moderne definizioni dei mestieri delle perle in fornace e della lavorazione invece “alla lume” che poteva essere fatta in tutta la città non solo a Murano.
*E poi come mai è passata alle donne? C’è una collabrazione tra uomini e donne in questo lavoro, e in che termini?
Fin dal settecento la raffigurazione della creazione di perle al lume vede protagonista la donna: la perlera. Oggi rimane una forte componente femminile nella creazione delle perle, e nella composizione di oggetti, ma ci sono moltissimi artisti conosciuti sia nel panorama della creazione di perle sia nel mondo del bijou in perle veneziane. Conosco anche coppie che lavorano efficacemente insieme. Non c’è una netta distinzione di genere, anzi una certa complementarietà. Ma stiamo parlando del “fare” le perle, non dell’infilarle. Ribadisco che il mestiere d’impiraressa nasce come occupazione femminile, legata alla semplice creazione di mazzi per la spedizione. Nei tempi contemporanei, cessando l’esigenza della semplice infilatura, il “fare con le perle” diventa creazione di oggetti e bijou, e coinvolge anche figure professionali maschili
*Perché a Venezia le perle di conteria non si producono più?
Perché il loro processo produttivo era troppo costoso rispetto a nuove, più competitive produzioni industrializzate, ma anche per un cambio di gusto e l’avvento di nuovi materiali. Si è ingenerata una crisi alla quale anche il più grande consorzio di produzione, La Società Conterie, non ha saputo reagire.
*Perché oggi ci sono meno donne a Venezia che infilano le perle?
Venendo a mancare la produzione, è venuta a cessare anche l’esigenza d’infilatura manuale, già in parte meccanizzata. Per qualche decennio molte impiraresse hanno lavorato a domicilio alla confezione di bijou per conto terzi. Oggi si definiscono impiraresse, compresa la sottoscritta, artigiane che creano gioielli o altri manufatti usando le tecniche tradizionali d’infilatura veneziana. Ma potremmo benissimo essere definite altrove come “designer autoprodotte di gioielli in vetro”.
La globalizzazione del mercato e l’appiattimento dell’offerta crea confusione e rende meno riconoscibile il nostro prodotto, e dati anche i costi più elevati delle nostre creazioni, il prodotto diventa “di nicchia”.
*Tu fai parte del Comitato per la Salvaguardia dell’Arte della Perla in Vetro.
Di cosa si tratta?
Di un Comitato che lavora a far riconoscere da Unesco l’arte del fare le perle e con le perle di vetro tra gli elementi immateriali, patrimonio dell’umanità, da salvaguardare per il futuro.
*In cosa una rivitalizzazione dei “mestieri d’arte” potrebbe contribuire a portare più luce?
Importante è la rilevanza culturale, la diversità identitaria locale che ogni mestiere racchiude in sé. Non è da sottovalutare poi il valore economico, il gran potenziale di sviluppo economico sostenibile che ogni mestiere tradizionale ha in sé. La grande ricchezza, il patrimonio del nostro paese è proprio nella sua diversità così complessa e affascinante.
*Come s’impara la tua professione?
Con tanta passione. Lentamente. Anche da soli, come ho fatto io, con qualche piccolo insegnamento di base.
*Incoraggeresti le giovani donne a intraprendere quest’attività?
Bisogna essere fortemente motivati e studiare. Arte, design, marketing, comunicazione, storia del gioiello e del costume. Il mercato oggi è fortemente competitivo e in costante evoluzione. Non basta la buona volontà. Ci vuole preparazione.
*Quali qualità è bene possedere per intraprendere questo lavoro?
La pazienza e la curiosità che viene dall’amore per la materia e il lavoro, l’empatia con il cliente, indispensabile per lavorare a piccole produzioni personalizzate.Lo sconsiglio a chi cerca risultati immediati.
Grazie Marisa!