Al supermercato Conad di viale Kant 289
La fila alla cassa è lunga.
“Ha sentito che ci toglieranno la pensione di reversibilità?”
“Ma no, è una notizia vecchia. Lo avevano proposto anni fa e poi ritirato”
“Ho sentito che è di nuovo in discussione un decreto per trasformare”, la signora è aggiornata,”le pensioni di reversibilità da contributo previdenziale in contributo assistenziale. S’informi cosa vuol dire e poi, sa come funziona la politica, quando è estate e la gente è in vacanza, nessuno vigila ed è fatta, magari il decreto passa sotto silenzio e noi diventeremo povere”.
Inizia così il dialogo tra due signore normo-vestite, normo-curate, normo-anziane e normo-informate. Due delle tante donne che su quella pensione di vedovanza ci contano per campare; un riconoscimento ad avere partecipato al benessere della famiglia, alla professione del marito, alla crescita dei figli, all’assistenza, allo sviluppo di un economia familiare corretta e risparmiosa, all’economia dei consumi e al governo sociale.
Che forse con le loro stesse pensioni stanno ancora aiutando figli senza lavoro o con basso reddito e magari li aiutano anche a pagare un mutuo o a tirare su i nipoti. Forse, loro, sono due delle tantissime donne che per tutto ciò non hanno potuto lavorare o fare carriera nelle professioni ed il cui unico riconoscimento per il sacrificio offerto-subito hanno visto riconoscere, da vedove, questo diritto.
“La casa dove abita è di sua proprietà? Magari ci tolgono anche quella” dice l’una incerta. “La paura è tanta”aggiunge l’altra “Io e mio marito l’abbiamo pagata con tanti sacrifici. Ho sentito dire che in questo caso verrebbe meno il diritto alla pensione perché costituirebbe un reddito”
“E le rate condominiali, e tasse sulla casa. O la pensione o la casa, come a dire ‘o la borsa o la vita’”.
“Speriamo in questo governo” dice la più alta.
“Ci ha promesso il cambiamento, io ci ho creduto e l’ho votato” risponde quella più curva tra la speranza e la resa.
Dopo il Conad ci sarà, per loro, la vita di tutti i giorni ma alle loro domande chi dovrà dare le risposte?
Prima che il caldo agosto dia una temporanea tregua alla politica conclamata ma non a quella sommersa, prima che il prossimo settembre attenti alle tantissime vedove che vivono di questa pensione e che le loro paure trovino riscontro è d’obbligo fare alcune riflessioni.
L’Italia non ha mai mostrato l’attenzione necessaria per affrontare politiche di genere. Siano stati governi di destra o di sinistra. E non lo sono state le rappresentanti elette nelle varie sedi istituzionali.
Oggi ci si meraviglia o si finge che, inaugurando una nuova e apprezzabile tendenza, il Dipartimento per le Pari opportunità sia stato affidato ad un uomo, il sottosegretario Vincenzo Spadafora
La domanda che sorge spontanea è: se cambiamento ci deve essere a dimostrare che le donne possono fare tanto quanto gli uomini perché non dovrebbe essere possibile il contrario? Capacità, sensibilità, onestà e realizzazione di un programma di cambiamento non è puramente legato al genere o, per dirla esplicitamente, al sesso di appartenenza.
Il cambiamento va fatto insieme.
Ed è proprio su questo intento comune che dovrà dimostrarsi la differenza. Noi e loro, non contro, non antagonisti, insieme.
Sarà questo il vero nodo da superare, il vero modo per realizzare il cambiamento che il popolo italiano, maschio o femmina, ha indicato nelle urne, un’indicazione che va interpretata dai vari attori.
Solo per girare il bulino nella piaga: quali le misure per raggiungere la parità salariale? Per garantire il lavoro alle lavoratrici con carichi familiari? Quali i servizi erogati?
Un governo del cambiamento non può ignorare le tante richieste disattese da decenni di governance fallimentare.
Governare non significa solo attuare un programma, ma dare risposte ai bisogni dello Stato in contemporanea a quelli dell’individuo, nel rispetto delle differenze ma all’interno di una politica coesa.
Trattare le questioni separatamente sarebbe un errore ma non trattarle sarebbe peggio. La questione del lavoro dovrà vedere coinvolti il ministero del lavoro consultando il Dipartimento delle Pari opportunità. La collaborazione tra Ministero e Dipartimento è necessaria. Come va affrontata con chiarezza la questione delle pensioni di reversibilità che coinvolge una grande numero di donne, ancora una volta anello debole della catena.
Che le donne siano le più penalizzate ovunque, nel pubblico come nel privato non rappresenta solo un dato economico ma un’ingiustizia morale cui porre rimedio se vogliamo che il cambiamento annunciato e promesso sia riconoscibile.
L’altra metà del cielo, il tetto di cristallo ecc. sono stati slogan per molti decenni ed oggi vanno sostituiti con atti concreti e certezze.
Altrimenti che cambiamento sarà?
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