Fare architettura oggi significa esattamente quello che significava un tempo: esprimere e trasferire il proprio spirito del tempo
Due anni fa sono andata a cena nella mia città un po’ per caso in un ristorante dal nome accattivante Aroma e ricordo che mi aveva colpito la sobrietà ricercata del locale, i materiali e i toni di colore dei pattern geometrici che rimandano ad una tradizione rassicurante. Qualche tempo dopo, grazie ad Alice, una giovane architetta che ha collaborato con me, ho conosciuto gli autori del progetto, che hanno reso quel luogo così accogliente e contemporaneo – lo studio Unduo – di cui Angela è una dei fondatori. Con lei e attraverso i reportage dei loro lavori ho poi percorso altri spazi forgiati dalla loro mano sapiente. E attraverso Alice ho avuto modo di seguire la genesi che ha condotto alla creazione di una serie di pezzi unici a scavalco tra arte e design che hanno trovato dimora presso la galleria milanese di Rossana Orlandi.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Non vengo da una famiglia di architetti o di professionisti, i miei mi consigliarono di seguire le loro orme in campo turistico-ricettivo, ma di fronte alla mia scelta di studiare architettura hanno raccolto e appoggiato le mie inclinazioni con fiducia.
Architetto o architetta?
Le parole sono importanti e le trasformazioni linguistiche necessarie. Ma penso allo stesso tempo che la conquista dei diritti legati alla parità debba passare prima attraverso altre conquiste.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
Fare architettura oggi significa esattamente quello che significava un tempo: esprimere e trasferire il proprio spirito del tempo (Zeitgeist per usare un concetto filosofico tedesco, o sottile spirito della vita) attraverso la propria sensibilità per il presente vissuto.
A chi ti ispiri?
Per indole sono interessata al presente e proiettata verso il futuro. Mi ispiro quasi inconsciamente ai grandi maestri del ‘900 (Mies, Le Corbusier e Charlotte Perriand, Eileen Gray, Lina Bo Bardi) e alle opere più sensibili degli architetti contemporanei (Herzog e De Meuron, Koolhass, Snøhetta). Nel design, adoro la semplice complessità di Castiglioni e la poesia di Nendo.
E cos’è per te la Bellezza?
Un concetto indescrivibile, non riesco a descriverlo senza essere superficiale.
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Non credo tanto nella sensibilità riferita ai generi, credo nella sensibilità riferita a singoli individui.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
Sicuramente sì, ci scontriamo quotidianamente con la necessità di dimostrare le nostre competenze tecniche prima che creative (a Paolo chiedono del sifone mentre a me della carta da parati).
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Più per sensazione che nei fatti tangibili.
Qual è il progetto architettonico che ti è rimasto nel cuore?
Il Pantheon e la Cappella di Notre-Dame du Haut perché rappresentano la convivenza tra tecnologia e poesia.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Sicuramente difficile, non credo tanto tanto di più di quella dei colleghi uomini.
Che rapporto hai, nel tuo lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?
Rapporto assolutamente non conflittuale e abbastanza sciolto, ma nel tempo di minor passione, sono meno interessata di una volta.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Il mio studio è composto da Paolo e me, soci e collaboratori in tutti gli aspetti lavorativi sin dall’inizio. Condividiamo tutte le decisioni, confrontandoci continuamente sugli aspetti più importanti. La redazione degli elaborati grafici è stata nel tempo delegata, mentre continuano ad appassionarmi gli aspetti legati alla comunicazione. Quello che non delegherò mai è la supervisione progettuale e il rapporto con il cliente: sono i momenti in cui trasmetti la tua essenza professionale.
Quale è stato il tuo approccio nella guida del tuo studio?
Lo studio esiste ufficialmente dal 2011 e nel tempo il mio approccio alla professione si è evoluto da una fase inizialmente meno strutturata (all’epoca, continuavo a collaborare anche con altri studi professionali e mi dividevo tra clienti miei e servizi di consulenza ad altri) ad una più matura caratterizzata dalla crescita di consapevolezza delle nostre potenzialità e dei nostri talenti. Attraverso il nostro approccio al progetto e grazie ad una comunicazione mirata, la clientela si è naturalmente selezionata e oggi possiamo godere di un riscontro proveniente da persone interessate e capaci di affidarsi.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura?
Nel tempo ho realizzato che il nostro lavoro richiede un impegno costante ed una perseveranza nel raggiungere i propri obiettivi, senza i quali è difficile superare i suoi aspetti più complessi e demotivanti, soprattutto in questo momento di professioni in crisi. Alle giovani colleghe consiglio quindi motivazione e determinazione: il nostro lavoro non si conclude quando spegni la luce dello studio ma ti segue a casa, nel tempo libero, nelle tue passioni, a volte anche in modo ingombrante, ma poi può rivelare aspetti estremamente appaganti e unici.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
L’abitacolo di Bruno Munari
La casa in pietra lavica sulle pendici dell’Etna restaurata da me e dal mio compagno Andrea per i miei genitori.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
Mille to do list scritte a pennarello e la mia agenda cartacea su cui regna un’ordinata confusione.
Una buona regola che ti sei data?
Selezionare con cura le persone con cui voglio collaborare sulla base di capacità, affidabilità e affinità dal momento che trascorrerò con queste gran parte del mio tempo e condividerò con loro le mie esperienze di vita lavorativa.
Il tuo working dress?
Vesto principalmente abiti di produzione artigianale, fatti a mano e made in Italy, comodi ma dal disegno non scontato. Se posso evito la grande distribuzione e cerco di sostenere chi ha deciso di lavorare con lo stesso spirito con cui lavoriamo noi.
Città o campagna?
L’energia della città, le sue opportunità, le relazioni tra le persone e la percezione di poter scoprire sempre nuovi scorci, piccoli universi, mi attrae nel profondo. Ho bisogno però che mi offra anche la vicinanza a luoghi più naturali ai quali non posso rinunciare. La mia città è un po’ così, trascorre dei periodi sonnolenti e poi mi stupisce ancora in modo inaspettato.
Qual è il tuo rifugio?
Esistono dei luoghi in cui mi sento rilassata e protetta, spesso corrispondono alle abitazioni di alcuni miei amici; sono spazi che mi accolgono e che conosco perfettamente, perché appartengono a loro ma anche un po’ a me, le ho pensate io, plasmate secondo le loro necessità ma attraversate dal mio modo di materializzare i sentimenti e le necessità attraverso i miei progetti.
Ultimo viaggio fatto?
Sono stata a Porto quest’inverno. L’architettura moderna e contemporanea portoghese e i lavori di Alvaro Siza, concettuali e introspettivi, mi affascinano. Un workshop di progettazione in Portogallo, ai tempi dell’università, mi aveva permesso di avere Edouardo Souto de Moura come tutor. Passeggiare per questa città, piccola e vibrante, oggi come allora è particolarmente bello.
Il tuo difetto maggiore?
Sono umorale, oggi è così, domani chissà…
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
Credo che un aspetto del mio carattere che mi aiuta in modo irrinunciabile nella mia professione sia la curiosità per il mondo esterno che sento da sempre e che amo anche nelle altre persone. Anche quando mi dicono che sono caparbia, schietta e piena di energia in qualche modo lo sento come un apprezzamento che mi rappresenta.
Un tuo rimpianto?
Non aver fatto un’esperienza lavorativa di medio lunga durata all’estero. Ho sempre amato Torino e ho avuto la fortuna di collaborare con realtà interessanti e appaganti – Marina Gariboldi, Archicura – quindi non ho sentito l’esigenza di farlo, quando era il momento.
Il nostro lavoro prosegue nel tempo apparentemente in modo simile; in realtà ogni progetto nasconde, oltre a grandi fatiche, nuove dinamiche, incontri inattesi, collaborazioni interessanti. Insieme a quest’aspetto che mantiene intatta la passione per la mia professione, nuovi progetti nascono all’orizzonte, e tra questi alcuni arricchiscono la nostra esperienza e ci permettono di esplorare nuovi territori: in particolare stiamo collaborando con una nostra collega – Alice Reina – architetta e ceramista per creare una collezione di art design esposta nella prestigiosa galleria milanese di Rossana Orlandi. Proseguiamo con esperienze da tutor presso workshop a cui siamo invitati e in cui l’architettura e il design incontrano temi sociali ed infine stiamo sviluppando un progetto focalizzato sulla trasposizione dei temi tipici dell’interior design al verde urbano privato.