La notizia che a Torino ha aperto una sorta di casa chiusa in cui le prostitute non sono donne vere, ma sofisticatissime bambole gonfiabili e che, prima ancora dell’apertura, ha già fatto registrare il “tutto esaurito” ha suscitato in me una sensazione così sgradevole e indefinita da spingermi a riflettere sulle cause di tanto fastidio.
Certo, c’è l’immediatamente evidente argomento che da subito e da più parti è stato portato alla ribalta: il fatto che così tanti uomini si siano precipitati a prenotare un’esperienza che, come recita la pubblicità del locale, permette qualunque pratica, anche su bambole/donne incinte, conferma quello che noi donne da tempo immemore sappiamo, ovvero che il nostro corpo, il corpo femminile, è visto come territorio da conquistare, come preda da divorare, come terra di abusi, con o senza il nostro consenso.
Ma non è “solo” questa aberrazione che mi suscita disgusto. Di questo hanno parlato già e meglio di me Simona Sforza, Marina Terragni, Maddalena Robustelli e così tante e tante donne che non aggiungo nulla.
Invece, io mi domando, dal punto di vista maschile: ma è possibile che un uomo, un essere umano, che come tale è un animale sociale, abbia davvero voglia di “fare sesso” (non riesco a trovare una definizione più calzante) con un pezzo di silicone?
Il sesso è relazione. Non è un diritto, non è un atto meramente fisiologico. Di più, è relazione tra due individui, tra esseri umani. L’educazione sessuale nelle scuole diventa quanto mai necessaria se siamo al punto in cui un essere umano è entusiasta di poter fare sesso con un pezzo di plastica. Lasciamo perdere tutte le considerazioni già fatte appunto da chi è più bravo di me, sulle conseguenze che questo può avere sulla visione maschile dei corpi delle donne: io ho letto commenti ad alcune affermazioni in questo senso che mi hanno emotivamente devastata. C’è stato qualcuno (e qualcunA!!!) che ha opposto, perplesso: “ma meglio, no? Almeno i clienti sfogheranno le loro perversioni su un pezzo di plastica, non su una donna vera, gli stupri e le violenze potrebbero essere addirittura ridotti” dando a un uomo un simulacro siliconico di donna su cui sfogare i suoi peggiori istinti.
Questi pensieri fanno il paio con quelli che chiedono a gran voce che si renda disponibile la figura dell’assistente sessuale per i disabili.
E parliamoci chiaro: anche se in questa specie di casa degli orrori di Torino ci sono anche bambolotti con fattezze maschili, anche se l’assistente sessuale non è necessariamente per i disabili maschi, lo sappiamo tutte e tutti che sono e saranno sempre gli uomini a reclamare per sé il diritto a “fare sesso”. Non fa niente se è sesso finto, con un pezzo di plastica. Non fa niente se è fatto da una persona pagata per masturbarli o per farsi toccare. L’importante è svuotare le palle.
Avere relazioni umane è un diritto. Mettendomi nei panni di un disabile, io desidererei avere relazioni umane autentiche, vere, basate sul riconoscere che sono un essere umano come chiunque altro. Vorrei avere relazioni sessuali con qualcuno che le vuole quanto me, con me, perché sono io, perché gli piaccio io. Lo Stato deve lavorare perché si eliminino le resistenze a questo. Non perché si rendano disponibili persone che, per professione, masturbino altre persone. Che relazione paritaria, rispettosa, umana è mai quella per cui lo scambio fisico è regolato da un rapporto professionale? E non parliamo della prostituzione, che qualcuno vorrebbe ammantare della retorica della “scelta”. Parliamo di persone che, anche se magari arrivano a considerare la prostituzione come un problema, comunque, credono che svuotarsi i testicoli sia un diritto di cui “altri” si debbano far carico. Lo Stato nel caso degli assistenti sessuali, dei privati imprenditori nel caso dei manichini. Ovvia, se la necessità è quella, esiste ancora la sana masturbazione autonoma!
Ma è davvero questo che vogliamo che i nostri figli e le nostre figlie imparino? Che per i maschi il sesso è un bisogno, anzi, un DIRITTO di cui occuparsi addirittura a livello statale? Non è meglio, invece, educarli allo scambio reciproco, alla condivisione, al consenso? Nel mio articolo https://www.dols.it/2017/08/31/educazione-sessuale-ma-quale/ già segnalavo l’assoluta mancanza di una credibile educazione sessuale laica nelle scuole, che, per il bigottismo e lo scarso coraggio delle Istituzioni italiane nell’opporsi ai dettami vaticani, manca di convincimento e di programmaticità, dopo questo colpo emotivo mi sembra che ancora più urgente sia un’educazione “sentimentale” a tutto tondo dei giovani maschi. Il caso di Torino dimostra che ancora oggi, nel 2018, uomini e donne pensano che la natura del maschio sia di essere talmente preda di ormoni e istinto sessuale che tutto, anche un pezzo di plastica, vada bene, sia in qualche modo necessario e “dovuto” perché possa liberare la sua natura. Ma l’educazione sentimentale inizia da piccolissimi, da prima che si entri nella scuola dell’obbligo.
Ma gli uomini non si sentono offesi? Dove sono gli uomini in questo momento? E perché questo caso non allarma gli insegnanti e il mondo educativo? E i genitori, i genitori dove sono? È l’ennesimo fallimento umano, non è un fatto di costume, non è una cosa divertente. È il segno dei tempi in cui viviamo, dove i valori umani sono messi pesantemente alla prova. E, per ora, stanno perdendo.