Raggiungere le isole che, nell’immaginario collettivo, rappresentano il paradiso: la Polinesia Francese, facendo qualche tappa sul percorso, in Australia, un po’ per “spezzare” il viaggio, un po’ perché, come si dice, già che ti avvicini, perché perdersi l’opportunità di conoscere nuovi mondi così lontani?
Quando, lo scorso febbraio, mio marito mi ha prospettato il viaggio dell’estate, sono rimasta senza parole. Io, che sono sempre pronta a partire e che sono quella che di solito sollecita e propone viaggi, questa volta l’ho guardato con gli occhi sgranati, incredula ed emozionatissima all’idea. Quale idea? Quella di raggiungere le isole che, nell’immaginario collettivo, rappresentano il paradiso: la Polinesia Francese, facendo qualche tappa sul percorso, in Australia, un po’ per “spezzare” il viaggio, un po’ perché, come si dice, già che ti avvicini, perché perdersi l’opportunità di conoscere nuovi mondi così lontani?
Iniziamo a studiare e preparare il nostro viaggio, perché siamo il genere di viaggiatore che preferisce organizzarsi da solo la propria vacanza senza passare da agenzie e scopriamo subito che tergiversare nelle decisioni ci preclude la possibilità di fare qualche isola che avevamo messo nel programma perché alcuni voli di Air Tahiti sono già sold-out. Quindi affrettiamo i tempi, anche se siamo solo a marzo e programmiamo il nostro viaggio, quello di cui vorrei raccontarvi in questo diario. Le tappe: Sydney, Hamilton Island e Fraser Island, due scali tecnici a Brisbane e Auckland, poi Tahiti, Moorea, Raiatea, Huahine, Bora Bora, Rangiroa, di nuovo Tahiti e Melbourne.
Arrivato finalmente il giorno della partenza, ci presentiamo in aeroporto con una sacca che contiene di tutto, dalla giacca felpata, al pile (perché io sono freddolosa e in Australia è inverno) ai costumi e abitini leggeri per la Polinesia (i parei me li voglio comperare lì) e la mia Nikon, che pesa un quintale ma che mi accompagna in tutti i Viaggi, quelli con la V maiuscola, e questo indubbiamente lo è!
Non si può negare che il viaggio fino a Sydney sia lungo (anche se la tappa a Dubai ci permette di sgranchirci le gambe girando come trottole per l’aeroporto), però devo dire che, nel momento in cui sai che dovrai passare quattordici ore in volo, non ti preoccupi più del tempo, che alla fine passa senza lasciare troppe tracce su viso e ritmi circadiani.
SYDNEY: prima tappa del viaggio 40 anni in 40 giorni
Sydney è una città incredibile: l’aria è tersa e sottile, il cielo cambia ogni momento, c’è sempre vento ma il sole è caldo (anche se siamo in inverno) e nelle ore centrali della giornata si può girare in maglietta. E poi c’è l’Opera House… Eh beh, l’Opera House nella baia, con i battelli che incrociano in continuazione muovendo le acque e disturbando i gabbiani, è di una bellezza stupefacente.
Non smetterei mai di fotografarla, ogni volta scopro una inquadratura nuova che mi sembra migliore della precedente… Anche la storia della sua costruzione è affascinante (lo scopriamo durante la visita) ma non scevra da dubbi di favoritismi circa la scelta del progetto di Jorn Utzon, l’architetto danese che non venne neanche invitato all’inaugurazione, per non parlare dei costi lievitati durante la costruzione di circa il 1457% (da 7 a 102 milioni di dollari australiani!) Comunque sia, qualunque cosa sia successa, oggi si può dire che questa costruzione sia l’icona di Sydney e rende unica questa baia e io perdo ore in contemplazione per vedere come cambia nelle diverse ore del giorno e della notte ..
Per non parlare dell’Harbour Bridge, il “ponte gruccia” quello da cui si sparano i fuochi di fine anno, per intenderci, un’altra icona e un altro centinaio di scatti…
E poi c’è Christmas in July! Si, perché a quanto pare, gli australiani, stufi di festeggiare il Natale a dicembre quando è estate piena, ne hanno inventato un altro in luglio, mese un po’ più fresco, così possono vestirsi con maglioncini rossi con i decori natalizi e girare con i cappellini con le corna delle renne. Le strade hanno alberi con le lucine, i negozi e i ristoranti sono addobbati con ghirlande e rami di pino. Guardando le bancarelle a The Rocks (l’antico quartiere fondato dai primi detenuti) sembra di essere capitati da Viridea nel mese di dicembre
E poi ci sono le spiagge, e che spiagge! Da Bondi a Bronte beach, seguendo il Coastal Walk, sono in successione, grandi, aperte, circondate da rocce scolpite dal vento e dal mare e frequentate da una quantità di surfisti che si divertono e mi ammaliano per le evoluzioni che sanno fare, perché qui, secondo me, ci vengono quelli bravi! E una volta in più respiro, e guardo il mare e mi scaldo al sole brillante e cerco di fissare quella luce e quegli scorci nella mia mente, per quando a Milano il cielo sarà grigio, (perché arriverà quel momento) per quando sentirò la mancanza del mare (quasi sempre) per quando farà freddo e sarò in astinenza da sole.
Rossana Piasentin, milanese di nascita ma con sangue veneto nelle vene, dopo il Liceo Scientifico si laurea in Scienze Biologiche ad indirizzo ecologico all’Università Statale di Milano e da subito si dedica con entusiasmo all’insegnamento nelle scuole superiori, attività che diventerà il suo lavoro-missione fino alla pensione. Sposata e madre di due figli maschi che ora sono adulti, scopre di avere del tempo libero. Appassionata di fotografia, cucina e viaggi, ama girare il mondo per conoscere popoli e culture diverse. Attiva anche sui social network, condivide le sue esperienze di viaggio costruendo album fotografici e filmati.