Professional e Shadow Coach, Teen Coach, co-fondatrice de “Il bambù di Ryunyo”: Giada Ales ci racconta come ha costruito il suo nuovo percorso professionale mettendo al centro il valore della crescita personale.
Un sorriso energico. Di quelli che ti contagiano all’istante. Occhi vivaci e penetranti. La battuta scherzosa sempre pronta. Sono queste le cose che colpiscono subito di Giada Ales, quando la si conosce di persona.
Nata a Roma, 46 anni ancora da compiere, Giada ha un diploma di maestra ed è una Professional e Shadow Coach certificata. In questa intervista ci ha raccontato molti aspetti interessanti di questa professione ancora relativamente nuova, qui in Italia. Soprattutto, la sua è una storia che dimostra come sia possibile allineare ciò che si è con il proprio lavoro. Per questo abbiamo iniziato l’intervista con una domanda un po’ a bruciapelo (ma lei, come vedrete, non si è lasciata affatto scomporre…).
Raccontaci chi sei.
Ho sempre fatto una gran fatica a rispondere a questa domanda! Potrei dirti che sono una lettrice da 6 libri alla volta e che mi sembra sempre di avere troppo poco tempo per leggere. Sono anche una gattofila incallita (Morgana e Merlino ne sanno qualcosa…). Ma forse potrei definirmi semplicemente una multipotenziale, ossia una persona che coltiva mille interessi (viaggiare, scrivere, fotografare, nuotare…) perché assolutamente curiosa della vita.
Come sei entrata in contatto con il mondo del Coaching?
Per curiosità, appunto. Qualche anno fa un mio amico stava ultimando il suo percorso di certificazione come coach, così ne approfittammo lui per allenarsi e io per chiarirmi le idee rispetto al lavoro, perché mi era chiaro che vivevo uno sfasamento tra ciò che ero e ciò che facevo ogni giorno in ufficio. Alla fine del percorso mi resi conto di essermi innamorata di questa professione, così cercai a mia volta una scuola per certificarmi.
Cos’è che ti ha attratto del Coaching?
Quando ne parlai a mio padre ricordo che gli dissi che una delle cose che mi piaceva di più era che si trattava di un lavoro un po’ di frontiera, qui in Italia. Oggi le cose sono cambiate, grazie agli sforzi dei singoli professionisti e delle associazioni di categoria, come ICF – International Coach Federation. Il coaching è un metodo che permette a chiunque, in qualunque ambito, di ottenere un cambiamento concreto nella propria vita, e nel tempo mi sono resa conto di quanto io ami profondamente il cambiamento. Per questo, esserne co-protagonista al fianco dei miei clienti mi regala ogni volta una gioia infinita, che ripaga di tutte le inevitabili fatiche.
Che tipo di lavoro facevi prima?
Ho da sempre lavorato come dipendente in imprese private e pubbliche. L’ultimo lavoro, all’interno di un’azienda per diversi anni, è stato come assistente di direzione.
Quali sono le tappe formative che hai seguito per diventare Coach?
Mi sono formata prima come Professional Coach e poi anche come Coach Shadow, attraverso due corsi erogati da una scuola italiana.
Come si è svolto il percorso, esattamente?
Quando si partecipa ad un corso di formazione per Coach professionisti si studia e sperimenta il metodo nella sua globalità. Successivamente, si può scegliere l’ambito lavorativo in cui si preferisce operare. Lavorando ancora in ufficio conoscevo già le dinamiche aziendali (gestione team e singoli professionisti, raggiungimento obiettivi a medio e lungo termine, anche a livello internazionale…). Perciò ho scelto di operare in un campo diverso, quello del Life & Teen Coach, dando finalità anche agli studi magistrali.
Di cosa si occupa un Life & Teen Coach?
E’ un Coach professionista che, in accordo e in coordinamento con le famiglie, accompagna i ragazzi che sono alle prese con problemi di tipo relazionale, scolastico o di autostima. Come Coach Shadow (“ombra”, sia perché agisce affiancando il cliente, sia perché in questa modalità può illuminare le zone d’ombra comportamentali che la persona non riesce a vedere da sola), posso affiancare il cliente in modalità osservazione, ad esempio nei contesti sportivi dei ragazzi, e restituire loro ciò che vedo e che gli può essere utile per realizzare la trasformazione che desiderano.
E in tutto questo quando e perché è nato “Il bambù di Ryunyo”?
E’ nato circa un anno fa, per dar forma a una collaborazione: io e la mia amica e collega Lucia Bosi abbiamo infatti cominciato a lavorare insieme ad alcuni progetti per le scuole.
Nel nome ho voluto unire due concetti molto importanti: quello di resilienza (il bambù) e la capacità di ognuno di noi di rivelare il suo pieno potenziale senza alcun bisogno di snaturare se stessi (Ryunyo). Il bambù è una pianta che cresce molto lentamente in altezza, perché ha bisogno di tempo per avere radici profonde e robuste che sappiano sostenerla. Ryunyo è invece una figura mitologica del buddismo indiano: una bambina di otto anni, per metà umana e per metà drago, che di fronte a una solenne assemblea di saggi dichiara che così com’è può raggiungere in un istante la loro stessa saggezza. E mentre tutta l’assemblea si dichiara scettica, Ryunyo, in un tempo infinitamente veloce, raggiunge l’Illuminazione, lasciando tutti stupiti.
Un nome di ottimo augurio. E quali sono i servizi che offrite?
Percorsi di coaching per adolescenti, orientamento scolastico e post scolastico (la scelta del Liceo o dell’Università) e laboratori esperienziali per adulti sul tema della genitorialità e su temi personali. Siamo convinte che il network sia fondamentale nel nostro lavoro, per questo collaboriamo con altri colleghi su diversi progetti. Alcuni riguardano più specificamente la scuola e l’alternanza scuola-lavoro, altri ci vedono coinvolte in percorsi aziendali ma sempre con un’ottica orientata alla crescita personale.
Nei tuoi post sui social parli spesso di un tema ancora poco conosciuto, quello dei bambini e dei ragazzi plusdotati.
E’ vero, ed è un tema che mi sta molto a cuore. Si tratta di una realtà che interessa il 5% della popolazione e ne parlo perché credo profondamente nella necessità di una corretta informazione, che aiuti scuole e genitori a comprendere cosa sia la plusdotazione, a riconoscerla e a valorizzarla. Spesso accade infatti che, a causa delle loro peculiarità, i bambini e i ragazzi plusdotati non vengano riconosciuti come tali ma vengano visti, alternativamente, come “piccoli geni” (termine decisamente riduttivo) o come bambini e ragazzi problematici. Tutto questo crea loro dei disagi, con conseguenze che finiscono per riflettersi anche sulla vita adulta.
Come stai impostando in questo periodo i tuoi progetti per il futuro?
Come Coach, il mio supporto alle famiglie di bambini e ragazzi plusdotati è abbastanza unico. Per questo sto valutando la possibilità di partecipare per il prossimo anno ad un corso di aggiornamento sulla didattica per la plusdotazione presso l’Università LUMSA di Roma.
Poi ci sono il progetto di una scuola di Coaching, delle collaborazioni che sto cercando di consolidare con alcune case famiglia che accolgono sia ragazzi che madri con i propri figli e un viaggio di lavoro e piacere in Inghilterra e Scozia per il prossimo anno. Ma se vuoi continuo eh?!
E invece per il futuro de “Il bambù di Ryunyo”?
Il Bambù è come un figlio che cresce. Oggi ha un anno, ha fatto esperienze belle e divertenti che lo hanno reso un po’ più forte. Le difficoltà non mancano, fanno parte del pacchetto: per questo con Lucia siamo sempre alla ricerca di nuovi stimoli per poter essere sempre più di supporto come Coach, anche ampliando le nostre offerte basandoci sui desiderata che ci vengono dichiarati.
Di recente abbiamo partecipato a un programma radiofonico: Radio Godot è una radio online e nel programma di un nostro caro collega “Così parlò Cerathustra” (lui si chiama Stefano Cera) abbiamo avuto modo di parlare di noi e del Coaching attraverso la chiave di lettura del film “Wonder”. Grazie alla generosità, alla simpatia e alla professionalità di Stefano, è stata talmente bella come occasione che abbiamo accettato volentieri di tornare presto da lui!
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