Lo scorso 2 ottobre si è tenuta la prima riunione del neonato Comitato NoPillon di Milano. Ciò che è importante in questa fase politica è che vi siano tracce di mobilitazione, che ci si trovi attorno a una causa e che si abbia la forza per contrastare venti che potrebbero riportarci nel passato.
Non farò una cronaca passo passo, né in ordine cronologico degli interventi, ma mi preme evidenziare ciò che di buono ho portato a casa e da cui partire.
Positivo che l’obiettivo comune e unanime sia quello di ottenere il ritiro del ddl 735.
Parto dall’intervento vibrante e caloroso di Laura Boldrini. Mai come adesso mi è sembrato necessario il suo richiamo all’unità delle donne, alla non divisione e dispersione in mille rivoli che non collaborano fra loro, alla necessità del femminismo da praticare tutti i giorni. Occorre una mobilitazione per riuscire a parlare con una sola voce a questo attacco globale alle donne, avviando una stagione di resistenza, esercitando un ruolo attivo, la responsabilità di cambiare, attraverso una nuova rivoluzione femminista. Una conditio sine qua non per non tornare indietro. Boldrini parla giustamente di segnali che denotano l’avanzare di una ideologia oscurantista, su più temi. Il senatore Pillon non è un caso isolato, circoscritto, espressione di una tendenza, ma gode di un nutrito sostegno proprio all’interno del Governo. La formazione dell’esecutivo, con i numeri che non assicurano parità di genere, è la rappresentazione plastica di un Governo più simile a quello di Kabul che di Madrid. Un governo del “cambiamento talebano”. Questo ddl esprime una visione maschilista del matrimonio e della genitorialità, con minori che diventano pacchi postali, non interessa il loro benessere, con l’ossessione di mantenere unita la famiglia ad ogni costo, perché avviare la separazione diventerebbe un percorso a ostacoli. È chiaro che in parallelo si prospetti anche una maggiore difficoltà per le donne che desiderano separarsi per allontanarsi da situazioni di violenza domestica. Visto che la maggior parte dei femminicidi avviene quando la donna pone fine alla relazione, chiede il divorzio, Pillon risolve questo problema non permettendo più che le donne escano dalla famiglia. “Le donne devono stare zitte e a occhi bassi”. Le donne sono sempre state sottomesse, umiliate, picchiate: non sembrerebbe proprio il caso di cambiare secondo i fautori del ddl. Occorre diffondere informazioni, sensibilizzazione dappertutto, perché le persone non sono consapevoli di quanto questo ddl vorrebbe introdurre. È necessario arrivare a tutte le donne, anche a coloro che non vedono le discriminazioni. Fa bene Boldrini a ricordare la vicinanza di Salvini ad Orban, all’ossimoro della “democrazia illiberale”. Il modello corrente è questo, qualcosa che è contro tutti i principi di uno stato di diritto. Come donne dobbiamo esigere rispetto, ciò che ci spetta.
Manuela Ulivi di Cadmi interviene evidenziando le conseguenze nefaste di una mediazione familiare obbligatoria, richiamando anche l’esplicito divieto della Convenzione di Istanbul in casi di violenza. Appare evidente come spesso i tempi per l’accertamento della violenza in sede penale non collimino con quelli dell’iter civile di separazione. Motivo per cui sarebbe troppo alto il rischio a cui si esporrebbero le donne se questo ddl dovesse essere approvato. Si va verso una privatizzazione dei diritti, le parti trattano ma quasi mai sono sullo stesso piano, questo è innegabile, soprattutto dal punto di vista economico. Chi ha maggiori risorse potrà permettersi i professionisti e i consulenti migliori e quindi otterrà maggiori benefici. Si ha come l’impressione che si voglia pesantemente condizionare l’altro genitore. Viene ricordato il funambolesco strumento del piano genitoriale in cui i genitori dovrebbero accordarsi su frequentazioni parentali e amicali, percorsi di studio, attività, vacanze dei figli: con un probabile aumento del conflitto. Questo ddl inoltre manipola la causa di pericolo per il minore che prevede l’uso di ordini di allontanamento dal soggetto che ne è la fonte, introducendo nel nostro ordinamento l’aspetto dell’alienazione (causa di pericolo). Se la persona che chiede protezione non può, non riesce a dimostrare la violenza, il rischio è che si affidi al minore proprio al soggetto che la agisce, con la previsione dell’inversione della residenza.
Conosciamo quanti danni sono stati causati dalla Pas, la teoria di Richard Gardner, che non ha nessuna base scientifica. Le teorie di questo soggetto devono essere rigettate con forza, occorre concordare all’unanimità che questa “illetteratura psichiatrica” è altamente lesiva ed è stata per tanto, troppo tempo utilizzata contro le donne e i loro figli nelle aule di tribunale, non solo italiane. Fa bene Antonella Penati, presidente dell’Associazione Federico nel Cuore e mamma di Federico Barakat, a dare un quadro preciso di ciò che si sta cercando di introdurre con questo ddl, chi fosse realmente Gardner, che ricadute ha l’accusa di alienazione nei confronti delle madri che cercano di proteggere i propri figli e di scappare dalla violenza. Perché anche di questo si tratta. Troppi figlicidi, troppi figli obbligati a frequentare il genitore violento, troppe storie che oggi pesano sulla coscienza di chi ha permesso che venisse adoperata questa arma contro le madri. Vogliamo veramente continuare a non vedere cosa accade, cosa provano i bambini e le bambine, perché non desiderano più vedere il padre? Forse questo ddl ci potrebbe consentire di scoperchiare il pentolone di ciò che le donne subiscono e le accuse con le quali vengono messe con le spalle al muro.
L’avvocata Giovanna Fantini, avvocata delegata della Cassa Forense di Milano, ricorda come questo ddl aumenti i costi dei divorzi, considerando la mediazione familiare onerosa. Il testo non è in linea con la realtà nella quale l’82,5% delle separazioni è consensuale e gli affidi sono condivisi all’89%. Ha fatto bene a dare un quadro del nostro Paese, in cui c’è un pay gap molto ampio e una bassa occupazione femminile. Nel contratto di governo vanno tutelati i nuovi poveri in conseguenza delle separazioni e degli assegni di mantenimento, che con questo ddl verrebbero cancellati. Il dato reale è che la maggior parte dei contributi versati sono a favore dei figli e solo il 20% riguardano le mogli. Questo ddl pretende di trovare un accordo tra i genitori sulla testa dei figli. Non viene considerata l’ipotesi che i genitori vivano in città diverse o che gli spostamenti in grandi città renderebbero difficoltosa la vita dei minori e tempi paritetici, con doppia residenza.
L’avvocata dell’Unione nazionale Camere minorili Paola Lovati ha evidenziato la visione adultocentrica presente nel ddl 735, che rischia di farci retrocedere, nonostante negli anni siano stati compiuti numerosi passi in avanti, con norme che hanno rimosso le differenze tra figli nati fuori o dentro il matrimonio, che hanno portato alla sostituzione del termine “potestà” con “responsabilità” genitoriale (D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), che hanno previsto diritti afferenti unicamente ai/alle bambini/e, autonomi rispetto ai doveri dei genitori (Legge 10 dicembre 2012, n. 219). Invece sembra che con questo disegno si voglia far scomparire il diritto del minore ad essere ascoltato e preso in considerazione quando si avvia un procedimento giudiziario che lo coinvolge. Viene meno il potere discrezionale del giudice di poter valutare caso per caso, entrare nel merito della situazione specifica, e l’interesse prevalente del minore scompare.
Interventi come questo potrebbero esserci utili per evidenziare quanti elementi critici e fonte di effetti negativi sono presenti nel ddl 735. Affinché emergano, fortunatamente esiste lo strumento delle audizioni. Le audizioni in commissione di soggetti esperti (non solo espressione di organismi istituzionali e amministrativi), associazioni e professionisti della materia, sono prassi consueta e prevista dai regolamenti di ciascuna Camera. Questo ddl che attualmente è in sede redigente, prevede non solo la discussione in commissione Giustizia, ma anche che il testo possa essere emendato anche in virtù di quanto emerge dall’ascolto dei soggetti esperti che chiedono di essere auditi. Ciò che al momento non è previsto è il dibattimento e gli emendamenti in Aula, dopo che la commissione ne avrà deliberato un testo finale: il Senato dovrà approvarlo o respingerlo nella sua interezza. Al momento il ddl 735 risulta “in corso di esame in commissione” e come ha asserito lo stesso senatore Pillon, le audizioni inizieranno il prossimo 23 ottobre.
Fermo restando che auspichiamo che questo ddl venga ritirato, perché ha un impianto e una matrice che non possono essere sanati, poiché è la genesi e la filosofia originaria ad essere fortemente sbagliate, si potrebbe approntare un piccolo paracadute: cercare le firme e il consenso in commissione per modificare il procedimento da sede redigente a referente, per consentire un esame e un lavoro collegiale in aula.
Altro elemento positivo sono sicuramente le “Pillole di Pillon”, realizzate da un gruppo di avvocate del Foro di Milano (Silvia Belloni – Lara Benetti – Cinzia Calabrese – Roberta De Leo – Simonetta D’Amico – Paola Ponte), per poter divulgare con un linguaggio non tecnico cosa prevede questo ddl. Sostengo fortemente che si debba procedere in tempi brevissimi ad azioni di informazione capillare, anche con banchetti, per arrivare davvero a diffondere consapevolezza e sensibilizzazione in materia. Questa è la strada. Anche perché il ddl Pillon è strettamente legato ad altri testi che ad esso sono stati congiunti.
Cerchiamo di stringerci tra noi, abbiamo bisogno di non perdere la speranza, abbiamo bisogno di non sentirci ostaggi di una politica che oscilla tra la strumentalizzazione e l’annientamento dei diritti, abbiamo bisogno di recuperare fiducia, consapevoli che la strada è ancora lunga, ma non siamo sole. Ci sono pezzi che vanno aggiustati, tanti. Per non tornare ai processi alle streghe e al non poter avere nessun diritto, nessuna scelta.
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