Per avere un figlio si potrà fare a meno del sesso? Un libro per le gravidanze di domani
Di Cinzia Ficco da https://www.democratica.com/
Marta Baiocchi, biologa e ricercatrice romana, risponde a tante curiosità nel libro “In Utero- La scienza e i nuovi modi di diventare madre”
Procreazione: in futuro sarà possibile fecondare l’uovo di una donna al di fuori del suo corpo? Si potranno avere embrioni on demand? Come sta cambiando e come potrebbe cambiare il concetto di maternità e paternità? Per generare un figlio si potrà fare a meno del sesso?
A queste curiosità prova a rispondere in modo spassoso, Marta Baiocchi, biologa e ricercatrice romana, in un libro, pubblicato di recente da Sonzogno, intitolato: “In Utero– La scienza e i nuovi modi di diventare madre”. Quasi 170 pagine – con un titolo che richiama un vecchio testo dei Nirvana – in cui si scopre, per esempio, che fino al Seicento non solo nessuno avesse la più pallida idea di come mamma e papà facessero nascere i bambini – circolando la teoria della generazione spontanea (per cui un gran numero di creature si formavano da sé da cose sporche e putrefatte), ma che fino a centocinquanta anni fa si ignorasse il contributo della donna nella generazione di altri esseri umani. “Oggi – dice la ricercatrice, studiosa di cellule staminali e autrice nel 2012 del romanzo Cento micron (Minimum fax) – dentro un uovo umano fecondato ci sono più cose di quante possa contenerne ogni nostra filosofia”.
Marta, partiamo dal ruolo della donna nella procreazione. Con il tuo libro, il gentil sesso sembra prendersi una rivincita.
Be, un po’ è così. Dopo secoli di studi, la biologia ci ha svelato che il contributo della donna e dell’uomo alla generazione del nuovo nato sono del tutto paritari, almeno dal punto di vista genetico. Poi, è stato lo sviluppo biotecnologico a consentire all’ovocita di uscire dal suo nascondiglio, divenire accessibile, poter essere scambiato, donato e persino venduto, proprio come accadeva prima per lo sperma. Lo sviluppo più recente di tecniche avanzate di congelamento degli ovociti permette oggi alla donna, che lo desideri, di congelare e tenere da parte i propri ovociti giovanili (quelli che produce all’incirca fino ai 30-35 anni, dai quali si generano embrioni vitali con alta frequenza). Con questo metodo, una donna, può, almeno in teoria, procreare un figlio oltre i 50 anni: una possibilità che i maschi hanno da sempre.
A proposito di quest’ultimo aspetto, scrivi che alcune aziende della Silicon Valley, hanno cominciato ad offrire alle loro dipendenti il congelamento gratuito degli ovociti come benefit aggiuntivo allo stipendio. In Italia?
Nel nostro Paese è possibile presso molte cliniche private. I costi? Si aggirano sui 3-4000 euro per il prelievo degli ovociti e 2-300 euro l’anno per il mantenimento in azoto liquido.
Quanto siamo vicini alle gravidanze fuori dall’utero materno?
Tra le tante innovazioni, che possiamo attenderci dalle tecnologie legate alla riproduzione, la gravidanza extracorporea è oggi la meno vicina, la più fantascientifica.
Si stanno studiando già le placenti artificiali.
Certo, ma solo per consentire a bambini nati molto prematuri di sopravvivere. Spesso con le tecnologie attuali ancora molti non ce la fanno. Aggiungo che l’interazione tra il corpo della madre e il feto è un fenomeno complicatissimo nel quale sono coinvolte forse migliaia di molecole diverse, delle quali sappiamo ancora molto poco. Anche se questo è forse il sogno di molte donne – ciascuna per motivi diversi – mi sento di dire che la gravidanza extracorporea non è un obiettivo dei prossimi dieci anni. Forse, neanche dei prossimi venti.
Maternità surrogata: oggi in Italia è vietata. C’è un alto rischio di arrivare alla commercializzazione degli uteri. Te la sentiresti di dire che, al contrario, occorre spingere per avere una legge per l’utero in affitto?
No, su questo punto così critico, che si declina in modi molto differenti a seconda dei singoli Paesi e delle singole persone, non mi sento di dare risposte definitive. Nel mio libro ho raccontato un po’ gli opposti punti di vista esistenti. Come ricercatrice, però, tendo a sperare che nuove tecnologie possano in futuro, come è già accaduto tante volte in passato, rendere inutile ogni forma di sfruttamento del corpo umano, in questo come in altri contesti.
Legge 40. Cosa cambieresti? E quanti divieti in genere ci sono in Italia che strozzano la ricerca delle tecniche riproduttive?
Dal punto di vista di un ricercatore, il divieto più insensato tra quelli che restano in piedi dopo i numerosi interventi della Corte costituzionale sulla legge 40, è certamente quello che nega l’impiego degli embrioni a scopo di ricerca. Questo non ostacola solo il progresso delle tecniche riproduttive, ma molti altri studi, per esempio, quelli su nuove terapie per la rigenerazione dei tessuti adulti. D’altra parte, esistono oggi in Italia probabilmente centinaia di migliaia di embrioni che non verranno mai più usati a scopo riproduttivo, inclusi quelli che portano gravi danni genetici, e che non sarebbero comunque in grado di svilupparsi. Nessuno di questi embrioni può essere donato alla ricerca dalla coppia che li ha generati. La richiesta, presentata dalla compagna di uno dei caduti di Nassiriya – di poter donare gli embrioni generati col compagno prima che morisse – ha ricevuto parere negativo dai tribunali. Ma c’è una contraddizione nel nostro Paese: è vietata la ricerca sugli embrioni umani, ma non è affatto vietato importare cellule generate da embrioni in altri Paesi, né è vietato utilizzare farmaci o tecniche, come la stessa fecondazione in vitro, sperimentati su embrioni all’estero.
A pagina 145 parli di nuova tecnica: la CRISPR /Cas 9 – che è un modo con cui si può introdurre o sostituite un gene all’interno di un dna, con una precisione e una semplicità inimmaginabili in passato. Servirà a confezionare bambini così come li sogniamo? E quanto ci vorrà?
Dal 2015 ad oggi, vari gruppi di ricercatori hanno riportato di aver modificato geni patologici in embrioni umani, mediante la tecnologia CRISPR. Nessuno di questi embrioni è stato reimpiantato in una donna per farlo nascere. Del resto, un simile passo è vietato dalle leggi praticamente in tutti i Paesi avanzati. Però, è facile prevedere che questi veti potranno cadere in un futuro prossimo, quando la tecnica sarà ulteriormente collaudata. Si tratterà prima di geni il cui effetto patologico è grave e ben conosciuto. Potrebbe essere, ad esempio, il gene della beta talassemia, della fibrosi cistica, della distrofia muscolare. La possibilità di avere dei bambini confezionati su richiesta è più lontana. Non sappiamo ancora esattamente come funziona la maggior parte dei geni, perché questi non lavorano da soli, ma in gruppo, con molti altri, attraverso meccanismi complessi. Perciò, anche lasciando da parte gli aspetti etici e limitandosi a quelli tecnici, l’embrione on demand non è destinato a comparire sul catalogo del prossimo anno.
Quaranta anni fa la prima bambina nata in vitro segna il punto di inizio di sistemi tecnicamente nuovi di fecondazione assistita. Ne sono stati fatti di passi in avanti e si è arrivati a forme nuove di maternità e paternità, forse più sociali, che biologiche. Cosa riesci ad intravedere tra un ventennio?
Come diceva Niels Bohr, premio Nobel per la fisica, fare previsioni è molto difficile, specialmente per quanto riguarda il futuro. Mi piace immaginare i mondi che verranno, non solo come ricercatrice, ma ancora di più come scrittrice. Ma quello che davvero accadrà, i modi con cui le tecnologie si realizzeranno, accomoderanno e troveranno posto dentro le nostre società, potremo scoprirlo, come si suol dire, solo vivendo.
La scienza corre troppo, è prepotente, vuole stravolgere la natura, non tiene conto di questioni etiche. Deve limitarsi. Soprattutto quando si parla di diritto alla riproduzione. Lo si sente spesso. Come rispondi?
La scienza viene accusata da sempre di travolgere la natura e le barriere etiche, ma è un po’ come prendersela col burrone perché è caduto dentro il gatto. È abbastanza scontato, dal punto di vista del ricercatore, che i limiti all’uso delle tecnologie li debba individuare da sé la società. A patto, naturalmente, che capisca di cosa si parli. Il che, sfortunatamente, non sempre avviene. Detto questo, mi sono sempre sembrate abbastanza sciocche le leggi che antepongono principi etici astratti ai desideri e ai sentimenti profondi degli individui, se la loro realizzazione non causa danno a nessuno. Sono profondamente convinta che ciascuno abbia diritto a tutta la propria libertà, fino al punto in cui questa non infranga quella di un altro. Identificare tale confine non è sempre semplice, né lo sarà in futuro, se pensiamo alle possibilità – che oggi non riusciamo neanche a calcolare – di poter apportare modifiche sempre più profonde alla nostra specie.
Qual è il Paese secondo te più all’avanguardia, da prendere a modello, sempre in tema di biologia riproduttiva?
Senza dubbio la Gran Bretagna. Dopo il loro grande trionfo, la nascita di Louise Brown, la prima bambina concepita in vitro, sono rimasti all’avanguardia fino ad oggi per quanto riguarda gli aspetti tecnologici. Inoltre, hanno elaborato nel tempo una riflessione approfondita, che è sfociata in regole razionali e al tempo stesso rispettose dei diritti individuali, ma capaci di porre un argine alle soluzioni più estreme. Sebbene nessuna legge potrà mai dirsi perfetta, in questo campo in cui la tecnologia da una parte, e la sensibilità sociale dall’altra, sono soggette a cambiamenti rapidissimi, considero il dibattito e le leggi di questo Paese i punti di riferimento più interessanti tra quelli oggi disponibili.