Pochi giorni fa questa mamma ha ucciso il suo bimbo di due mesi. La depressione postparto in forma lieve colpisce l’80% delle donne
A margine del clamore (comprensibile) per le inondazioni causate dal tempo, della sua sciagurata e totalizzante ribalta mediatica, leggo di una mamma sui giornali.
In tempi meno tristi penso che la sua storia ci avrebbe preso tutti a pugni nello stomaco. L’avremmo risofferta a puntate a “Porta a porta”, analizzata e psicanalizzata per intere settimane. Ma oggi, ubi maior…
Pochi giorni fa questa mamma ha ucciso il suo bimbo di due mesi.
Ho fatto un disastro, ha detto al marito, quando è tornato a casa.
Il “disastro” che ha combinato è di quelli che ci lasciano senza fiato, che ai più anziani fa scuotere il capo e dire “ma dove andremo a finire?”. Però è anche un disastro che è vecchio come il mondo, che si ripropone nel tempo, da sempre, con effetti devastanti. Proprio come un tornado.
La depressione postparto in forma lieve colpisce l’80% delle donne. Nel 20% dei casi diviene patologica, e certe volte fa fare cose terribili. Anche la più terribile di tutte.
Analizzarla e psicanalizzarla “dopo”, da Vespa o chi altri, è come fare il conto dei dispersi, delle vittime di un terremoto che “prima” si poteva prevedere. I cui prodromi avevano fatto andare i tilt i sismografi già da molto tempo.
Si fa un bel parlare della famiglia, della sua tutela innanzi a tutto.
L’interesse delle strutture sanitarie, e non solo, oggi in Italia si concentra (anche con troppo zelo) sul pre parto. Sulla tutela della gravidanza, degli embrioni. L’assistenzialismo che offriamo alle donne incinte è encomiabile, i corsi di preparazione al parto sono ottimi, il supporto psicologico è presente, molto professionale. Ma dopo? Perché non si persevera con la stessa dedizione.
In un paese civile il supporto psicologico postparto deve essere una realtà, in alcuni casi, una priorità. Un assegno familiare di mille euro o giù di lì alle neo mamme è una sciocchezza (che forse però ci mette in pace con la coscienza), un contentino, una pacca sulla spalla come a dire “complimenti signora, lo stato la ringrazia per aver contribuito all’incremento della forza lavoro, si vada a comprare un bel vestito”. E tanti saluti. Investiamo invece sforzi e denaro per garantire loro un supporto sanitario costante, anche a chi dice di stare bene (quasi mai le neo mamme confessano il loro male, mai ammettono di sentirsi inadeguate al compito – che poi è una delle ragioni prime di questo male).
E’ tempo che si faccia uno sforzo, a livello nazionale e locale, perché la rete di professionisti, medici di base, pediatri e psicologi di comunità, che già egregiamente operano a garanzia delle future mamma, sia di supporto anche e soprattutto alle neo-mamme. Perché è frustrante (e stupido) darsi pena per progettare una casa perfetta e curata per poi piazzarla lì, isolata, in balia dei cataclismi, nell’epicentro di un prevedibilissimo terremoto.
Per ora, come stato e italiani, è bene che ci sentiamo un po’ in colpa, per quei bambini e anche per le loro mamme. E per tutte le altre. Colpevoli di non prestare sufficiente attenzione ai segnali che queste donne, queste ragazze, neppure così velatamente ci rimandano, la scia acre del loro terribile malessere (ci ricordiamo tutti vero, delle dichiarazioni del medico curante di Annamaria Franzoni sul grave suo stato depressivo?).
Oggi ancora, come tutti, sto incollata alla tv che mi porta tra le macerie delle foreste del bellunese e delle case costruite dentro ai greti dei fiumi. Guardo la gente piangere. Poi, come tutti, ascolto le dichiarazioni del governo. E mi viene da pensare.
Forse è vero, penso, quello che continuano a ripetere. Però chi tra noi non s’è almeno un po’ accigliato al sentire più d’una autorità dirci che via, gli aiuti oramai sono stati stanziati i decreti firmati e tutto procederà senza intoppi.
Quindi, di nuovo, penso a quella mamma, e a tutte quelle come lei che ci sono state e a tutte quelle come lei che ahimè ancora ci saranno. Non penso a un decreto d’urgenza, certo (sia mai!), però mi auguro che presto chi di dovere si decida a oliare anche per queste donne la macchina dei soccorsi, a prestare davvero attenzione alla loro tragedia silenziosa che è tutt’altro che sotto controllo. Confido magari in un provvedimento regionale, anche qualcosa di piccolo, ma che garantisca quella solidarietà che oggi non c’è, per loro, sole e tutt’altro che sotto controllo.