Quest’anno non potrò prendere parte ad alcuna manifestazione in Italia. Ho chiesto dunque di poter parlare del mio 25 novembre, da volontaria in Ungheria
Prima di partire, i miei genitori hanno voluto – un po’ scherzando, un po’ no – che dicessi loro che mai avrei preso parte ad iniziative legate ai diritti delle donne (specialmente aborto e violenza) durante la mia permanenza all’estero. Hanno poi aggiunto che meglio ancora sarebbe stato non parlare proprio di politica. Comprensibili paure da genitore. Ho capito il loro punto di vista. Allora era fine maggio, l’8 marzo passato da un pezzo, la mia esperienza come volontaria in un centro di primo ascolto per donne vittime di violenza era ormai un ricordo lontano. Con esso il mio impegno attivo per le donne, nonostante i post scritti qui, ai quali ho donato il mio profondo impegno e dedizioni.
E adesso, al mio sesto mese di Servizio Volontario Europeo, ecco arrivato il 25 novembre, e con esso il senso di impotenza. Il lavoro che svolgo come volontaria tutti i giorni è splendido e appagante. Lavorare con i giovani e qualche volta con i bambini regala l’imperdibile opportunità di formarli e aiutarli a diventare gli uomini e le donne del futuro. Intanto lavoro su un progetto che coinvolgerà alcuni giovani della città in cui vivo in una serie di incontri sui diritti umani, per capire cosa sono, come farli propri, come difenderli. Ho scelto di parlare di donne, di adolescenti, di MGF, di diritto all’educazione.
Ma cosa fare dell’oggi? Dopo alcune riflessioni, ho deciso di dedicare una parte del mio settimanale club di conversazione in Italiano alla violenza sulle donne. Avevo bisogno di sentirmi ancora utile, di parlare ancora di donne e per le donne. Ho scoperto che si può parlare di violenza sulle donne semplicemente condividendo esperienze e riflettendo insieme. Ho scoperto che forse anche così si può cambiare qualcosa. O per lo meno è quel che mi auguro.
Ho anche scoperto che non importa che due anni siano passati dalla fine della mia esperienza come volontaria in uno sportello anti-violenza: sei operatrice volontaria per sempre. La sensibilità sviluppata, l’empatia, la capacità di interpretare segnali… è una parte di te che resta anche quando la tua vita va avanti. Ed è per questo che continuo ad assistere impietrita e arrabbiata a quello che accade in Italia: non c’è giorno che passi senza leggere di femminicidi, episodi di violenza domestica e stupri.
Il nostro paese da gennaio ad ottobre di quest’anno ha assistito (senza intervenire mai in modo concreto) a 106 casi di femminicidio, con una media di una donna uccisa ogni 72 ore. E se si pensa che il fenomeno sia in calo si sbaglia, dal momento che secondo dati EURES, il femminicidio rappresenta il 37,6% degli omicidi in Italia con un aumento di quasi 3 punti percentuali rispetto allo scorso anno. E in 3 casi su 4 il colpevole era un parente, un partner o ex partner, a dimostrazione di come ancora il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno fatichi ad avviarsi, e di come il contesto familiare resti il più a rischio per le donne.
Torno allora a riflettere su me stessa, a quello che – come cittadina italiana all’estero – posso fare per aiutare ancora le donne. E questa è l’unica risposta che riesco a trovare: parlare, ascoltare voci, sensazioni e paure. Raccogliere esperienze e trasmettere le mie senza alcuna presunzione. Esserci con delicatezza e provare a sfidare i silenzi di chi è ancora a disagio a parlare di questo tema.
In giornate come questa, essere lontana e non poter urlare quanto tutta questa violenza mi disgusti e di quanto sia sintomo di inciviltà è fonte di grande frustrazione. Vorrei tanto manifestare, ma so che le donne ungheresi sapranno farlo benissimo durante il grande evento “Silent Witness March 2018” previsto oggi a Budapest a partire dalle ore 14. Non ho spazio per una marcia politica, ma posso dolcemente camminare al fianco delle persone che saranno il vero motore del cambiamento: i giovani e gli adolescenti con i quali ho a che fare tutti i giorni come volontaria.
In un modo o in un altro, che si possa o meno prender parte ad una manifestazione, si può essere d’aiuto in questa battaglia. Come? Valorizzando se stessi e il proprio lavoro. Partendo dalla propria famiglia, sensibilizzando gli amici diffidenti, cercando un partner che ci rispetti e non accettando la prima compagnia che capita.
Il cambiamento passa anche dai piccoli gesti individuali, che forse sono poco rumorosi ma non meno efficaci. Questa è la mia fonte di conforto. Spero possa essere anche la vostra.