Una guida per donne che amano viaggiare liberamente e in modo sicuro, da sole o in compagnia. Una selezione di viaggi, mete ed esperienze con un’anima femminile, uniche ed originali, in Italia e nel mondo.
Credevamo, come viaggiatrici e turiste, di non avere una lunga storia. Invece, all’inizio degli anni 70 del Novecento, gli studiosi (soprattutto donne) hanno cominciato a far uscire dal silenzio degli archivi, insieme a una moltitudine di donne storicamente attive in tutti i settori della società e della cultura, un insospettato catalogo di viaggiatrici.
Il racconto di comportamenti economico-sociali primitivi per cui la donna era relegata all’interno dello spazio del villaggio a occuparsi della prole, versus l’uomo cacciatore e raccoglitore impegnato all’esterno, è forse uno stereotipo. Secondo gli studi di alcuni archeologi tedeschi, in Europa centrale all’alba dell’Età del bronzo la maggioranza degli uomini tendeva a vivere nel villaggio natale mentre parte delle donne proveniva da altre zone. Probabilmente per trovare un compagno, le donne si spostavano più dei maschi contribuendo così alla diffusione delle conoscenze e dei saperi tecnici.
Le fonti che ci raccontano la preistoria delle donne sono scarse e di difficile interpretazione, come nel caso citato nel quale è stata l’analisi del DNA dei reperti a rilevare la presenza di donne estranee alla comunità considerata. Molto più avanti nel tempo, la documentazione scritta (comunque poco generosa in fatto di donne) rivela più chiare discordanze rispetto allo ste- reotipo. Donne che sono uscite. Non solo per necessità, per migliorare, in un altrove, le proprie condizioni sociali (lavoro, studio) ma per agrément: puro piacere di conoscere.
Fino al Settecento i nomi sono pochi, e sono quelli di donne speciali: temerarie, trasgressive, non di rado un po’ folli. Uscire è stata una conquista faticosa. Trovati coraggio e modi, perché ne restasse memoria bisognava scriverne ma, come è noto, in generale all’apprendimento della scrittura le donne non avevano accesso. Così, possiamo parlare dei viaggi fatti da donne quando esse stesse hanno potuto raccontarli nei loro diari.
Perla precoce quello della galiziana Egeria, partita nel 382 dal suo paese per Gerusalemme. Il suo scritto è la testimonianza del senso originario del viaggio devozionale: ricerca della sapienza, fuga dalla città (ogni città è Roma) identificata come concentrato di valori effimeri, rifiuto della mondanità, desiderio di ritorno alla semplicità evangelica.
Sul versante filosoficamente opposto, ancora da considerarsi precoce nonostante tredici secoli di distanza da quello di Egeria, il racconto di viaggio di Catalina de Erauso.
Catalina è una delle figure femminili più controverse del Siglo de Oro. Basca di nascita, trascorre molti anni in America ma la sua vicenda, diversamente da quella delle molte ispaniche che dalla scoperta in poi si trasferirono nel Nuovo Mondo per partecipare alla conquista fornendo, prima di tutto, il loro grembo al popolamento, si identifica meglio in una lunga esperienza di viaggio piuttosto che di emigrazione.
Del viaggio reale l’avventura della Erauso ha le caratteristiche fondanti: la partenza, un ampio percorso nel territorio “altro”, il ritorno e, con il ritorno, il racconto. Il suo racconto si sviluppa come testo itinerario nel Vicereame del Perù di primo Seicento. Si tratta di un memoriale autobiografico piuttosto breve essenzialmente giocato sulla narrazione di vicende personali che incarnano lo spirito paradossale del barocco.
Non basta, per spiegare l’eccezionalità del viaggio americano di Catalina, rifarsi alla storiografia della conquista che spiega come per le spagnole trasferite nelle colonie del Nuovo Mondo, la quotidianità non consentisse stili di vita molto femminili e come non di rado le donne intervenissero a fianco degli uomini nei combattimenti contro i nativi. I modi in cui si esplicano la partenza e la permanenza in America di Catalina de Erauso vanno ben oltre l’avventurosa normalità delle mogli dei conquistadores. Catalina intraprende il suo viaggio da sola, celata in ruolo e abito maschili (uno stratagemma ricorrente nella storia del viaggio femminile). La sua esperienza si svolge come continuo pericolo e come esercizio di una libertà che non è condizionata da alcun progetto e da alcuna regola sociale o morale. Durante il viaggio conosce tutti i mestieri: grazie alla rete di biscaglini stabiliti oltre Atlantico diviene mercante, soldato, maggiordomo, pastore. Conosce la sete nel deserto del Cile, la fatica sugli altipiani della Cordigliera, la guerra contro gli indiani a Valdivia o sul mitico Río Dorado. È senza sosta in cammino in cerca di nuovi orizzonti. Ad ogni tappa, lascia dietro di sé risse, duelli, cadaveri. Da una parte Catalina evoca figure vagabonde come quella di Lazarillo de Tormes, consuete nella letteratura ispanica, d’altro canto, come mujer guerrera, richiama miti geografici antichi trasmigrati con fortuna in quel territorio franco e regno dell’immaginazione che è il Mundus Novus.
Il Seicento volgeva al termine quando una donna di mezza età in sola compagnia di una ragazza si imbarcava ad Amsterdam su un battello transoceanico. Il fatto non rivestirebbe nessuna particolarità se la signora in questione fosse stata la rispettabile moglie di un coltivatore di canna da zucchero che con la figlia andava a raggiungere il marito in qualche colonia, o se si fosse trattato di due donne di scarsa reputazione dirette ad aprire un caffè per marinai a Batavia. Invece, Maria Sibylla Merian, appartenente a una nota famiglia di pittori e a sua volta pittrice, parte con la figlia per il Suriname da dove riporterà una collezione naturalistica e una serie di meravigliosi disegni: piante con i loro fiori e frutti e i loro ospiti: bruchi, insetti, farfalle; tutto un universo naturalistico ancora sconosciuto in Europa.
Sibylla Merian può essere presa a simbolo di tutte le viaggiatrici che, fra il secondo Seicento e la metà del Novecento hanno contribuito alla costruzione e alla divulgazione del sapere naturalistico, geografico-umano, antropologico. Come Mary Wortley Montagu, cui l’Occidente deve – e questo fa riflettere sul modo delle donne di guardare il mondo – l’introduzione in Europa della vaccinazione antivaiolosa. Di tale pratica medica, rego- larmente effettuata nella società turca, Mary si accorse per prima benché non si contino i viaggiatori di tutti i tipi che, ben prima di lei, ebbero modo di conoscere quella realtà. Se la scoperta fu di eccezionale portata, il viaggio di Mary non vale di meno per le descrizioni della Costantinopoli di primo Settecento e per altre “scoperte” il cui campo definiamo antropologico-culturale. La nostra identità e la coscienza della differenza nascono dall’incontro con l’altro. Il contatto con l’altro pone in modo radicale la questione di chi siamo in quanto individui e in quanto società. Lo spirito di Lady Montagu è molto vicino allo spirito dell’Illuminismo e nel suo guardare con meraviglia ed empatia le donne turche dell’harem e dell’hammam (bagno), la viaggiatrice compie la medesima operazione di spaesamento che provocatoriamente Montesquieu mette in scena con l’invenzione delle Lettres persanes. La conoscenza implica il moto, l’apertura verso l’esterno e soprattutto il rifiuto di restare sottomesse all’autorità della sola cultura del paese natale.
Sarà l’Ottocento a decretare l’esplosione del viaggio femminile praticato soprattutto da viaggiatrici provenienti da Francia, Inghilterra, Europa scandinava e centrale, ma anche italiane. La base sociale delle partecipanti si allarga e si dilata a scala planetaria la mappa degli spazi attraversati. Si tratta di esperienze molto spesso individuali, oppure condivise con altri, effettuate sulla spinta degli interessi più vari: la conoscenza di ambienti naturalistici estremi, come Léonie d’Aunet che ha preteso di seguire il marito nella spedizione francese verso il Polo Nord del 1839; la voglia di vedere personalmente le terre lontane di cui i racconti di esploratori e viaggiatori avevano iniziato a raccontare, come la viennese Ida Pfeiffer che, nel suo giro solitario del mondo (peraltro il secondo, durato quattro anni) nel 1851 penetra nella regione dei cacciatori di teste del Borneo; la sfida alla montagna, come Henriette D’Angeville che nel 1838 effettua, prima donna, l’ascensione del Monte Bianco; la ricerca di una dimensione esistenziale mistica, come Alexandra David-Néel che nel 1924, dopo un lungo itinerario a piedi fra le montagne del Tibet, entra travestita da monaco nella città, proibita agli stranieri, di Lhasa; la passione per l’archeologia che fra Ottocento e primo Novecento alimenta viaggi di donne in Grecia, Egitto, Medio Oriente. In ogni caso, un impegno che per molte è durato buona parte della vita su un terreno – quello della mobilità – tradizionalmente considerato, dal mito fondativo di Ulisse/Penelope in poi, di monopolio maschile.
Volendo qui individuare sommariamente le principali differenze fra il viaggio storico delle donne e quello degli uomini, mi soffermerei su due aspetti.
Il primo, di carattere materiale: mentre il viaggio storico maschile è stato caratterizzato da precise finalità (esplorazioni e viaggi commissionati, finanziati, ben preparati), le donne si sono quasi sempre ritagliate uno spazio come viaggiatrici indipendenti, capaci di partire da sole per regioni più o meno lontane e pericolose, prive del sostegno economico di una qualunque istituzione oltre che dell’avallo sociale.
Oltre agli ostacoli materiali, esse hanno dovuto pertanto affrontare pregiudizi, critiche malevole, manifestazioni di derisione evidenti nell’espressione che a lungo le ha accompagnate: bas-bleu, «calze-blu», vale a dire ridicole, pedanti e senza talento nella loro pretesa di scrivere di viaggio.
E comunque nessun condizionamento è riuscito a inibire il loro desiderio di viaggiare per conoscere e quando, con difficoltà, riuscivano a pubblicare le loro relazioni di viaggio, far conoscere il mondo dal loro punto di vista. La seconda differenza è infatti concettuale, e attiene alla specificità dello sguardo femminile che, senza generalizzare, scopriamo attento ai particolari, ai fatti marginali, a fronte di un approccio maschile solitamente più generalista e utilitarista.
Un esempio per tutti: di un viaggio in Persia nel 1905 ci sono pervenuti i diari di due viaggiatori parigini: quello di Marthe Bibesco e quello del giornalista Claude Anet. È lo stesso Anet a sottolineare la differenza di sguardo: «Marthe Bibesco ha lasciato a me il compito di rappresentare le nostre fatiche; lei si è curata soltanto di cogliere i fiori lungo la strada […]. Si ha la sensazione che durante questo viaggio la principessa Bibesco abbia ritrovato una patria perduta in antico, tanto è riuscita a cogliere in profondità le armonie della terra persiana».
Le donne di cui abbiamo parlato sono lontane nel tempo: oggi sono, evidentemente, del tutto mutati i contesti culturali che fondano i nostri comportamenti di viaggiatrici moderne come sono enormemente cambiati i modi e i mezzi del nostro viaggiare. Tuttavia, a quelle donne ci sentiamo riconoscenti, per aver aperto, concettualmente e fisicamente, la strada verso il viaggio come esercizio di libertà, come passione, come pratica da condividere con un compagno o una compagna o da esercitare da sole; infine, come forma insostituibile – a dispetto della potenza della comunicazione virtuale che quotidianamente ci invade – di conoscenza cui anche gli itinerari suggeriti in questa bella guida ci invitano.
Cosa trovi in questo libro
• 50 e più idee di viaggi e soggiorni originali, avventurosi, sentimentali, esperienziali, gustosi e – non meno importante – sicuri, responsabili, socialmente utili ed ecologici.
• Che cosa c’è da fare? Un batik in Senegal, un gioiello in Tanzania,
un formaggio slow in Armenia, yoga a Bali, un cammino con i nomadi
in Ciad, esercizi di memoria in Bosnia, shopping pizzo free in Sicilia, mosaici a Venezia, balli folk in Piemonte.
• Itinerari a contatto con la natura selvaggia o l’arte più raffinata, notti in una tenda nel Serengeti od ospitalità in famiglia nel Ladakh. Infiniti piccoli piaceri da sentire, toccare, gustare. E il desiderio di incontrare e conoscere le viaggiatrici e chi ci ospita nel mondo.
• In sintesi, un viaggio per ogni piacere o sapere, lontano dai luoghi comuni, che lasci un ricordo vero e differente: per riportare a casa non un souvenir ma emozioni autentiche.
Dall’India al Madagascar, dalla Terra del Fuoco alla Sicilia, da Berlino all’Himalaya.
50 “avventure da non perdere”: cammini nella natura, percorsi alla ricerca del silenzio o del cambiamento interiore, sfiziosi soggiorni enogastronomici, raffinati itinerari culturali, esperienze con le contadine e le artigiane nel Sud del mondo, workshop per riappropriarsi del saper fare, imprese sportive per tutti e perfino shopping intelligente.
Ma soprattutto incontri con le comunità ospitali e lo straordinario “capitale umano” femminile del turismo responsabile: guide d’arte e di natura, imprenditrici agricole, direttrici di musei, manager di tour operator e altre protagoniste di “filiere virtuose”, che valorizzano la cultura e le tradizioni locali.
Le risorse e gli strumenti per viaggiare tranquille, dalle App più sofisticate alle comunità globali di donne.
Con una riflessione sui viaggi al femminile di Iaia Pedemonte, pioniera del turismo responsabile e i contributi di apprezzate blogger, scrittrici, viaggiatrici.
Prefazione della geografa Luisa Rossi.