Degli acquarelli di Anna Regge si è già detto molto: sono note le cover e le illustrazioni per prestigiose case editrici.
Prima ancora di conoscere Anna Regge sono rimasta folgorata dai suoi splendidi acquarelli: i suoi nidi, ma anche i suoi ritratti di vegetali e insetti mi hanno catturato ed ho seguito con estremo interesse il suo work in progress. Degli acquarelli di Anna si è già detto molto: sono note le cover e le illustrazioni per prestigiose case editrici; a lei fu dedicata la mostra del 2015 “Serie Naturali” ospitata presso l’Orto Botanico di Torino ed ora figura tra i protagonisti della mostra “Ad Acqua”, negli spazi dell’Accademia Albertina di Torino, a cura di Marcella Pralormo e Daniele Gay. Ma la sua attività è variegata e molteplice perché Anna è una progettista di giardini di grande talento; eh sì, perché Anna addomestica la Natura creando delle vere e proprie stanze dove ciascuna pianta trova il proprio luogo d’elezione ed il Tempo coadiuva i risultati del suo lavoro.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
I miei genitori non hanno mai particolarmente interferito nelle mie scelte: certo era dato per scontato che il futuro passasse attraverso un’istruzione superiore, essendo loro professori universitari. La sorella di mia madre, classe 1925, è stata un architetto di successo e un modello di realizzazione personale e professionale e di sicuro questo ha facilitato la mia scelta ma penso che per i miei genitori qualsiasi scelta universitaria sarebbe andata bene, forse se avessi scelto Filosofia mio padre avrebbe commentato “Nessuno è perfetto…”
Che cosa significa per te “fare architettura”?
Non sono sicura di avere ancora capito cosa significhi “fare architettura”. Dovrei prima capire cosa vuol dire “essere architetto” e da paesaggista mi sento sempre come un essere a metà: un po’ giardiniere, un po’ architetto. Fare architettura del paesaggio, come nel approccio all’architettura tradizionale è come risolvere un puzzle con tanti pezzi, avendo in più sempre a che fare con la variabile tempo: quello che progetti oggi lo vedrai fra un anno e fra cinque sarà ancora diverso. Puoi sbagliare oggi e vedere il tuo errore solo fra molto tempo.
A chi ti ispiri?
Ho avuto la fortuna di avere un grande maestro, Paolo Pejrone e, anche se non volessi ispirarmi a lui, la lezione della sua opera sicuramente mi ha influenzato. Amo molto i lavori di Jacques Wirtz, Martha Schwartz, Fernando Caruncho, PWP e altri ancora, ma alla fine è la Natura la più grande ispiratrice: basta guardarsi attentamente intorno per estrapolare modelli da replicare in un progetto.
Che cos’è per te la Bellezza?
E’ una domanda che mi mette in crisi, potrei dire mille cose e tutte banali alle mie stesse orecchie, perché la Bellezza è un concetto che ha tante facce quanti gli esseri al mondo e nessuna sintesi a parole val meglio di un’immagine. Allora per me la Bellezza è l’immagine di un qualsiasi elemento della Natura: il guscio di un’Aliotide, il nido di un merlo, la foglia di una Gunnera…
È più difficile per le donne affermarsi e salire ai livelli più alti?
In certi ambiti lavorativi immagino di si, nel mio settore bisogna prima di tutto volerlo con grande intensità e poi avere un po’ di fortuna.
Come concili l’attività professionale con la tua duplice attività di architetto e acquarellista?
Concilio con difficoltà: non c’è mai tempo a sufficienza per tutto. Progettare bene richiede tempo e l’acquerello vuole ancora più tempo, è quasi una forma di meditazione e non posso semplicemente mettermi a dipingere dopo una giornata da architetto paesaggista che è perennemente in giro per cantieri. Tuttavia un’attività da forza all’altra: l’essere architetto paesaggista mi ha allenato all’osservazione della natura, delle forme, delle geometrie, a interiorizzare la bellezza che mi circonda e l’essere acquerellista mi ha insegnato la pazienza, il senso del tempo, la possibilità ulteriore di esprimere una bellezza interiorizzata. Dipingo quando posso, nei fine settimana, nei periodi di vacanza, grata di avere due attività differenti che sono scaturite però entrambe dalle medesime passioni.
Quali ripercussioni ha avuto sul lavoro il tuo essere una donna?
Quando ho iniziato a fare la paesaggista, quasi 30 anni fa, non lo faceva quasi nessuno: quando mi proponevo per progettare un giardino mi guardavano come se fossi scesa da Marte. Prima ancora di farmi un nome mi sono dovuta costruire una professione, di conseguenza sono sincera quando dico che non ho mai avuto il tempo di riflettere sul fatto che il mio essere donna potesse avere ripercussioni sul mio lavoro. Ripensandoci, in quanto donna non mi sono mai sentita né particolarmente avvantaggiata ma nemmeno discriminata, pur lavorando in un mondo, quello dei giardini, in cui le donne non rappresentano certo la maggioranza.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
Nel mio settore non credo, a parte la sottoscritta, ho numerose colleghe brave e tenaci che si stanno affermando nella professione. Probabilmente in strutture più grandi, nella quale le gerarchie hanno il loro peso, le donne sono ancora discriminate e quindi è più difficile affermarsi.
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Non posso dire che mi sia mai successo.
Qual è stato il progetto architettonico che ti è rimasto nel cuore?
Da tanti anni curo un giardino nel Roero di proprietà di un avvocato americano, è un po’ come se fosse il mio giardino. Questo progetto ha ricevuto in dono dal proprietario il tempo per cambiare, per adattarsi, per reinventarsi e si vede perché c’è un’armonia di insieme che è l’ideale verso cui tutti i miei progetti tendono. Naturalmente a questo si arriva solo in presenza di un cliente illuminato.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Penso che a monte bisognerebbe parlare di crisi generale della professione, di eccessivo carico burocratico, di crisi economica, di temi insomma che vanno ben al di là del ruolo della donna all’interno della professione. Tuttavia noi siamo storicamente più deboli e quindi le ripercussioni in momenti di difficoltà sono maggiori.
Che rapporto hai, nel tuo lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?
La utilizzo per quello che mi serve ma non mi piace la dipendenza che genera. Cerco ancora di orientarmi per le strade senza l’utilizzo di Google Maps e mi piace ancora schizzare, disegnare a mano ed acquerellare i disegni per i clienti.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Ho uno studio molto piccolo e che viaggia in modo molto snello, ho un solo collaboratore al quale delego tutta la parte di disegno su CAD e con il quale mi confronto per gli aspetti progettuali e tecnici. Io mi occupo personalmente delle relazioni con i clienti e con i vivai, dei preventivi e della direzione dei lavori.
Quale è stato il tuo approccio nella guida del tuo studio?
Mi sento sempre più a mio agio nei panni di un artigiano di fronte ad un’opera che richiede tempo e attenzione che in quelli di una figura da manager performante. Il mio approccio riflette dunque questo modo di sentire: il mio studio è la mia “bottega” ed è organizzato in modo tale da consentirmi di essere adattabile alle situazioni, da darmi il giusto sostegno senza avere una struttura troppo complessa.
Cosa consigli a chi vuole investire nei propri progetti e intraprendere una carriera come la tua?
Questa domanda me la pongo diverse volte al mese quando i giovani paesaggisti in cerca di lavoro bussano alla mia porta e non è di facile risposta. Da un lato vorrei dire: “Credeteci, lavorate sodo e da qualche parte arriverete” e anni fa quando insegnavo al Master di primo livello della Facoltà di Agraria di Torino ci credevo davvero. Oggi non so: è una carriera in salita e se la mira è quella di diventare ricchi è meglio guardare altrove. Consiglio comunque di fare esperienze diverse e non solo di studio: lavorare nei vivai, con i giardinieri, andare all’estero, visitare giardini…è una professione che si impara solo “mettendo le mani nella terra”.
Pensi che nell’Italia di oggi ci siano ancora dei pregiudizi nei confronti di una donna architetto?
A me non pare proprio ma forse solo perché non ho toccato con mano.
Quali sono le caratteristiche o le qualità che prediligi nella selezione dei tuoi collaboratori\trici?
L’onestà, il coraggio, una visione parallela e non comune della realtà, il senso dell’umorismo, la generosità e la manualità. Le cose che apprezzo in generale nelle persone.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi architettura?
Non sono mai stata brava a dare consigli e penso che sia molto difficile oggi farlo in generale: in un mondo che cambia così velocemente. A una ragazza consiglierei di iscriversi alla Facoltà di Architettura se sente di essere fortemente motivata in tal senso e magari con una buona analisi preventiva dei pro e dei contro. I sogni vanno assecondati ma magari esistono scelte parallele che, senza deviare troppo dalla meta, si rivelano alla lunga un investimento migliore.
Cosa vuol dire per te fare design o architettura oggi?
Fare architettura del paesaggio oggi credo voglia dire una cosa molto diversa da fare architettura e design oggi: noi paesaggisti abbiamo meno vincoli ma il nostro lavoro è ancora considerato un accessorio del quale, in mancanza di fondi, si possa fare a meno. Manca ancora una cultura di base che metta il paesaggista al servizio dell’uomo comune: nel mondo in cui viviamo si fa un gran uso di parole come “paesaggio”, “verde”, “sostenibilità” ma l’ignoranza in materia regna ancora sovrana e l’argomento perlopiù viene trattato con grande superficialità. Oggi, come in passato, l’architetto del paesaggio è ambasciatore di una cultura del bello e non è solo qui per disegnare il paesaggio ma per insegnare a cogliere le potenzialità di ciò che ci circonda. Capire per proteggere, mettere in valore e, nel caso, replicare e ridisegnare.
C’è una donna architetto a cui ti ispiri? E una fashion designer?
Se c’è un architetto donna che mi ispira è senz’altro Martha Schwartz, artista del paesaggio visionaria e geniale. Mi affascinano i professionisti che, come lei, sono sempre molti passi più avanti degli altri. No, non mi ispiro a nessuna fashion designer, però ammiro costantemente le donne che incontro che esprimono con coraggio il loro modo di essere, interpretando la moda.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
La poltrona Detecma di Gufram: lo ammetto, sono di parte, la disegnò mio padre sulla base di un modello di funzione matematica. La “Fetta di polenta” dell’Antonelli, o Casa Scaccabarozzi. Quest’edificio è vicino a casa mia, ci passo accanto ogni giorno e mi mette di buon umore con la sua forma ardita e improbabile.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai
….l’acqua, ça va sans dire.
Una buona regola che ti sei data?
Quella che può essere disattesa senza fare danni.
Il tuo working dress?
Comodo e possibilmente senza errori negli accostamenti di colore.
Città o campagna?
Ovunque senza pregiudizio e con adattabilità.
Qual è il tuo rifugio?
Gli affetti sono il mio rifugio.
Ultimo viaggio fatto?
Sofia-Istanbul con i treno notturno, atmosfere da “Fuga di Mezzanotte” e ricordi di viaggi da adolescente.
Il tuo difetto maggiore?
L’ostinazione: a volte dovrei sapere quando è eccessiva.
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
La capacità di ascolto.
Un tuo rimpianto?
L’aver capito molto tardi di avere un reale talento artistico.
Work in progress….?
Tanti, sia di giardini sia di acquerelli, li vorrei tutti in progress e non qualcuno in stand by.