Serena è diventata vegana in una sera d’estate del 2010, mentre stava per pulire delle seppie per una cena: si è resa conto che quelle che stava maneggiando per farne del cibo non erano altro che creature del mondo animale. Che, per lei, avevano il diritto di vivere.
Dopo quasi un decennio di veganismo, Serena Ferraiolo può spiegarci cosa significa essere vegani, perché abbracciare questa filosofia alimentare e cosa cucinare quando viene a cena un amico vegano. E lo fa con un libro. Il piccolo libro vegano, appena edito da Iacobelli Editore nella collana di tascabili “I piccoli libri”.
Le tue origini sono a Caserta, ma vivi da qualche anno a Roma. La tua decisione di abbracciare il veganismo è nata nella capitale? Quale delle due città ha accolto con maggior favore la cultura vegana, e come si integra nella tradizione gastronomica locale?
Se non fossi arrivata a Roma non so se avrei mai deciso di diventare vegana. Le dimensioni della città e il cambio di vita (da studentessa della città di provincia a lavoratrice alle prime armi nella capitale) mi hanno spinto prima ad arrangiarmi come potevo per gestire tempo, distanze e alimentazione, e poi a interrogarmi più profondamente su come stavo scegliendo di vivere e su cosa avrebbe migliorato la situazione. Diventare vegana è stata la prima vera scelta che ho fatto prestando attenzione a me stessa.
Per quanto riguarda la risposta che hanno le due città nei confronti della cultura vegana, non saprei dire quale delle due sia più vegan friendly, non si possono paragonare per dimensioni e commistioni di culture in primis. È facile pensare che la capitale d’Italia si prepari ad accogliere i vegani come tutte le nuove tendenze, negli anni c’è stato un aumento della sensibilità dei ristoratori e hanno aperto diversi ristoranti vegani oltre che vegetariani, ma la cosa che mi ha più sconvolto di Caserta è stata trovare un supermercato con un reparto vegano fornitissimo e un ristorante vegano e vegetariano in centro già sette anni fa. La gastronomia del territorio del Lazio e della Campania da un lato si allontana moltissimo dalla cucina vegana, proponendo rispettivamente primi o secondi piatti a base di carne in tutte le salse oppure mozzarella di bufala e salsicce di maialino nero; dall’altro comprende ricette in cui verdure e legumi, a seconda delle stagioni, sono molto presenti.
In genere, chi sceglie il veganismo desidera praticare uno stile di vita più ‘puro’. Cerchi il tuo equilibrio mentale e corporeo attraverso l’alimentazione, ma anche nella natura, nella meditazione e nella lettura. Quali discipline e quali libri consiglieresti a chi voglia seguire il tuo percorso?
Consiglio a tutti, non solo a chi ha voglia di iniziare un percorso nuovo, di ascoltare il proprio respiro. Molti di noi hanno una vita frenetica, la continua corsa contro il tempo ci accorcia il respiro e riempiamo i polmoni solo per metà. Dovremmo imparare ad andare più a fondo, a respirare con la pancia, a riconquistare il tempo e probabilmente a fare meno cose con maggiore qualità. Dico “dovremmo”, non è semplice per nessuno.
I libri che consiglio sono quelli che ho incontrato per caso e che mi hanno guidata, uno per volta, in questo percorso di crescita e miglioramento personale che ho intrapreso anni fa: Molte vite molti maestri di Brian Weiss mi ha aiutato ad aprire la mente e a rompere gli schemi, Il risveglio del corpo di Nadia Tarantini e Maria Teresa Pinardi mi ha insegnato a non curare il sintomo di un malessere fisico ma di cercare la ragione profonda che l’ha scatenato, La dieta comica di Mirna Visentini mi ha spinto a lavorare sulla digestione degli alimenti (la digestione è alla base di tutto il nostro funzionamento fisico ed emotivo, altrimenti perché dovremmo avere un apparato digerente così ingombrante!), Istruzioni per maghi erranti di Andrea Panatta mi ha aiutato a capire che la chiave dell’interpretazione delle cose sta nel metterle insieme, imparando a fondere le diverse anime e le diverse strade che percorriamo in una sola, che è quella della nostra vita.
Ti occupi di letteratura ispano-americana, soprattutto uruguaiana e argentina Tra l’altro, hai tradotto Memorie dal calabozo (Iacobelli, 2010), da cui è stato tratto il film Una notte di 12 anni, oltre a un paio di volumi per Nova Delphi. Il veganismo da noi è ancora uno stile di vita poco diffuso; nel mondo sudamericano le cose stanno diversamente?
L’approccio al veganesimo in Argentina e Uruguay è in grande scala simile al nostro. È cresciuta negli anni l’attenzione nei confronti delle produzioni cosiddette “biologiche”, ci sono comunità grandi di vegetariani e vegani, quindi anche il settore della ristorazione si è adeguato (a Buenos Aires, per esempio, ci sono almeno 4 ristoranti vegani di qualità altissima). È difficile però mangiare vegano e bene in un ristorante qualsiasi, va meglio in pizzeria dove si rimedia sempre una pizza al pomodoro, senza formaggio, e la fainá, la tipica farinata di ceci ligure. Nei piatti della tradizione di questi due paesi sono ancora molto presenti carne, formaggio e strutto. Mi permetto di parlare solo però delle zone dell’America Latina che conosco, non credo si possa dire lo stesso per la zona equatoriale, dove gli allevamenti sono minori e maggiore è invece la produzione di frutta e verdura.
Metti una sera a cena, con un vegano. Di solito cosa cucini per gli ospiti? E quando ci sono convitati ‘onnivori’, che soluzione scegli? E ancora, ti è mai capitato di essere ospite al ristorante, e non sapere cosa ordinare?
Queste tre domande sono il grande tema del libro, tanto che dopo averlo scritto ho pensato che fosse un manuale d’uso per onnivori più che per vegani. Sono assolutamente convinta che il rispetto delle scelte, finché non nuocciono agli altri ovviamente, sia alla base di ogni convivenza civile, figuriamoci poi dell’amicizia, e questo vale tanto per le persone che vengono a cena a casa mia quanto per i ristoratori che si trovano a servire un cliente vegano.
Quando sono diventata vegana avevo paura di ritrovarmi al ristorante e non saper cosa scegliere e all’inizio è stato difficile, innanzitutto perché non ero abbastanza preparata io. Ciò nonostante credo mi sia successo una sola volta di non riuscire a mangiare nulla. Un vegano affamato mette da parte la dignità e nei momenti di difficoltà estrema accetta una bruschetta al pomodoro o delle patatine fritte per cena. Può capitare, a me è successo molti anni fa e di rado.
Avere un onnivoro a cena, invece, è per me un must (anche il mio compagno lo è). Chi viene a cena da me credo venga proprio per mangiare quello che cucino, altrimenti andremmo a cena fuori e ognuno potrebbe scegliere quello che preferisce!
Lo scorso anno ho dato una festa e mi sono resa conto di avere tra gli invitati un’amica celiaca e una invece allergica alla frutta fresca e secca. Sono riuscita a organizzare un brunch a buffet che mettesse tutti d’accordo: oltre alle olive (non devono mancare mai!) e a una serie di paté di antipasto (di funghi, di pomodori secchi, hummus senza tajina), ho preparato fagioli in umido, patate all’insalata, farinate di ceci con spinaci, cicoria ripassata e un riso saltato con verdure e soia in stile cinese. Dopo essermi arrovellata molto sono riuscita a elaborare anche un dolce adatto a entrambe le mie amiche!
La domanda è d’obbligo: ci lasci una ricetta vegana da leccarsi i baffi? 🙂
Vi regalo volentieri la ricetta del dolce di cui parlavo poco fa, che assomiglia a un tiramisù solo concettualmente:
Ingredienti per 4 persone
Per la crema: 10 grammi di zucchero grezzo, 250 ml di latte di riso, 1 cucchiaio e ½ di fecola di patate, 1 bustina di vanillina.
Per la panna vegetale: 100 ml di latte di soia e 200 ml di olio di soia.
Per la base: 400 gr di biscotti vegani (li ho selezionati senza glutine e senza frutta secca), 100 grammi di cioccolato fondente tritato grossolanamente, caffè solubile o alla francese, cacao amaro in polvere.
Una pirofila (32 x 22 cm)Preparare la panna vegetale è più facile di andarla a cercare in un supermercato! Versiamo il latte di soia e l’olio di soia in un frullatore e azioniamo finché la panna non sarà montata. Quindi versiamo la panna in una ciotola, copriamola e mettiamola in frigo. Mentre la panna si addensa, prepariamo la crema: versiamo il latte di riso in una pentola, quindi aggiungiamo la vanillina e la fecola e mescoliamo con una frusta per evitare che si formino grumi. Mettiamo la pentola sul fuoco e continuiamo a mescolare finché la crema non raggiunge il bollore. Spegniamo subito e continuiamo a mescolare finché non abbiamo raggiunto la densità giusta. Quindi versiamo la crema in un recipiente di vetro o di ceramica e lasciamola raffreddare. Una volta raffreddate entrambe, mescoliamo insieme delicatamente e andiamo a preparare il caffè.
Versiamo il caffè in un piatto fondo o in una ciotola, prendiamo una pirofila e iniziamo a creare gli strati. Mettiamo uno strato di biscotti imbevuti nel caffè (uno alla volta e da un lato solo), quindi ricopriamo lo strato con la mousse che abbiamo ottenuto, cospargiamo di scaglie di cacao e procediamo con un nuovo strato di biscotti, quindi di mousse, con una nuova spolverata di scaglie di cioccolato. Formiamo quanti più strati possiamo, fino al bordo della pirofila e cospargiamo di cacao in polvere. Lasciamo raffreddare in frigo per un paio d’ore e sarà pronto!
Serena Ferraiolo, Il piccolo libro vegano. Consigli utili in cucina e non, “I piccoli libri”, Iacobelli Editore, cm 9×10, € 4,50.