Fiamma Satta, giornalista, scrittrice e blogger, voce storica di Radio2. Questa intervista nasce dalla curiosità di conoscerla meglio attraverso il suo romanzo “Io e lei, Confessioni della sclerosi multipla”, un libro che narra la storia d’amore tra un uomo ed una donna e dove il terzo incomodo non è una persona, ma una malattia.
Fiamma Satta lei è una donna coraggiosa, il coraggio credo sia il punto di partenza del suo romanzo, ci vuole coraggio per raccontarsi attraverso una malattia senza risparmiarsi. Ricordiamo che il suo è il primo romanzo in cui è la malattia a narrare. Si riconosce nella descrizione di donna coraggiosa?
Sì, anche se siamo tutti coraggiosi quando la vita ci mette di fronte a delle difficoltà. Infatti, in determinate condizioni, o riesci a usare la forza che è nascosta dentro di te o ti fai abbattere dalla difficoltà, qualunque essa sia. La vita ne inventa così tante… Personalmente non mi sento una donna particolarmente coraggiosa, ma una donna a cui la vita ha proposto una “sgradevolezza”, chiamiamola così, con la quale è riuscita negli anni a fare i conti, a confrontarsi, a convivere. La definizione di donna coraggiosa mi fa piacere ma è un’arma a doppio taglio. Talvolta, infatti, l’espressione “tu sei forte, tu sei coraggiosa” viene pronunciata come giustificazione dell’incapacità ad aiutarmi veramente.
È come dire non hai bisogno di aiuto?
Sì, risulta quasi uno scarico di responsabilità: “non ti aiuto perché non ne hai bisogno”. Così, quando mi dicono che sono una donna forte rispondo che lo sono come qualsiasi altra persona che si trovi alle prese con una malattia grave come la mia.
Si tratta di trovare le risorse di sopravvivenza che abbiamo dentro di noi. Sentirla parlare con la pacatezza e allo stesso tempo la forza, dà in chi l’ascolta un esempio importate. È una testimonianza che serve.
Grazie. Quel che ha sempre animato il mio lavoro, per esempio anche i programmi di intrattenimento (“Fabio e Fiamma”, ndr), è stata l’idea di “servizio”, di rendere un servizio agli altri. Anche quando tratto argomenti meno leggeri come la malattia il mio obiettivo resta il medesimo.
Si percepisce che il suo obiettivo è dire qualcosa di utile e non mettere in mostra sé stessa.
Mi fa piacere che abbia ben compreso qual che a qualcuno talvolta sfugge.
“Io e lei. Confessioni della sclerosi multipla“ narra una storia d’amore. L’amore come forza universale fa parte di noi e forse ce ne dimentichiamo troppo spesso, l’amore per l’altro e per noi stessi. Credo che solo l’amore di sé ci permetta di amare la vita a cui lei non ha voluto rinunciare nella sua forma piena. Come ha scelto di far diventare proprio la malattia la voce narrante del romanzo?
Una delle sezioni del mio blog “Diversamente aff-abile” è dedicato alla Sclerosi Multipla considerata esclusivamente attraverso le sue mille implicazioni psicologiche. Negli anni ho acquisito una tale conoscenza della malattia che ho maturato la volontà di scrivere un libro per mettere tale bagaglio al servizio degli altri. Non volevo però raccontare l’ennesimo percorso di una persona alle prese con una malattia e ogni volta che iniziavo a scrivere mi sembrava tutto abbastanza noioso. Volevo realizzare qualcosa di più incisivo, forte, rivoluzionario. Mi sento di dire che ci sono riuscita. Ricordo bene che quando mi è venuta l’idea di far parlare la malattia stessa, sempre presente agli eventi narrati e fondamentale punto di vista esterno a me, ho scritto di getto il primo capitolo del romanzo, rimasto poi tale e quale, e nei cinque mesi successivi gli altri ventiquattro. IO E LEI è quasi un flusso di coscienza che ha trovato finalmente il modo e lo spazio per uscire.
Del resto scrivere di sé è difficile e spesso risulta una scrittura noiosa, lei invece ha trovato un escamotage straordinaria.
Grazie! Ad ogni modo, questo libro è utile a tutti, non solo a chi è malato. Parla infatti delle ombre, delle zone grigie e dei limiti che ciascuno ha dentro di sé. Attraverso l’analisi dei miei, il lettore riconoscerà i propri. Un tema universale dunque. Paradossalmente è la malattia che parla ma non è un libro sulla malattia, bensì sull’essere umano.
Come è riuscita a far parlare la malattia?
Poiché prima di me nessuno, in letteratura, aveva mai fatto parlare una malattia, non avevo punti di riferimento. Una volta avuta l’idea di renderla voce narrante della storia d’amore ho dovuto confrontarmi con il linguaggio: come si esprime la Sclerosi Multipla? Ho scelto di farla parlare nell’unico modo possibile: aggressivo, ostile, sgradevole, spesso volgare. È stata una scelta difficile da parte mia che in trent’anni di microfono non ho mai pronunciato volgarità o parolacce e l’unica volta che mi è scappato un “imbecille” sono stata malissimo. Ma ho dovuto adottare un linguaggio del genere perché è l’unico adatto a una malattia tanto grave. Non è pur vero che ogni malattia, anche un semplice raffreddore, aggredisce il malato? Così, la Sclerosi Multipla del romanzo, l’IO del titolo, è aggressiva e ostile con tutti, a cominciare dal lettore al quale suggerirei di non spaventarsi. Man mano infatti che la storia va avanti imparerà a conoscere la malattia, a individuarne addirittura i punti deboli, a non temerla, come in un qualsiasi percorso di accettazione, fino al finale a sorpresa che ovviamente non rivelo qui. L’aggressività della voce narrante si riversa in particolar modo sulla donna che la ospita, la LEI del titolo, che viene denigrata aspramente. La Sclerosi Multipla le invidia la capacità di amare e detesta il fatto che nei suoi occhi, uno specchio dell’anima dove si riflette ogni emozione, nulla traspare dell’inquietante presenza della malattia.
È una bella forma metaforica.
Dal momento che IO E LEI ha ricevuto numerosissime recensioni positive ed è stato molto apprezzato dai lettori, mi sento libera di affermare che ho scritto qualcosa di buono e di nuovo. Comunque, romanzo o non romanzo, quel che più conta è essere riuscita a non rendere la malattia il tema dominante della mia vita.
Possiamo dire che lei non si identifica con la malattia, ma è sempre la stessa persona che ha mille altre occupazioni di cui la sclerosi è solo un aspetto. Ci sono altri settori della vita…
Sì, ci sono altri settori, altri elementi che possono essere magnifici o brutti ma che comunque hanno per me un valore.
La serenità che lei lascia trasparire nel come si esprime e nel come si pone nasce, credo, dal fatto che ha una vita ricca ed appagante.
Ho ricevuto il dono è della curiosità, grazie al quale è difficile per me provar noia.
Un dono non da poco!
È la curiosità che mi fa osservare con interesse ogni persona, ogni situazione, ogni fatto che mi accade intorno. Mi piace molto andare a teatro, per esempio. Se lo spettacolo è brutto, noioso e mal recitato non considero quel tempo sprecato perché si riesce sempre a trovare qualcosa che desta interesse. La vita è piena di sorprese. Non eviterei a priori quelle negative, perché preferisco soffrire per la delusione di un incontro piuttosto che rinunciarvi per paura del fallimento. E poi, anche nella tristezza ci son mondi da scoprire.
È stato difficile accettare la malattia?
Accettare la malattia significa sostanzialmente non averne paura. Ed io, che al momento della diagnosi avevo 35 anni, ero terrorizzata, non avevo gli strumenti per poter elaborare quello sconquasso emotivo. Ho impiegato molti anni per riuscire ad accettarla e a rispettarla. Paradossalmente, mi ha fatto più danni la lunga rimozione della Sclerosi Multipla che la malattia stessa.
Azzardo un’ipotesi: una delle migliori opportunità è forse stata l’eliminazione di persone che erano da allontanare dalla sua vita?
La malattia è un ottimo filtro perché allontana chi ne ha paura. Anche la sedia a rotelle lo è, una specie di rotweiller che allontana chi ne prova disgusto o imbarazzo, chi non è in grado di considerarla una parte di me. Capisco subito da come mi guardano, come mi spingono… È antropologicamente interessante la sedia a rotelle, quasi uno strumento per conoscere meglio l’umanità.
Nella sua rubrica su La Gazzetta dello Sport “Diversamente aff-abile, diario di un’invalida leggermente arrabbiata” e nell’omonimo blog denuncia episodi di inciviltà quotidiana in cui le capita di inciampare. Lei la definisce “disattenzione al prossimo, soprattutto quello è in difficoltà” in cui capita a tutti talvolta di rientrare. Nei suoi discorsi c’è un carattere universale, non crede? Sporcare per terra, sputare è disattenzione.
Certamente, infatti nel mio blog non esiste il disabile tout court, esiste il prossimo, soprattutto quello in difficoltà: può essere una mamma incinta, un anziano, un disabile o un bambino che sta per cadere. In questi casi la disattenzione è ancora più grave. Anche sputare per terra, o infilar cicche di sigaretta in uno scoglio è un segno di inciviltà. Certamente non c’entra la disabilità, ma chi non rispetta l’ambiente potrebbe essere probabilmente meno portato a rispettare, ad esempio, un parcheggio per disabili.
So che lei è molto interessata al fenomeno del pianto, le è capitato di piangere? Prima di tirar fuori la forza di reagire?
Al momento della diagnosi della Sclerosi Multipla, nel 1993, non ho pianto. Ero da sola quel giorno in quella clinica. Però non mi vergogno di piangere, anzi, perché considero le lacrime una forma di comunicazione del proprio stato emotivo.
Non crede che piangere sia parte della guarigione? Una guarigione interiore che aiuta a diventare più forti, sfatando così lo stereotipo che piangere sia segno di debolezza?
Diffido di coloro che giudicano le lacrime una debolezza. Piangendo comunico in modo tangibile e immediato quel che sto provando in quel momento, che sia commozione, gioia, o tristezza. Le lacrime sono infatti una sostanza vitale al pari del sudore, della linfa o dello sperma.
Sono catalogati come un’equazione simbolica.
Nel libro, la malattia detesta le lacrime, soprattutto quelle della donna dentro la quale si annida. Del resto, tutto quello su cui si posa lo sguardo della voce narrante subisce un ribaltamento di segno. Quel che per me, per noi, ha valore positivo, per la malattia è negativo, e viceversa.
Possiamo affermare che la voce narrante/malattia è un suo alter ego che dice il contrario della verità?
Sì, è la mia ombra, il mio limite, la mia contraddizione.
Credo sia stato anche un modo per mettere in scena ciò che Fiamma non ha il coraggio di mettere in scena.
Perché no? Il romanzo racconta il fallimento di un forte legame sentimentale. Perché non interpretarlo anche come una paradossale e bizzarra lettera d’amore al protagonista maschile? Leggendola forse riuscirebbe a comprendere cosa avviene dentro il cuore di una donna quando è aggredita da una malattia. Una malattia che è riuscita a dilaniare la coppia.
Il terzo incomodo ha rotto il legame.
IO E LEI non è una storia a lieto fine, del resto non tutte le storie d’amore durano per sempre.
Quanto pensa che influisca la cura dei particolari nell’affrontare la vita?
Sono molto precisa, ho cura dei particolari, sia che io stia scrivendo un testo, sia che stia apparecchiando la tavola. Credo sia fondamentale usare attenzione in tutto quel che si fa. Inoltre sono una fan dei dettagli, infallibili rivelatori di persone, situazioni o luoghi.