Green book – film bello perché scompagina le categorie con le quali di solito si approcciano i problemi di pelle, etnia, colore, religione
Non so se vincerà uno dei tanti Oscar cui è candidato; di sicuro vince il primato nella mia personale classifica dei film dell’anno.
America degli anni ‘60, quando si era già lontanissimi dalla fine della schiavitu’ ma ancora impastoiati nel groviglio di pregiudizi razziali che, specie negli Stati del sud, raggiungeva livelli paradossali. Ma il film non è bello perché è una storia sull’eterna questione razziale (chissà se mai l’umanità ne uscirà!). È bello perché scompagina le categorie con le quali di solito si approcciano i problemi di pelle, etnia, colore, religione.
È la storia di un viaggio che compiono il talentuoso, colto, raffinato pianista nero e il suo autista italoamericano, rozzo, ignorante, piu’ portato a menar le mani che a ragionare. È anche la storia vera dell’amicizia insospettabile e imprevedibile che nasce tra i due e che è stata scritta dal figlio di Tony Vallelonga, l’autista italiano appunto, costretto a rendersi conto che anche lui -in quell’epoca- non è che l’esponente di una marginale ‘razza inferiore’, con qualcuno che gli da’ del ‘mezzonegro’ per umiliarlo e metterlo a tacere.
La storia di un ‘viaggio nella conoscenza’; conoscenza dell’altro, di quello che gli sta e ci sta intorno, del potere catartico dell’arte e della musica, della solitudine e soprattutto della stupidità del pregiudizio. La conoscenza, non il buonismo, come solo antidoto contro la stupidità del pregiudizio.
Tutto in salsa leggera, poetica, a tratti anche umoristica.