Loredana Bertè è considerata la vincitrice morale del Festival e questo è un riscatto non solo per lei.
Anche il 69esimo Festival di Sanremo si è concluso, potrei dire la mia sui testi delle canzoni visto che fa parte delle mie competenze, ma ci sono altre conoscenze che mi spingono a non soffermarmi sulle parole bensì sulle immagini criticate duramente.
Nei social si sono scatenati molti odiatori, e il termine negativo è solo un eufemismo, all’indirizzo di cantanti donne, tra l’altro in minoranza nella kermesse, per la loro età avanzata, per i ritocchi di chirurgia plastica di Patty Pravo, per le minigonne di Loredana Bertè o in ultima serata contro la performance considerata scadente di Arisa. Nessuna critica o quasi contro i maschi seppur non abbiamo, a vario titolo, fatto sempre una bella figura. Ciò che più rattrista è il fango lanciato dalle donne stesse contro le cantanti, dagli uomini ce lo potremmo anche aspettare, ma dalle donne non si può.
Una donna dello spettacolo non ha età anagrafica, l’arte va oltre l’immagine dell’artista, è forse questo che dà fastidio?
Ma veniamo alle gambe scoperte. Chi vive la quotidianità comune non può indossare la minigonna se ha sessant’anni perché si sente a disagio, la maggior parte di chi la pensa così è influenzata dai luoghi comuni e si convince che le gambe non si possano più permettere quell’amato piccolo pezzo di stoffa che Mary Quant ha creato nel 1963. La minigonna valorizza tutte le gambe e per questo ha visto un successo mondiale al di là del suo essere un simbolo di libertà ed emancipazione decisamente all’opposto di una donna castigata da lunghe gonne al polpaccio. Se il capo di abbigliamento ti dona, che minigonna sia, sostengono le menti libere e fuori dal coro: ma se a qualcuno non stesse bene che problema ci crea? Quello di essere “leggermente” invidiose per non poter, per varie ragioni, fare lo stesso. E qui entrano in gioco i limiti pesanti degli stereotipi per cui l’abito deve rappresentarci, pazienza se non ci sentiamo rappresentate ma obbligate ai pantaloni sine die, così parte lo sfogo del proprio frustrato risentimento con critiche velenose nei confronti di chi se ne frega di chi sparla.
Poi c’è chi suggerisce che le donne mature debbano dare il buon esempio alle giovani. Va bene, possiamo prendere in considerazione il consiglio alla condizione che lo stesso dovere venga attribuito anche ai maschi: circa questo Festival, non ho letto grandi critiche alla volta della chirurgia plastica maschile o all’invasione dei rapper sul palco che non sono sempre un buon esempio per le giovani generazioni.
Il problema di questo assurdo gioco al massacro contro il femminile si può risolvere a partire da una presa di coscienza della fuga del materno dalla nostra anima. Che cos’è il materno? Una “modalità dell’essere” presente in ogni individuo al di là del genere: è la capacità di accogliere, di accudire, di amare gli altri. Una componente che si sta perdendo e che va assolutamente salvata, pena l’inaridimento del nostro vivere sociale. Come si recupera? Iniziando a metterci maggiormente nei panni degli altri e prima di criticarli provando a chiederci qualcosa sulla loro vita, così inizieremo a capirli prima di metterli al bando, ad ascoltarli prima di tappar loro la bocca, ad osservarli con attenzione prima di giudicarli. E piano piano capiremo meglio noi stessi e magari, chissà, indosseremo la minigonna senza più pregiudizi godendo del piacere di continuare a vivere un po’ della giovinezza che fu: con un paio di calze coprenti è un capo che sta bene a tutte!
Resta il fatto che Loredana Bertè è considerata la vincitrice morale del Festival e questo è un riscatto non solo per lei.