Una volta cresciuti i figli, si vuol torrnare al lavoro. E ce la si può fare – Flavia Capudi Schenone
Era la fine degli anni settanta quando è avvenuta una piccola rivoluzione epocale: tante donne/mamme, con un importante bagaglio di letture, di confronti, di presa di coscienza sui diritti -al lavoro- oltre che sui doveri, consapevoli delle loro potenzialità fino ad allora al servizio della famiglia, hanno deciso di affrontare il mondo del lavoro (esterno) e di mettersi alla prova.
Così ho fatto anch’io a 45 anni: una figlia di 15 e un figlio di 7 e, sull’esempio di amiche che mi avevano preceduta e spronata, mi sono affacciata timidamente in un piccolo ufficio che si occupava di barche a vela cercando di supplire alla mancanza d’esperienza con una buona dose di buon senso e di decenni di economia domestica alle spalle.
Ce l’ho fatta. Questo per un anno. Poi la fine dell’avventura per tuffarmi subito dopo in una sfida ancora più impegnativa, questa volta da pendolare: partivo ogni mattina in metro da Lanza per raggiungere Cassina de’ Pecchi. All’alba dei miei primi 45 anni, con zero esperienza nel campo dell’elettronica, con una paura matta di non potercela mai fare, ricca soltanto della conoscenza di un paio di lingue, ma con grande esperienza di vita vissuta ho accettato.
Anche questa è andata. Ma dopo nove anni di avanti e indietro, una mattina ho deciso: basta, non ne posso più, troverò un altro lavoro che non parli di elettronica di cui non capisco un’acca e magari anche più vicino a casa. Erano anni in cui la voglia di fare apriva tutte le porte. Così, sicura di potermi riciclare nel tempo, ho lasciato Cassina de’ Pecchi (Mi) senza alcun rimpianto, se non per i colleghi/amici, che ho comunque conservato.
Questo avveniva nei miei 55. Non ero ancora rientrata nel ruolo di ex casalinga che già avevo un’offerta molto avvincente, a parole, ma che mi spaventava da morire: dovevo avventurarmi in un campo sconosciuto che mai mi sarei sognata di potere avvicinare, ma tant’è, è così che sono entrata nel mondo della carta stampata. Ho avuto mal di testa per giorni e giorni nello sforzo di capire cosa stavo facendo, dove stavo andando. Per fortuna ho avuto mentori eccezionali che con tanta pazienza (oddio mica poi tanta, perché assegnato il compito, la data di consegna era pochi giorni dopo) mi hanno insegnato il mestiere di raccontare e di scrivere. Cominciando da piccoli itinerari in luoghi che conoscevo suggerendo cosa vedere, cosa fare, dove comprare destinati a inserti di riviste, cosa molto di moda negli anni novanta. E così, dai viaggi a Parigi, Londra, Andalusia alle guide per automobilisti curiosi, passeggiate nei quartieri dello shopping milanesi fino ad arrivare a un magazine nuovo e da inventare è stato un divenire di eventi e occasioni, tutte afferrate al volo con entusiasmo e tanta incoscienza. È stata l’esperienza più esaltante della mia vita lavorativa che è durata quasi vent’anni. Una vera fortunata perché, con la coscienza di fare il più bel lavoro del mondo, ho conosciuto cos’è piacere e gratificazione. All’alba degli 80 posso dire che non è ancora troppo tardi per collaborare con dei magazine on line su cui condividere le passioni che continuo a coltivare.