Ricrearsi vuol dire anche sperimentare le conoscenze acquisite per realizzare i propri obiettivi di crescita. E approfondire studiando. Questa è la lunga storia di Femi Albi.
Sono sempre stata una persona sognatrice e creativa.
Fin da bambina amavo inventare storie e personaggi che vivevano nei miei sogni e nelle mie fantasie e ne riempivo fogli, immaginando di fare la scrittrice. Ma non mi bastava, avevo bisogno di sfogare anche con la manualità ciò che mi passava per testa e così ho iniziato a coltivare la passione per il “trasformare in qualcosa di tangibile” ciò che la mia sfrenata creatività mi suggeriva. Fa parte di me e del mio modo di stare al mondo. Tant’è che al momento di scegliere gli studi di scuola superiore, piuttosto che il liceo classico – che comunque mi piaceva visto che amo la storia e la letteratura – convinsi mia madre a farmi iscrivere all’Istituto d’Arte di Spoleto.
A quattordici anni iniziai la mia vita da pendolare tra Terni e Spoleto per inseguire il mio primo sogno: studiare l’arte in ogni suo aspetto, sia pratico che storico-teorico. Avevo le idee molto chiare fin dal primo anno, avrei proseguito gli studi all’università di lettere o all’accademia di restauro.
E così è stato, alla fine mi sono laureata in lettere, ma non in storia dell’arte, in antropologia culturale, ambito da cui sono sempre stata affascinata e che in parte sazia anche la mia voglia di indagare l’essere umano nei suoi vari aspetti, nel suo essere unico, nelle sue relazioni, in ciò che lo guida nello spazio sociale e nella visione del mondo. Questi studi hanno aperto ancor di più la mia mente, mi hanno fatto viaggiare in ogni angolo del mondo attraverso i libri e soprattutto mi hanno fatto comprendere altri modi di dare significato alla vita e al mondo: tutto pane per la mia fantasia, creatività e voglia di sapere.
Purtroppo in Italia non c’è molto spazio per gli antropologi e così, dopo la laurea ed una breve esperienza nel mio campo di studi, ho deciso che era arrivato il momento dell’indipendenza economica e quindi anche abitativa.
Mi arrivò un’offerta di lavoro da un’agenzia di marketing ed organizzazione eventi per la quale ogni tanto facevo la hostess, quindi decisi di abbandonare l’ antropologia e fu il primo grande cambiamento e la prima vera decisione.
E’ così che iniziò la mia nuova vita nel marketing e nel settore vendite. Poco dopo entrai a lavorare per una grande multinazionale del tabacco per la quale facevo l’agente a Roma-Centro: cosa volevo di più? Bel lavoro, ottima e continua formazione nel marketing e merchandising, molto ben retribuito e a tempo indeterminato. Eppure, benché non avessi ancora trovato la mia strada, sapevo che non era quella, avevo altri sogni e progetti per me, sapevo nel mio cuore che era soltanto una piccola deviazione.
Dopo quasi dieci anni, mi licenziai per tentare una nuova strada, agente del farmaco per una casa farmaceutica, pensando che magari sarebbe stato più stimolante, ma niente! Avevo la nausea ogni volta che aprivo le mail o dovevo andare ad un appuntamento di lavoro e mi domandavo continuamente cosa volessi di più: in fondo avevo un ottimo lavoro, vivevo nella città che amo di più al mondo (Roma), nel quartiere che amavo (il Pigneto), non subivo lo stress della metropoli perché lavoravo nel centro storico e andavo in bicicletta!
Allora? Allora, per fortuna non ho mai abbandonato la creatività e la manualità, anzi le ho sempre coltivate. E la spinta che mi serviva è arrivata proprio dalle mie amiche che, vedendomi continuamente trasformare oggetti e materiali di scarto in ciò che mi suggeriva la mia fantasia, mi spinsero a provare con qualche mercatino.
È stata un’esperienza bellissima, adoravo fare i mercatini. Dopo un paio di anni, mia madre, che spesso mi accompagnava ed ha sempre amato cucire e creare, decise di provare a realizzare qualche abito da vendere ai mercatini insieme alle mie creazioni. Wow! Siiiiii! Pochissimi pezzi ed un successone.
Era giunto il momento di accettare la sfida con me stessa… ahimè però: trasformo di tutto e non so mettere un bottone!
Per puro caso, proprio in quei giorni, alla banca del tempo sotto casa iniziava un mini corso di cucito per realizzare una shopper e decisi di provare. Dopo la prima lezione tornai a casa e comprai in un batter d’occhio una macchina da cucire on-line: amore a prima vista, è proprio il caso di dirlo!
E da lì è iniziata la mia rivoluzione. Nel tempo libero non assemblavo più materiali di scarto, ma tessuti. Che follia senza nemmeno le basi! Per fortuna avevo il supporto telefonico di mia madre e da completa autodidatta, tra tanti fallimenti e gioie, ho iniziato a realizzare abiti da donna e bambina. La domenica andavamo a fare mercati, tutto solo per passione perchè avevamo entrambe altri lavori. Ma io avevo finalmente trovato la mia strada e sognavo di farlo diventare qualcosa di più di un hobby.
Tanto amore e determinazione mi hanno permesso, dopo meno di due anni, di spiccare il volo, di poter tornare ad essere totalmente me stessa, la sognatrice, la creativa, quella con i piedi ben saldi a terra, ma con la testa tra le nuvole. Finalmente ero libera, libera dalle multinazionali, dai fatturati, dalla competizione, dalla partita Iva, dagli orari imposti, libera di sentirmi bene, libera di realizzare i miei sogni, di autodeterminarmi nel lavoro. Ho rivoluzionato la mia vita: mi sono licenziata, sono tornata a Terni e mi sono dedicata esclusivamente alla mia sartoria, che all’epoca si chiamava “La RicreAzione”.
Qualche mese più tardi aspettavo le mie gemelline Adelaide e Ludovica e non potendo lavorare, mi dedicai a seguire corsi professionali, investendo su me stessa e su ciò che veramente volevo.
Dopo due anni di stop forzato, condito da tanto studio, ho ripreso le mie attività e molte persone mi chiedevano – e mi chiedono ancora – come abbia fatto a trovare il coraggio per fare un tale salto nel vuoto, cosa mi abbia spinto a lasciare un lavoro ben pagato e sicuro, per inseguire un sogno che di certezze ne dava ben poche, soprattutto in vista del fatto che volevo diventare madre.
La risposta non è semplice: sicuramente un pizzico di follia, ma soprattutto il bisogno di sentirmi realizzata totalmente.
Nonostante la fatica il primo passo è stato sicuramente la costruzione di basi solide: ho fatto un doppio lavoro per due anni (agente e sarta sette giorni su sette!), e quando ho capito che poteva essere un mestiere, anche se meno remunerativo, mi sono buttata a capofitto nel mio sogno. Non mi hanno mai spaventata i cambiamenti, anzi ne ho bisogno, e ora posso ritrovarli e ricercarli in tutto ciò che faccio, realizzando esclusivamente pezzi unici, ognuno diverso dall’altro.
Insomma, com’è andata a finire? Quando ho ripreso il lavoro, dopo la nascita delle bambine (che oggi hanno tre anni e mezzo), ho cambiato il nome del mio brand in Dada.Lú Sartoria Contemporanea e sono venuta a conoscenza di un bellissimo progetto: “Umbria Slow Fashion”, sostenuto e promosso dalla Bottega del Mondo Monimbò Altromercato di Terni e Perugia. Questo progetto raggruppa una decina di artigiane locali e promuove, oltre all’artigianato locale, una moda più etica e sostenibile. Mi sono detta “troppo bello ed interessante per starne fuori!”. Mi sono presentata ad Adele Barbetti, la responsabile del progetto, e mi sono proposta come artigiana.
A primavera 2017 è partita la nostra collaborazione ed arrivò in bottega la prima collezione Dada.Lù., realizzata, come tutte le altre, esclusivamente con tessuti di fine serie dei brand moda italiani. A Dicembre dello stesso anno la Casa delle Donne di Terni mi propose di far ripartire il loro laboratorio di sartoria attraverso la realizzazione di corsi ed eventi tematici. La considerai una grande opportunità, sia professionale che personale ma temevo di non esserne in grado o all’altezza, ma non mi feci scoraggiare dalla paura. Mi buttai anche in questa nuova avventura con grande entusiasmo e feci benissimo: ormai è un anno che abbiamo attivato i corsi che hanno già raccolto intorno a noi più di quaranta donne!
I corsi sono strutturati su tre livelli: si parte dalla realizzazione di una shopper, fino al confezionamento di giacche e cappotti. Il laboratorio in cui lavoriamo è stupendo, fornito di macchine da cucire e di tutti gli strumenti necessari; i materiali sono rigorosamente scelti da me tra i tessuti di fine serie, tenendo fede al principio che guida il mio lavoro: la moda etica. E’ un’esperienza bellissima, soprattutto a livello umano. Le donne che frequentano il laboratorio per lo più non si conoscono, ma insieme ai nostri capi, piano piano, iniziamo a cucire insieme anche le nostre vite, le nostre storie, ci mettiamo in gioco, ci relazioniamo, parliamo, facciamo rete, usciamo dalla routine bambini-casa-lavoro. Di più: cerchiamo di crearcelo un impiego, anche riempiendo le giornate lasciate vuote dalla mancanza di lavoro, soprattutto dopo una gravidanza. Creiamo capi che ci facciano sentire bene con le vere forme del nostro corpo, senza standardizzazioni. Il clima che si respira è una boccata di ossigeno in un mondo sclerotico, veloce e che ci vuole divise.
Attraverso il cucito pratichiamo la pazienza e la lentezza. Sì perché per realizzare un capo ben fatto c’è bisogno di tempo, ma soprattutto creiamo accoglienza e condivisione, sostegno reciproco e comprensione. Che altro posso dire? Tutto questo è ciò che ho sempre sognato, condividere, fare rete con altre donne, poter fare un lavoro che mi soddisfa e dove ritrovo me stessa, poter promuovere una moda etica e sostenibile, riuscire a creare un piccolo brand di sartoria, un amore scoperto tardi, ma che mi sta dando grandi soddisfazioni. Spero che la mia storia faccia da stimolo a chi sente di non essere sulla propria strada, a chi pensa di non farcela o ha paura. E dico sempre “se c’è l’ho fatta io, a quasi 40 anni, ce la possono fare tutte e tutti, soprattutto a cucire! “. Ci vogliono impegno e determinazione, amore e passione per ciò che stiamo facendo, ma soprattutto serve capire cosa vogliamo veramente e scoprire il proprio talento, perchè ogni persona ne ha uno. I cambiamenti possono spaventare, ma spesso sono necessari per non finire in un involucro che non ci appartiene, magari rinunciando ad un po’ di agiatezza economica e alle sicurezze, ma vale la pena rinunciare a noi stesse per un paio di scarpe in più? Per me, assolutamente no. Credo che piano piano i risultati dei nostri sforzi arrivino, ma le soddisfazioni più grandi non saranno mai quelle economiche, almeno per me, ma quelle personali.