Anche in questo 8 marzo 2019, saranno indette una serie d’iniziative non per festeggiare formalmente ma per rimarcare le ragioni inascoltate di una parte sociale offesa. Ma il dibattito fra donne non è riuscito a fare breccia nella politica.
Per chiunque ormai l’8 marzo è considerato il giorno della festa della donna. La storia di questa ricorrenza e le motivazioni per cui è stata indetta, per chi volesse informarsi meglio o approfondire, la si può ritrovare nei migliori motori di ricerca sul web.
Puntualmente, anche in questo 8 marzo 2019, saranno indette una serie d’iniziative non per festeggiare formalmente ma per rimarcare le ragioni inascoltate di una parte sociale offesa per non avere ricevuto la necessaria attenzione verso il superamento di discriminazioni di genere da sempre denunciate e tutt’oggi esistenti .
Queste manifestazioni, che si svolgeranno sparse in tutto il territorio nazionale, vedranno doverosamente impegnate oltre le istituzioni, molte realtà associative, movimenti ecc. e saranno svolte nelle università, scuole, luoghi di cultura, di lavoro ecc. oltre che nelle pubbliche piazze per ritrovarsi, almeno in quel giorno, tutte/i insieme sotto un unico cielo., E ancora una volta (già nel 2018) le donne incroceranno le braccia per scioperare astenendosi «dal lavoro produttivo e riproduttivo, formale o informale, retribuito o gratuito per protestare contro la violenza maschile e la violenza di genere che è divenuto ormai un problema strutturale” (iniziativa di Non Una di Meno).
Per fortuna qualcosa sta cambiando e ci sono donne che da tempo si muovono sotto lo slogan “8 marzo tutto l’anno”, che racchiude la volontà di essere presenti, vigili e attive sempre. Una modalità di azione scelta dagli Stati Generali delle Donne che ne fa una presenza peculiare nel panorama della politica femminile e che da alcuni anni è presente su tutto il territorio nazionale . La scelta di trasformare la denuncia in azione concret , la testimonianza in proposta, l’indifferenza in sostegno con e fra le donne di ogni provenienza ed esperienza, anche politica, è l’obiettivo. Non a caso per questo marzo 2019 gli SGD si sono attivati per mettere a disposizione le “proprie competenze per sostenere, orientare, proporre percorsi di ricerca attiva di lavoro a donne disoccupate, in fragilità, vittime di violenza per favorire gli inserimenti lavorativi e la creazione di micro imprese”,
(http://www.donneierioggiedomani.it/8113/IL-NOSTRO-OTTO-MARZO).
La forte simbologia dell’8 marzo è sempre stata presa a pretesto e strumentalizzata da settori dell’ economa e della cultura (in particolare dei media). Inutile dilungarsi sui gadget, mimose, programmi speciali, ecc. Il protagonismo riconosciuto è quello di donne-madri-mogli-mamme-sempre e solo DONNE.
Oggi più che mai è necessario ribellarsi a quello che erroneamente si considera un destino “infame ma immutabile” delle donne e la partecipazione collettiva è necessaria per creare una rete di solidarietà e di azione oltre ogni appartenenza.
Si può essere certi che anche questa volta la partecipazione delle donne sarà numerosa e rumorosa ma il passo successivo dovrebbe guardare alla costruzione di un piano B diverso e sicuramente più impegnativo sul piano politico, mirato a pretendere futuri impegni concreti e soluzioni chiare ed inderogabili.
Con il coraggio proprio dei “disperati”, il movimento delle donne dovrebbe elaborare ed organizzare non più una forma di resistenza attiva-passiva piuttosto quello di lotta attiva-organizzata.
L’unico modo per abbattere il vecchio ma ancora resistente “tetto di cristallo” è quello di armarsi di piccone. E in battaglia non si vince con l’inadeguatezza delle armi ma con la forza di un battaglione agguerrito.
Le questioni che le donne hanno affrontato nel corso degli ultimi decenni dello scorso secolo ed ancora oggi, riguardano temi ormai fin troppo noti: autodeterminazione, parità, diritti, famiglia, precarietà del lavoro- parità salariale e di opportunità, assistenza sanitaria-familiare, forme di violenza fisica e psichica, ruoli e assistenza familiari, città a misura di persona, ambiente, cultura e istruzione, partecipazione-rappresentanza ecc.
Esistono centinaia di ricerche, di dati mirati, che forniscono una concreta e puntuale analisi di cui la politica può avvalersi eppure il dibattito attorno a queste questioni si auto ricicla di volta in volta sotto sigle diverse e concorrenziali senza portare a risultati congrui. In sostanza le donne se “la cantano e se la suonano” fra di loro.
Pur di grande spessore professionale e culturale, il dibattito fra donne non è riuscito a fare breccia nella politica. Una metodologia che va avanti da anni e che lascia la questione in un cono d’ombra rispetto alla luce che produrrebbe la sua soluzione.
Diciamo dunque che la “questione femminile” non è mai esistita per la politica che è rappresentata nella sua stragrande maggioranza da uomini.
Così la concessione di quote non rappresenta che un’ulteriore negazione dell’importanza della partecipazione femminile nelle sfere decisionali.
Dopo il rumore “femminista”, è come se il mondo si fosse arreso a considerare la presenza delle donne come un male incurabile da monitorare di volta in volta a seconda dei sintomi manifesti (aborto ecc.).
Dobbiamo pur dire che anche le donne hanno avuto ed hanno le loro responsabilità.
Nel cercare di trovare fragili e temporanee alleanze, accettare un paternalismo politico, una benevolenza di appartenenza, un riconoscimento personalizzato o finalizzato, un compiacimento all’isolazionismo, una metodologia piagnona, un’insufficiente metodologia di solidarietà e al riconoscimento delle differenze soggettive, all’ irrinunciabilità di “ruolo”.
Soddisfatte di dimostrare di essere responsabili, brave bambine, martiri ma non guerriere.
Tutto ciò che si poteva mettere in campo con “le buone maniere” è stato fatto ma, la politica si combatte con le stesse armi dell’avversario che vuol dire forza numerica, organizzazione e sostegno economico alla causa.
Ovvero realizzando ciò che è stato sempre scartato, fingendo di essere già integrate in un sistema che le ha spesso ricacciate, che non ha intercettato i loro bisogni relegandole in uno spazio inaccessibile a chi deve svolgere e conciliare più di un lavoro.
Un’ipotesi di organizzazione politica contempla un modello che non si basa sulla volontarietà a tempo determinato, su campagne di azione brevi ma su un impegno continuo e monitorato. Una struttura fatta di persone che lavorino retribuite. Un incarico che non può essere affidato al buonismo e alla precarietà.
Per chi voglia accedere al potere e partecipare agli spazi decisionali, militanza e organizzazione non hanno sinonimi possibili.
Le donne non avranno mai uno spazio dentro le attuali forme di partito, costruite ed alimentate da una classe politica che non intende cedere il passo né di trasformarsi.
Per questo forse è arrivato il momento di contrapporre ad essi un nuovo soggetto politico, ancora in embrione, con caratteristiche differenti ma con uguale diritto ad affermare valori, conquistare rappresentanza, cambiare pratiche e modalità anche di stile e di linguaggio. Un soggetto politico autonomo capace di proposte ed azioni concrete.
Forse è più facile organizzare una piazza che un soggetto politico ma se tutte le rappresentanze femminili che si muovono nel Paese, per quanto provenienti da percorsi differenti, associazioni, gruppi, movimenti, comitati, commissioni, partiti ecc., si ritrovassero a discutere insieme la nascita di questo soggetto potrebbe essere possibile.
Non è più il tempo di raccontarsi, di dialogare fra di noi, spiegarci ciò che sappiamo da tempo, ci siamo già detto tutto. Né tanto meno di lamentarci di una politica non accogliente o chiedere un cambiamento che non arriva. Piuttosto è il momento di riorganizzarsi, di portare avanti le campagne e le iniziative in modo autonomo e senza dovere compiacere, di essere riconosciute a pieno diritto di pensiero e originalità, consapevoli dell’importanza dell’unità per dare voce e sostenere un obiettivo comune contro l’incompletezza della politica.