Perchè e quando è possibile contrastare la menopausa con terapie ormonali sostitutive.
di Aura Fede
Il gruppo di studio della dottoressa Blackburn si è meritato il Nobel per gli studi sui telomeri e l’invecchiamento cellulare.
Ci dicono: attenzione, preparatevi, la vita si spingerà ben oltre…
Di questo passo dove andremo a finire?
L’avanzare dell’età media, nell’uomo e nella donna, ha reso familiare a tutti noi il concetto di qualità di vita. cui oggi ogni specializzazione della medicina deve confrontarsi
Il medico di oggi deve sporgersi al di là dell’abitudine, al di là della competenza guadagnata con lo studio.
Poiché il benessere dell’individuo non si colma più con la sola diagnosi di un quadro clinico rassicurante.
Benessere non è più soltanto efficienza (fisica, psichica): è un equazione che coinvolge forze divergenti
delle quali la medicina deve imparare a tenere conto.
In questa equazione delicata ha un peso importantissimo la soddisfazione che proviamo per la nostra vita (la sua qualità è appunto l’incognita a cui l’equazione intera fa capo).
Una ics soggettiva, ubbidiente a variabili che delle volte, sentendo sfogare certe pazienti, ci sembrano del tutto insensate.
Per questo motivo ci è tanto difficile calcolarla.
L’aspettativa di vita delle donne italiane oggi è di circa ottantaquattro anni.
Confortante.
Ma se guardiamo bene, la nostra serenità clinica si sfalda con largo anticipo.
A settanta sopraggiungono osteoporosi, artriti, ipertensione e magari Alzheimer, Parkinson (senza nominare i tumori).
Per questo motivo aspettativa della vita molto spesso si traduce in attesa faticosa della fine.
È davvero importante allungare l’aspettativa di vita? O non è più importante l’aspettativa di salute e la percezione di salute («come mi sento veramente?»)?
Il concetto di salute, quindi non è solo un generico stato di benessere o una semplice efficienza fisio-psichica, ma un equilibrio di forze antagoniste che devono armonizzarsi fra loro.
Poiché oggi si dà più valore alla longevità (qualità della vita) che all’invecchiamento (durata della vita), spetterebbe alla medicina, in un giorno non lontano, far combaciare perfettamente aspettativa di vita e aspettativa di benessere.
Ma è un lavoro lungo, difficile.
Chi per scelta o vocazione, desidera oggi arricchire la qualità di vita alle donne, insieme alla cura dei sintomi (talvolta inesorabili) deve incaricarsi di lavorare sulla loro serenità, sulla loro percezione di sé….
In età matura è senza dubbio la menopausa la più grande responsabile della visione distorta che abbiamo di noi stesse e del nostro effettivo stato di salute.
È vero, si tratta di un momento cruciale: i processi d’invecchiamento accelerano, il crollo estrogenico cambia il metabolismo (quello osseo, quello lipidico) facendo aumentare i rischi di osteoporosi, di obesità, di malattie cardio vascolari.
Procedere nelle proprie abitudini fingendo che nulla cambia è un atteggiamento sbagliato.
Ma lo è anche sentirsi già condannate, come se avessimo improvvisamente contratto una malattia inguaribile
a cui ci dobbiamo piegare senza scampo (vi garantisco che è un atteggiamento abbracciato da molte).
Leggiamo due frasi pronunciate da due persone di talento incalcolabile (uomini, sfortunatamente):
«Bisogna saper ascoltare i segnali dell’organismo che si modifica. Il corpo ha un suo linguaggio e quel linguaggio va compreso.
La menopausa comporta disagi? Vanno identificati e curati: una donna non può e non deve rassegnarsi a una qualità di vita peggiore solo perché si è conclusa una fase della sua esistenza.» Umberto Veronesi
«Essere giovani è effetto del caso e svanisce come nebbia, rimanere giovani è molto di più, è un’arte di pochi.» Johann Wolfgang Goethe
Veronesi ci suggerisce dunque che il corpo ha un suo linguaggio. Che va compreso, e va sentito.
Ma per molte donne è complicato comprendere il senso di quello che il corpo le costringe a sentire.
L’abbiamo sempre avvertito, il tempo che corre.
Abbiamo imparato negli anni a comprendere il nostro metabolismo, sentiamo che cambia, accettiamo che si riduca con costanza man mano che maturiamo.
Ma ecco che dopo la menopausa improvvisamente ci sfugge, precipita, si riduce a velocità doppia,
e solo a noi donne!
Prendiamo l’esempio dell’ipotiroidismo,(che già colpisce prevalentemente il nostro sesso): in premenopausa ne soffre fino all’otto percento di noi, dopo la menopausa il doppio, fino a quindici.
Significa che una su sette accuserà fastidi alla ghiandola che è sostanzialmente il compasso del nostro corpo: colei che disciplina l’intero nostro metabolismo.
Significa che una su sette avrà difficoltà a regolare il proprio peso, il colesterolo, la pressione, il battito.
Significa, ancora una volta, che nonostante la domanda di comprensione e sentimento di Veronesi, le donne misurano rabbiosamente su sé stesse l’iniquità della natura: la sproporzione biologica del trattamento riservato a loro rispetto a quello riservato agli uomini: incubatrici a termine, che finito il ciclo produttivo vanno vuotate e sterilizzate per far posto a grembi nuovi più efficienti.
Perché dovremmo accettarlo? Già. Perchè?
Perché la menopausa, come il parto, è un processo perfettamente naturale.
Perché è la natura a volere così: a volerci vuotate degli ormoni da un certo punto in avanti della nostra vita.
Del resto, in tempi non lontanissimi la natura ci voleva dentro le caverne, nudi, pelosi, a mangiare cadaveri crudi di bestie: allora forse dovremmo informare i vegani (e le donne che prendono appuntamento dall’estetista) che fondamentalmente stanno facendo peccato contro natura.
Tra tutte le specie viventi quella umana è la sola a sperimentarla. La quasi totalità delle altre specie femminili non va in menopausa.
Che detta più semplicemente suona così: tutte le specie femminili, umana a parte, non sopravvivono all’impossibilità di riprodursi.
In realtà, storia alla mano, l’Homo Sapiens (di genere femminile) per migliaia di anni non è vissuto abbastanza per arrivarci, alla menopausa
Vita media Zambia 37 anni Malawi 46 Sud Africa 51 Congo Ghana Ruanda 53 anni AIDS Malaria TBC Guerre Genocidi Fame Sete
La maggior parte delle donne vissute nel mondo perciò neppure l’ha conosciuta sperimentata MUORE PRIMA
La menopausa non è un dono della natura è una conquista nei paesi ad alto tenore di vita.
In Italia……
Parliamo di storia recente, intendiamoci:
in Italia la vita media delle donne nella prima metà del ’900 era di 43 anni, per cui…
Ma oggi? Oggi che la vita media delle donne è di 86 anni?
Oggi che ― abbiamo visto ― voltarsi indietro a cercare consiglio nel passato non porta a un bel nulla….. non potevano lasciarci il libretto delle “ istruzioni per l’uso” dobbiamo cercare di rispondere a quei perché che noi donne non comprendiamo e che perciò ci mortificano doppiamente.
Eccone alcuni, sollevati in modo opportuno da una mia collega molto nota:
«Perché dopo i cinquant’anni le donne si riducono in statura più degli uomini?
Perché hanno più artrosi e più fratture?
Perché hanno più dolori articolari e ossei?
Perché, invecchiando, hanno più probabilità di incurvarsi?
Perché le loro scoliosi peggiorano dopo la menopausa?
E perché si fa ancora così poco per prevenire tutti questi disturbi tipici delle donne, causa di invalidità, solitudine, sfiducia nella vita e di crescente e infinito dolore, fisico ed emotivo?
La ragione, ancora una volta, sta nella sostanziale trascuratezza con cui viene considerato il drammatico impatto della carenza degli estrogeni dopo la menopausa sul sistema osteoarticolare.» Alessandra Graziottin.
L’ormone femminile (il 17 beta estradiolo principalmente) agisce su ogni organo e sistema che ne ospiti i recettori.
Recettori che sono sparsi davvero ovunque nel corpo, facendo sì che l’influsso ormonale ci condizioni marcatamente (nel sistema riproduttivo, in quello cardiovascolare ,immunitario, nervoso, dappertutto…)
Il metabolismo osseo, risponde con estrema sollecitudine all’azione estrogenica grazie a due specifiche categorie di recettori sparsi nello scheletro:
i recettori α, seminati sulla parte corticale dell’osso, la più esterna, e i ricettori Β contenuti in maggioranza nella parte trabecolare, quella interna, che è di gran lunga la più sensibile alle oscillazioni ormonali.
Ed è proprio dove c’è ricchezza di tessuto trabecolare, nelle vertebre, nelle ossa lunghe, che dopo la menopausa l’osteoporosi ci colpisce con più facilità esponendoci in modo significativo al rischio di fratture.
Più o meno vent’anni fa si scopriva (scoperta Italiana) che la consunzione dell’osso dovuta al calo di estrogeni era diretta conseguenza dell’aumento dei linfociti T nel midollo.
I linfociti T, attivati, generano la proteina TNF (tumor necrosis factor), che causa la formazione degli osteoclasti, (le cellule responsabili del deperimento osseo) e quindi, nel tempo, l’osteoporosi.
Significa che la caduta ormonale altera direttamente i meccanismi fisiologici di difesa del sistema immunitario rivoltandoli contro il nostro stesso tessuto osseo.
Le conclusioni della stessa ricerca aiutano a spiegarci come mai la menopausa agisca in modo negativo non solo sullo scheletro ma anche sugli altri tessuti sensibili, aggravando ad esempio le malattie infiammatorie e le autoimmuni (l’arteriosclerosi, l’artrite reumatoide).
Siamo un paese vecchio.
Il venti percento della popolazione supera i sessantacinque anni, il cinque percento gli ottanta.
Si calcola che tra vent’anni oltre il dodici percento passerà gli ottantacinque.
Significa un aumento esponenziale delle patologie cronico degenerative, su tutte l’osteoporosi (considerata già ora dall’OMS «un problema di salute la cui rilevanza mondiale è seconda solo quella dalle malattie cardiovascolari»).
In Italia colpisce tre milioni e mezzo di donne (tre volte gli uomini).
E ancora alla donna spettano tre casi su quattro di frattura dell’anca, a cui, superati i cinquanta, si associa un indice di mortalità del tre percento (come quello del cancro al seno, quattro volte quello del cancro all’utero).
Ci sono anche riflessi meno rovinosi (ma non meno disturbanti).
Sempre, chiaramente, a scapito della donna.
Sottraendo estrogeni mettiamo un freno alla produzione dei fibroblasti (una diminuzione del trenta percento).
Sono le cellule che sintetizzano le proteine incaricate di tenere idratati i dischi intervertebrali (elastina, collagene, glicosaminoglicano, le stesse che nel frattempo, venendo meno, ci riempiono la faccia di rughe, ma su questo aspetto sorvoliamo).
Già durante la transizione climaterica, e poi nell’anno successivo alla menopausa, a causa di queste carenze
registriamo l’assottigliarsi di tre, anche quattro millimetri in ciascun disco.
Sommiamo il numero di vertebre e vediamo come si arriva velocemente a perdere interi centimetri d’altezza,
(di più nell’eventualità di osteoporosi).
Finiamo dall’inizio (o concludiamo dal principio se volete, è lo stesso).
Ci siamo mossi all’inizio ponendo come ics,(come soluzione di una difficilissima equazione) non la salute in sé, ma piuttosto il benessere, la qualità di vita.
Una ics che a livello sia teorico che pratico è ancora sperduta chissà dove, e sotto cui sta sepolto un tesoro che per moltissime di noi resterà sconosciuto: il benessere perfetto, la perfetta qualità di vita.
Ma se nel frattempo ci facessimo bastare un principio più elementare, meno assoluto, (il principio per cui seppure la destinazione è ignota nulla vieta di renderci più confortevole possibile il viaggio) potremmo allora riservare a noi stesse delle soddisfazioni inattese.
Quello che voglio dire è che: nell’attesa di scoprire come si fa a stare perfettamente, potremmo intanto farci le ossa provando a stare meglio.
«Hai le rughe? non ti preoccupare, è normale, la salute c’è, tranquilla.»
«Ti sei accorciata un po’? È tutto a posto, alle donne capita.»
«Ti senti vecchia? Non sei la prima né l’ultima, avanti, è la natura: che vuoi fare, le vuoi andare contro?»
Tutte queste belle verità (a cui dobbiamo sempre sorridere gentilmente) gettano la nostra vita, per qualità, direttamente nell’ultimo scaffale delle offerte dei prodotti a veloce scadenza di un discount tedesco.
È così indecoroso allora fare qualcosa per non doverle più sentire? (soprattutto pronunciate da noi stesse, allo specchio…)
La terapia ormonale sostitutiva, vale a dire la somministrazione di estrogeni nelle donne in post menopausa, agisce sul nostro sentire (sulla percezione del nostro sé) secondo il principio a cui accennavamo prima: non ci farà sentire perfettamente, ma senz’altro ci farà sentire meglio.
E soprattutto riconoscerà alla nostra vita dopo i cinquanta quella qualità che per norma, per natura, siamo sempre state inclini a svendere.
L’HRT (Hormone Replacement Therapy) non blocca solo la frangibilità delle ossa: ne consolida la densità nel corso del tempo (dal tre all’otto percento, è dimostrato).
Com’è dimostrata, sotto HRT, la regressione del rischio fratture: vertebrali, di anca, di femore.
È una terapia preventiva da somministrare in perfetta tranquillità anche a chi non ha sintomi di osteoporosi.
E soprattutto, oggi, è una terapia sempre più sicura.
Da circa due anni è in commercio una nuova categoria di farmaci che adotta una soluzione ingegnosa.
In combinazione con l’estrogeno (che argina i sintomi della menopausa), le compresse non contengono più l’ormone progestinico, ma un non ormone: il bazedoxifene (della stessa famiglia del tamoxifen, usato nella prevenzione dei tumori) che agisce a difesa di mammella e utero (specialmente quelli intolleranti)
prevenendo ogni effetto collaterale.
Non danno rischio di trombosi, nessun fastidio cardiovascolare.
Nelle donne a cui è stato tolto l’utero, terapie simili, (la cura dei sintomi della menopausa attraverso il solo impiego di estrogeni) limitano l’incidenza del tumore al seno in modo netto.
Non solo è noto, ma è anche scientificamente dimostrato, da anni.
Ma, come si dice, la natura evidentemente prende il sopravvento: un quarto delle donne italiane isterectomizzate oggi sarebbe perfettamente idonea alla terapia: vivrebbe mille volte meglio, con più sicurezza, se, dicendola come Veronesi, sapesse ascoltarsi e comprendersi.
Eppure, ad oggi non più del tre percento delle donne italiane in menopausa accetta la terapia.
E cioè: solo una su trenta tollera di migliorarsi, di avere davanti a sé ancora la vita e non un conto alla rovescia.
Le altre ventinove si tengono strette ai loro sintomi, al malessere, all’idea astrusa (confusamente religiosa) che la sofferenza, per qualche motivo, ce la siamo meritata.
Chi dovrebbe fare la terapia sostitutiva?
Esistono quattro principali fattori di rischio definiti in termini tecnici “indicatori di vulnerabilità” che permettono di valutare se la donna stia andando incontro a un invecchiamento con rischi per la salute legati all’ assenza di ormoni.
1. l’età in cui inizia la menopausa, più precoce è (la media è 50 anni) più rischi si hanno;
2. la gravità delle vampate di calore.
Sono infatti un indicatore di invecchiamento cerebrale patologico
3. il valore del pH vaginale.
È una spia di vulnerabilità a infezioni uroginecologiche e di problemi sessuali.
4. il grado di trofismo vulvare
Rispecchia le analoghe modificazioni dei tessuti sottostanti, in particolare vascolari.
1 commento
Un articolo che non tiene affatto conto che la menopausa non è una malattia, che gli ormoni indesiderati creano alterazioni biologiche, che la ricerca epigenetica sta dimostrando che tra le cause principali delle modificazioni del genoma del carcinoma mammario sta nell’invasione ormonale, che le cause dei malesseri dell’età matura sono causate dagli stili di vita scellerati e non dal calo ormonale, che le influenze cognitive aggravano e a volte provocano i disagi imputati alla menopausa come dimostrano gli studi della dottoressa Myra Hunter del Royals College Hospital di Londra. Occhio donne: farsi di ormoni è certamente efficace per stare meglio, ma pare che anche la cocaina faccia miracoli!