Uomini e donne sono diversi, mai però ne è stato più consapevole il marketing, che di differenze e stereotipi ha fatto il motore di vendite selvagge, milionarie.
Se le caratteristiche maschili e femminili sono diverse per esigenze e domanda di prodotti, diventano addirittura discriminatorie e alla soglia della violenza in campagne abominevoli che richiamano a gesti di sopraffazione di un sesso sull’altro.
Esiste però un altro modo di sfruttare le differenze di genere nella vendita, strumenti apparentemente inoffensivi ma in realtà fonte di discriminazione e, addirittura, mezzo di ulteriore divario economico.
Un tempo i prodotti erano pochi e il bene “tradizionale” aveva un valore di garanzia di qualità. Oggi ogni prodotto deve differenziarsi, evolversi, moltiplicarsi. Così avviene che il rasoio, ad esempio, “la lametta”, che gli uomini acquistavano per la barba veniva comperata anche dalla donna per depilarsi. L’evoluzione ha voluto che il prodotto si trasformasse in una risposta commerciale variegata, doppia lama, tripla lama, usa e getta, con vibrazione, con film protettivo, con balsamo ecc. per gli uomini. Ergonomico, doppia lama, usa e getta, con film protettivo ecc. per le donne. Strumenti vari si, ma essenzialmente simili per le due simili esigenze. Differenti davvero in pochi elementi. Come differenziare il prodotto quindi maschio/femmina e aumentare del 7% circa la spesa destinata al mercato femminile? Allora è diventata colorata, morbida, carina, la lametta si è vestita da donna ed ecco lì che il suo costo è aumentato.
Eh sì, perchè la maggior parte dei prodotti destinati alle donne deve costare di più. Se è vero che il marketing distingue il diverso approccio che i due diversi sessi hanno verso un prodotto e quindi ne diversificano la promozione ed il packaging, è altrettanto vero che non è necessario aumentare il costo verso i prodotti “rosa” (siamo alle solite, il rosa individuato come colore per le donne, per mera scelta inconsapevole delle stesse o per induzione sempre commerciale? Vi prego di pensare alle bamboline, ai vestitini da bambina e a tutto il marketing che abbiamo assimilato dalla nascita)
Se, d’altra parte è vero che un prodotto ad esempio di abbigliamento costa di più per la donna per l’uso maggiore di stoffa che se ne fa, per la molteplicità dei materiali per un unico vestito, per gli elementi a decorazione degli stessi, è pur vero che solo il prodotto che effettivamente costa alla produzione di più aumenterebbe come prezzo finale per la donna. Ma così non è, perchè si registra un aumento addirittura del 13% tra uomo e donna quando si parla ad es. di prodotti di igiene e cura del corpo. Sarà perchè la donna è indotta dalla nostra cultura a doversi curare, apparire bella insomma, lavorare di più su se stessa e sul suo corpo e che quindi è indotta a spendere di più, ad accettare il prezzo più alto perchè non ne può fare a meno?
In molti Stati ci si è posti il problema, e sono stati presentati disegni di legge per combattere questa discriminazione economica, con scarso successo purtroppo. Ancor più perchè la donna, già soggetta al divario contributivo, ha un minore potere d’acquisto e la sua posizione sociale si abbassa ancora di più rispetto all’uomo che vive dello stesso lavoro.
Se poi aggiungiamo la questione delle spese eccessive e della mancata detassazione sugli assorbenti e tamponi, si arriva a comprendere che, effettivamente, il mercato è davvero discriminatorio verso la donna. Tanto più che le lobby internazionali hanno già mosso passi importanti contro la detassazione o il più facile accesso ad un prodotto che per le donne è indispensabile. Indispensabile, quasi da fascia A sanitaria. Si, però pensate che tra i 13 ed i 50 anni le donne devono usarli, moltiplicate i centesimi di detassazione o di abbassamento del costo per ogni donna e capite come mai non è stato ancora facile far passare una scelta tanto semplice come questa. Ecco, sempre e ancora, SUL CORPO DELLE DONNE.
da Fimminatv