Monica Scanu si occupa di design e architettura. Dal 2015 è Direttore della sede di Cagliari dell’Istituto Europeo di Design e da febbraio 2018 è il Presidente regionale del Fondo Ambiente Italiano_FAI_Sardegna.
È membro del Comitato Scientifico dell’Innovation and Craft Society di BANCA IFIS. È stata Presidente della casa editrice dell’Ordine degli Architetti di Roma dal 2014 al 2018. Dal 2012 è titolare del corso di Design Management nella sede IED di Cagliari. Dal 2007 è responsabile delle relazioni esterne e della comunicazione di Insula architettura e ingegneria. Tra il 2007 e il 2009 è Direttore a Roma del Master in Cultural Experience Design and Management di Domus Academy e IRFI. È stata docente sino al 2008 presso il corso di Disegno Industriale alla Seconda Facoltà di Architettura Ludovico Quadroni alla Sapienza, dal 2002 al 2007 presso il corso in Disegno Industriale e Ambientale della Facoltà di Architettura di Ascoli, e fino al 2009 presso il Design Culture and Management Program della Bilgi University di Istanbul. A Istanbul ha organizzato, in collaborazione con l’azienda Moleskine, il progetto “Detour My Detour”. Dal 2009 al 2011 ha fatto parte dello staff dell’Assessore alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma, con competenze su design, architettura e cultura internazionale.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Ho studiato alla Sapienza di Roma, provenivo da una famiglia in cui la laurea dominante era quella in Giurisprudenza, come spesso accade nel Sud e nelle isole italiane. Nessun incoraggiamento, quindi, ma neppure il contrario.
Architetto o architetta?
La declinazione al femminile del titolo mi è indifferente, sono più legata ai fatti che non alle questioni terminologiche.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
Fare architettura oggi significa recepire le istanze del territorio e dei committenti, interpretarle nel rispetto dell’ambiente e della comunità, e fornire soluzioni di alta qualità alle esigenze derivanti dall’abitare e dal fruire degli spazi. Significa lavorare con sensibilità e attenzione sullo spazio costruito con progetti di rigenerazione e di valorizzazione di quanto già realizzato, e anche: raccontare qualcosa dell’identità del progettista e mostrare il grande valore aggiunto che l’Architettura dà alle città e ai territori.
Com’è maturata la tua scelta di dedicarti all’insegnamento? E in particolare come concili l’attività menageriale di direzione dello IED di Cagliari con i tuoi interessi legati ad architettura e design?
Il mio è stato un percorso particolare: ho studiato architettura, poi mi sono interessata all’ambito Tecnologia, poi ho seguito – felicemente – il percorso del Dipartimento universitario con cui collaboravo, quello di Tecnologia dell’Architettura, che ad un certo punto si è orientato verso il Disegno Industriale. Da allora, il mio ambito di lavoro è stato quello del design: dai primi passi del DUDI, il Diploma Universitario di Disegno Industriale, all’esperienza con la scuola di eccellenza Domus Academy con la direzione del master in Cultural Experience Design and Management, sino all’incarico attuale, la direzione della sede di Cagliari dell’Istituto Europeo di Design, con una breve – e stimolante – parentesi in ambito cultura, con la collaborazione con l’Assessorato delle Politiche Culturali e alla Comunicazione di Roma Capitale, con incarichi in ambito architettura, design e cultura internazionale.
L’amore per la bellezza e l’ambiente ti accompagna dall’università fino alla presidenza del Fai. Tutta la tua vita professionale è incentrata sulla valorizzazione del bello. In sintesi che cosa rappresenta per te la Bellezza?
Bellezza: è qualcosa che ci stupisce, che ci fa sentire bene, che ci dà felicità e fiducia nell’Uomo e nelle sue capacità, quando si tratta di una opera d’arte. Oppure, se di fronte da uno spettacolo naturale, è qualcosa che ci emoziona e ci dà gioia e ci fa ringraziare il creatore di tutto. La Bellezza stimola la conoscenza, l’approfondimento, la voglia di fare.
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Come mi è stato fatto notare di recente da persone che mi stanno molto vicine, la mia vita professionale è fortemente intrecciata con quella privata: il mio è un mondo in cui architettura, design, arte, si mescolano quotidianamente, in cui le giornate lavorative si prolungano spesso la sera con manifestazioni fortemente collegate con il lavoro o con le persone con cui collaboro. In questo sono molto aiutata dalla capacità, questa sì, tutta femminile, di essere multitasking e di riuscire ad affrontare quasi contemporaneamente problematiche di tipo diverso. Capacità che crea anche ansia da prestazione continua, ma che è spesso efficace. Io non parlerei di discriminazione, piuttosto osservo, e questo non mi piace, che il lavoro delle donne è valutato economicamente meno rispetto a quello dell’uomo; per contro, se osserviamo le statistiche, è sempre più alto il numero di donne che si iscrivono all’università e che completano il ciclo di studi rispetto agli uomini, e sono le donne che in genere riescono a rispettare i tempi stabiliti dell’università.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne? Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Difficoltà ce ne sono per tutti, a mio avviso, anche per quelli che poi riescono a superarle; cerco di avere una visione ottimista del presente e del futuro, e a cercare di trasformare gli aspetti negativi in opportunità. I percorsi lavorativi raramente sono perfettamente lineari, in particolare quelli dei liberi professionisti.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
La situazione lavorativa per gli architetti non è buona in generale, a mio avviso soprattutto per le scellerate scelte nell’ambito della formazione fatte anni fa: oggi il numero degli architetti laureati è nettamente superiore alla richiesta del mercato, e rispetto a ai nostri colleghi europei abbiamo un rapporto numero di abitanti/ numero di architetti esagerato. E infatti, molti architetti non sono progettisti, cosa che dovrebbe essere l’uscita naturale per la nostra professione, ma si occupano di design, che è sempre progetto ma da una scala diversa, di moda, di cucina, d’altro, insomma. Molti lavorano nel settore dell’insegnamento e della formazione, come me.
Che rapporto hai, nel tuo lavoro e nel quotidiano, con la tecnologia?
Da quando lavoro con lo IED, mi confronto quotidianamente con i nostri studenti, in genere della fascia 17 – 22 anni: sarebbe impensabile non avere un buon rapporto con la tecnologia, il dialogo sarebbe davvero impossibile con loro, e senza arrivare a poter essere definita una nerd, so utilizzare gli strumenti che mi servono, e mi interesso alle novità tecnologiche.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Nel mio lavoro cerco di organizzarmi in maniera tale da impostare ogni nuova attività e poi dare spazio alle persone con cui collaboro per portarle a termine, o anche di stimolare iniziative personali.
A quale tra le tue pubblicazioni o i tuoi progetti sei più legata?
Sono particolarmente legata ad un libro scritto qualche anno fa ma sempre attuale: si tratta di “(Re)design del territorio”, ovvero un testo scritto con Andrea Granelli in cui ci immaginavamo un futuro per l’Italia legandolo allo sviluppo turistico sostenibile e basato sull’utilizzo sano del nostro patrimonio ambientale, artistico, architettonico.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura o design?
Suggerirei ad una giovane ragazza di iscriversi da un corso di studi breve e professionalizzante, come ad esempio quelli dello IED e di scuole analoghe: oggi la laurea in architettura non garantisce il lavoro, e credo invece che sia più utile approfondire bene alcuni aspetti pratici del sapere, in modo tale da anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
La casa in cui vivo ha vari “oggetti di design”: si tratta degli arredi che abbiamo scelto io e il mio compagno (architetto), dal tavolo Less di Jean Nouvel alla lampada Allegretto di Atelier OI per Foscarini; tutto quello che associa all’essere utile, funzionalità e rigore estetico mi interessa e appassiona. Architetture? La Tourette di Le Corbusier, il Kursaal di Rafael Moneo, il Rolex Learning Center di SANAA. Edifici rigorosi, aerei, che invitano a meditare, ad ascoltare, ad imparare.
Come riesci a conciliare la tua attività di ricerca con l’impegno di direzione dello IED di Cagliari?
Il mio lavoro allo IED è innanzitutto un lavoro di gestione della scuola; ma non solo. La nostra scuola, fondata nel 1966 dall’imprenditore sardo Francesco Morelli a Milano, ha come core business la formazione e in particolare i suoi corsi triennali, ma queste attività e la vita delle nostre sedi sono fatte anche di altre attività, come l’attività di ricerca, l’organizzazione e l’allestimento di mostre, la curatela, i progetti che vedono coinvolti i nostri giovani designer, l’artigianato, la tecnologia. Nella sede cagliaritana in questi tre anni ho lavorato molto per far crescere la reputazione della sede sarda; oggi questo è un obiettivo raggiunto, e siamo inseriti in una rete di scuole, università, centri di ricerca di eccellenza, garantiamo le uscite lavorative a molti dei nostri studenti, partecipiamo alla vita culturale della città e dell’isola.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
Sul mio tavolo da lavoro non manca mai il portatile, grande come un A4, dal quale mi separo raramente, e un pennarellino verde a punta fine di cui mi piacciono il tratto e il colore.
Una buona regola che ti sei data?
Regole? Ogni giorno ne invento di nuove, non tutte le rispetto: cerco di mantenere in generale e con tutti una “tenuta”, una sorta di contegno che è una forma di rispetto verso le persone con cui lavoro. Sulle piccole cose, mi sforzo di rispondere sempre a mail e telefonate, e di essere gentile, anche quando è davvero difficile (e capita spesso!).
Gli outfit – come li definiscono Massimo e Nicola, i nostri coordinatori del corso di Fashion Design – dipendono dalle attività che avrò durante la giornata, in genere prediligo scarpe dal tacco alto ma non disdegno le sneackers.
Città o campagna?
Città, sempre. Non riesco ad immaginarmi in campagna, non ora. Invece gli edifici, le strade, i monumenti cittadini mi danno conforto, mi sento protetta. E ho la fortuna di abitare in due città diversamente meravigliose, Roma e Cagliari.
Qual è il tuo rifugio?
Il mio rifugio è la mia casa: mi sposto settimanalmente da Roma a Cagliari, e devo dire che alla fine della settimana non vedo l’ora di rientrare nella mia casa, con il mio compagno. Il mio porto sicuro.
Ultimo viaggio fatto?
Ultimo viaggio fatto, oltre quelli settimanali fra Roma, Milano e Cagliari, una visita breve nella città di Istanbul, la capitale culturale della Turchia, città alla quale sono particolarmente legata sia perché ci ho lavorato, sia perché lì abitano degli amici cari, sia perché è una città straordinariamente bella e sempre nuova.
Il tuo difetto maggiore? E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
Non sono la persona più adatta a giudicare i miei pregi e i difetti; forse oggi sono diventata meno flessibile, più rigorosa, però credo di non avere perso gentilezza e buonumore. Un difetto è quello di essere incapace di consolazione, ma di cercare sempre di cercare di risolvere i problemi, anche quelli degli altri, anche quando magari si tratta di lamentele fini a se stesse, o semplici richieste di ascolto.
Un tuo rimpianto?
Rimpianti, qualcuno piccolo.
Work in progress….?
Progetti futuri? Tanti, ma sono segreti!