Riporto questa lettera al direttore del Piccolo scritta da Barbara Schiavulli, giornalista free lance, reporter in paesi di guerra durante il festival del buon giornalismo di Trieste.
Gentile direttore,
Che strana sensazione vedere il proprio nome in un titolo invece che come autore, posto dove sono abituata a stare. E questa sensazioni mi spinge a rispondere alla mia stessa provocazione che estrapolata da un’ora di conversazione nel bellissimo spazio del premio Luchetta sembra che io inviti i giovani a fare un altro mestiere.
Non so cosa diventerà il futuro per loro, ma so cosa è avvenuto negli ultimi 22 anni e 5 mesi. Li ho vissuti sulla pelle mia e di tanti colleghi.
Sono più o meno 18 mila i freelance in Italia, la spina dorsale di un giornalismo tradizionale che arranca, che spesso non racconta, che ha favorito più i raccomandati che i talenti.
Oggi un giovane come può costruirsi la vita a 10 euro a pezzo lordi? Me lo dica direttore, come un giovane che vuole fare il giornalista può uscire di casa dei genitori, pagare un affitto, le bollette, mangiare, a pochi euro a pezzo? Il lavoro del giornalista dovrebbe essere dignitoso, protetto. E non è così.
Non invito i ragazzi a smettere di sognare di fare questo mestiere, invito i direttori a farsi un esame di coscienza se si permette a una persona di lavorare, spostarsi, rischiare e poi offrire compensi inauditi.
Dovremmo essere noi stessi, freelance, i primi a dire: “Quello non paga, quello mi ha rubato la storia“, ma se lo fai poi non scrivi più. È semplice, definitivo, devastante. Alla gogna finiamo noi, non chi ci sfrutta.
Nei miei sogni perversi vedo giornalisti costretti a lasciare per sei mesi i loro ruoli stipendiati e scambiarsi le vite con gli stessi ai quali commissionano pezzi pagati 5, 10, 15 euro. E poi vediamo quanto resistete. Da ieri ne ho anche un altro di sogno perverso: Mentana che mi lascia il testimone.
Non è più possibile salire sui piedistalli, partecipare alle trasmissioni parlare dello sfruttamento degli altri e mai di quelli che gli articoli li scrivono.
E’ vero che noi siamo nessuno, ma questi nessuno ogni giorno permettono che i giornali escano.
In un altro dei miei sogni perversi tutti i freelance si mettono d’accordo e non accendono il computer per una settimana. Il mondo dell’informazione italiana si spegnerebbe di colpo, poi però nessuno di noi lavorebbe più e purtroppo ci sarebbe qualcun altro dietro che si prenderebbe la metà. Perchè il mondo dell’informazione l’hanno trasformata o l’abbiamo lasciata trasformarsi in una giungla.
Io vivo a Roma e se chiamo un idraulico, il prezzo lo fa lui, e se è bravo e non mi frega, io gli sono grata ma non penso che aggiustarmi il lavandino sia una missione e in quel caso sfruttabile e non penso che dovrebbe essere tanto lusingato a lavorare per me, da farsi pagare poco.
Amo questo mestiere, e ho scelto di farlo prendendomi tutti gli onori ma anche le fregature di chi non ha una tutela, un contratto, sapendo che non essere d’accordo spesso significava non scrivere più. Ho sempre saputo che se fossi stata ferita era meglio morire perchè una malattia grave o qualcosa di rotto sarebbe stato insostenibile.
Ho dovuto combattere, esattamente come tutti gli altri colleghi freelance per essere pagata, ascoltata, per scrivere le storie di persone che meritavano di non essere dimenticate. Ho raccontato la guerra lì ma l’ho combattuta qui, con chi diceva “alla gente non interessa”, “ma che storie tristi”, “meglio una storia che colpisce piuttosto di una che spiega”, “sai c’è la crisi non possiamo darti di più” e poi pagavano migliaia di euro per la foto dell’amante di un politico.
Non ho avuto amanti prestigiosi o mantelle politiche, perchè pensavo sarei stata abbastanza brava da farcela da sola. E perchè credo nel giornalismo indipendente al di sopra della politica. Ma o non sono brava, così come tanti altri, che ci può stare o il meccanismo è difettoso.
Una volta un capodirettore mi disse: “Sei bravissima, ma sei una mina vagante del giornalismo, non sei fatta per una redazione”, e allora usatemi per quello che so fare, gli risposi. Sempre che questa professione abbia ancora un significato.
Quante volte ascoltando storie di uomini e donne straordinarie, ho pensato che non avrebbero mai avuto spazio perchè gli Esteri sono ormai solo un accessorio nei giornali.
Perchè in un mondo dove una bomba italiana viene sganciata sullo Yemen, la gente non deve sapere?
Perchè se leggo di politica trovo l’elenco delle felpe di un ministro e non una serrata battaglia a chi istiga alla violenza? A chi sdogana il razzismo? A chi non protegge e tutela i più deboli? E magari li multa pure.
Non siamo al servizio della società, i garanti della democrazia, i cani da guardia del potere e non il suo megafono? Era questo è il giornalismo che sognavo, che sogno per i giovani, dove onestà, curiosità, competenza ne sono i cardini, non “chi conosci tu o chi può darti una mano”. Dove la qualità è più importante della velocità o peggio di chi si fa pagare meno.
Ma scusate ci andreste da un chirurgo che si fa pagare poco sapendo che non è altamente competente? No. Forse l’informazione vale meno della salute. La salute è vita, certo, ma l’informazione è libertà.
Provoco dicendo ai giovani “fate gli idraulici” perchè vorrei risparmiare la rabbia, le lacrime, i brutti pensieri del genere: “Se non posso continuare a fare questo mestiere che amo ma mi fa rincorrere dalla banca, preferisco che mi sparino qui in Iraq, almeno sarei magari assunta post mortem”. Nei momenti bui l’ho pensato. Lo ammetto perchè sono umana. Ma poi sono stati gli altri a tirarmi su, quelli che ti dicono di non smettere, che ti amano anche arrabbiata, acida e triste, quelli delle storie di cui scrivo, quelli che hanno affrontato la guerra, la violenza, le catastrofi e ti dicono “tu sei la mia voce, tu mi hai ascoltata, tu mi hai riconosciuto, torna a casa e dillo a tutti cosa stiamo passando noi”.
Ed è così che questo mestiere ti devasta e ti salva.
Questa professione è un privilegio e una responsabilità e per alcuni è rischiosa, non perchè si ha la tendenza al martirio ma perchè si crede in questo mestiere, e chi non ci crede più non siamo noi, è chi sta dentro ai giornali che ha smesso di vedere come si vive fuori. (Parlo in generale ovviamente, non sono tutti così, ci sono colleghi eccezionali, ma sono troppo pochi per fare la differenza per noi).
Quello del freelance è un lavoro di solitudine, accerchiamento, povertà, sfruttamento, in Italia. Poi si vincono premi e si pensa che tutto cambierà che il buon lavoro, la determinazione, l’energia paghi, oh paga in soddisfazione personale, ma non scalda d’inverno e non ti mette una un tetto sulla testa. E vedi anche che i premi li vincono i freelance giovani e ti rincuori e ti spaventi per loro, che ci credono quanto te.
E non inviterò mai nessuno, come qualche caporedattore ha detto a me, a sposarsi o fare compromessi perchè un giornale spende 150 euro per un pezzo scritto tra i talebani mentre dovrebbe rimborsarci anche l’aria che respiriamo.
In un mese e mezzo in Venezuela ho speso 3000 euro compreso il volo e producer che sono le spese maggiori. Un inviato assunto sarebbe costato a un giornale almeno 20 mila euro, motivo per il quale non partono o stan poco.
Lì ho lavorato per 4 giornali e due tv: quella inglese mi pagava, quella italiana no. Ho fatto 23 pezzi per gli ascoltatori di Radio Bullets che hanno sostenuto le spese, 18 collegamenti video e ho dovuto cambiare tre case per non farmi beccare da chi cercava i giornalisti.
E allora ditemi, davvero nessun giornale può rimborsare qualche migliaio di euro di un freelance?
Come è possibile che il crowdfunding per partire lo abbiano fatto i lettori? Perchè devono farlo loro e non le testate? Perchè giornalisti, cameraman e fotografi non possono decidere quanto debbano essere pagati? Perchè un avvocato sì e io no? Perchè un idraulico sì e io no? Perchè i raccomandati lavorano e io no? Perchè le/gli amanti di qualcuno sono state assunti e noi 18 mila caparbi, dobbiamo lottare per pochi euro?
Ho il grande difetto dell’orgoglio e del rispetto verso questo mestiere e ho imparato a dire di no, ma i giovani? Devono unirsi e combattere, sradicare questa tendenza. Perchè i freelance non sono giornalisti senza stipendio, sono il futuro a forma di parole della nostra democrazia. E chi sta dentro le redazioni che deve tornare ad amare e rispettare il diritto all’informazione. A credere di poter essere la differenza. Ad essere i bastioni di uno Stato di diritto. Noi freelance lo sappiamo già e anche il mio idraulico.
Grazie e buon lavoro,
Barbara Schiavulli
Barbara Schiavulli, corrispondente di guerra e scrittrice, ha seguito i fronti caldi degli ultimi vent’anni, come Iraq e Afghanistan, Israele, Palestina, Pakistan, Yemen, Sudan. I suoi articoli sono apparsi, tra gli altri, su Fatto Quotidiano, Repubblica, Avvenire ed Espresso. Ha collaborato con radio (Radio 24, Radio Rai, Radio Popolare, Radio Svizzera Italiana) e TV (RAI, RAI News 24, Sky TG24, LA7, TV Svizzera Italiana). È cofondatrice e condirettrice di Radio Bullets. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Lucchetta (2007), il Premio Antonio Russo (2008), il Premio Maria Grazia Cutuli (2010) e il Premio Enzo Baldoni (2014).
Ha pubblicato Le farfalle non muoiono in cielo (La Meridiana, 2005), Guerra e guerra (Garzanti, 2010), La guerra dentro (2013) e Bulletproof diaries. Storie di una reporter di guerra (2016).