The Wife è letteralmente l’occasione per una rilassata immersione nella psicologia profonda di un personaggio femminile. Potremmo dire donna in ombra sei, se donna in ombra fai.
Nei film americani squilla sempre di notte il telefono. Sarà per questo che mettono vicino al letto l’apparecchio o è perché è proprio lì vicino che ricevono telefonate notturne? Chissà… Sta di fatto che il film The Wife – Vivere nell’ombra inizia con un risveglio nottetempo: il protagonista maschile ha vinto, nientemeno, il premio Nobel per la letteratura! Un premio che meriterebbe la deuteragonista, sua moglie appunto, segretamente autrice o almeno co – autrice dei romanzi premiati.
Il film, in questi giorni su Now Tv, narra la storia di una donna che, apparentemente all’insaputa di tutti, è la ghostwriter del marito. Sarebbe quindi una reinterpretazione in chiave moderna dell’antico adagio “Dietro una grande donna… pardon, volevamo dire “Dietro un grande uomo…”.
Se così fosse però sarebbe davvero un film inutile. Già: perfettamente lapalissiano e scontato fin dalle prime battute (a parte la grande interpretazione di Glenn Close che vince il Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico ed è candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista. Settantenni alla riscossa, evviva!).
E non può neppure consistere nella pura e semplice storia della ribellione di una donna contro il marito narcisista-mostro-padrone-schiavizzante. No. Non ci convince: deve trattarsi di qualcos’altro…
Noi di artediparte non possiamo credere che una scrittrice come Meg Wolitzer – figlia di una scrittrice e docente di scrittura creativa all’università – e Jane Anderson, sceneggiatrice, regista e attrice, si siano limitate a questa semplicistica tesi (sì, c’è anche il regista Björn Runge, che è un uomo, anche se svedese, ed è al suo primo lavoro di grande respiro… ma… non conta).
Il film, abbastanza lento, come si dice in genere in questi casi, è letteralmente l’occasione per una rilassata immersione nella psicologia profonda di un personaggio femminile, che ha costruito da sé la propria sconfitta, scegliendo, cinicamente e spregiudicatamente, un ruolo subalterno a quello maschile. Sottolineiamo: per sua scelta. E per di più sulla base di una prescrizione e di una profezia negativa ricevuta proprio da una sorta di madre simbolica, una scrittrice, che in momento topico del film le spiega come non ci sia alcuna possibilità di entrare in un mondo culturale che è solo maschile, altro che sotto mentite spoglie. La sventurata ci crede. Questa deteriore genealogia femminile è a nostro avviso confermata dalla chiara presa di posizione della protagonista nel finale: porterà il presunto, e francamente poco credibile, segreto del proprio ruolo nella scrittura dei romanzi del marito nella tomba perché in fondo, la scrittura – meravigliosa compulsiva ossessione – è segreto inconfessabile peccato. Questo il significato, secondo noi, della mano che sfiora vogliosa il foglio bianco inquadrato nel finale.
Allora donna in ombra sei, se donna in ombra fai, potremmo dire con Forrest Gump. Niente vittimismo, rimboccarsi le maniche e pedalare o rassegnarsi al ruolo muto e condiscendente, ma conveniente e comodo, della moglie, la donna dietro le quinte par excellence. Per capire se ci abbiamo visto giusto, converrà leggere il libro di Wolitzer sotto l’ombrellone di fronte al bellissimo mare di Thurii, dove andiamo ogni anno. Intanto, attendiamo le vostre preziose opinioni.