Vi giuro che non l’ho fatto apposta. Mi sono letteralmente dimenticato di loro, preso com’ero dalla mia storia.
di Deborah Voliani
A casa nostra ci sono altri cuccioli: i pesci rossi che nuotano beati nel loro acquario.
Sono in tre per l’esattezza: Tino, Rino e Lino, sono i loro nomi.
Non l’ ho deciso io di chiamarli così, ma lo hanno deciso i miei padroni.
Vi dirò di più i loro pesci si chiameranno così in eterno, non avranno altri nomi.
Si limiteranno ad aggiungere il numero dopo il nome per tenere il conto di quanti pesci hanno avuto fino a quel momento. Non avete capito?
Vi faccio un esempio. Se non sbaglio Tino in realtà è Tino quarto. Prima di lui ci sono stati altri tre Tini. Rino è di fatto Rino terzo e Lino è semplicemente Lino, perché prima di lui non ce ne sono stati altri con quel nome.
Insomma un vero casotto.
Di loro non posso lamentarmi. Se ne stanno tutto il giorno nell’acquario che si trova sopra il muretto divisorio che separa il soggiorno dal primo corridoio e nuotano con una certa eleganza. Uno di loro è grasso ed a volte mi sembra di vederlo nuotare come se avesse bevuto un bicchierino di troppo.
Poi però si riprende e torna a nuotare con più agilità.
Ricordo la prima volta quando i pesci sono entrati nella nostra casa.
Non li sentivo una minaccia al mio territorio, dal momento che sono molto piccoli e per natura non potrebbero condividere con me il mio spazio vitale perché senza acqua morirebbero.
Loro non lo sanno che li osservo spesso. Il loro movimento nell’acqua è delicato. Anche durante i loro giochi, quando si rincorrono dietro le rocce, sono silenziosi e mi ricordano tanto uno di quei films muti degli anni cinquanta.
Sono ridicoli e chissà se loro penseranno lo stesso di me.
Voi vi chiederete. Nessun istinto animale? Nessuna voglia di mangiarli?
No signori. Penso di essere l’unico gatto in Italia, se non addirittura nel mondo, a cui non piace il pesce. Vi dirò di più, quelle poche volte che l’ho mangiato ho avuto dei problemini intestinali che è meglio non raccontare nei dettagli.
Nei miei giochi immaginari li ho inseriti in un’isola deserta tipo Lost, la serie televisiva che ha avuto molto successo.
Vedo la scena.
Siamo in esterna. Ciak si gira!
Il mio amico pirata si trova in difficoltà sopra una zattera e sta cercando di raggiungere la sponda dell’isola dove già mi trovo io perché sono precipitato da un aereo e sono miracolosamente salvo.
Vedo avanzare la piccola imbarcazione. Resto cauto come la mia natura mi suggerisce. Non mi fido degli altri, che sono solo degli intrusi e con noi non c’entrano niente.
Il pirata scende dalla zattera che ha provveduto a legare ad un palo sulla spiaggia che io avevo faticosamente piantato.
Lui avanza ed io gli vado incontro.
Sembra la scena di mezzogiorno di fuoco, ma quello era un altro film.
Siamo ormai vicini, uno di fronte all’altro.
“Chi sei?”, gli chiedo. In questo gioco faccio finta che non ci conosciamo.
“Sono un pirata”, mi risponde lui.
“Quest’isola è mia”. Preferisco mettere in chiaro subito chi è che comanda così lo sconosciuto non si fa illusioni.
“Non voglio l’isola, voglio la tua gente per i nostri esperimenti”.
“Va bene prendili ma lasciami in pace”, gli rispondo.
Prendo dalla borsa che avevo portato con me, gli altri sopravissuti al disastro aereo, Tino quarto, Rino terzo e Lino e glieli porgo.
“Prendili e lasciami in pace”.
“Va bene. Ah scusa, avresti mica un po’ di sale?”.
Ora capisco che il pirata si mangerà i miei tre amici. Mi viene un’idea. Se non sbaglio nell’altro gioco era in debito con me perché l’avevo salvato.
Entro nella parte con maggior convinzione e mi faccio avanti.
“Mi devi un favore John Locke, questa volta non puoi dirmi di no. Ti ho salvato la vita un giorno, rammenti?”.
“Cosa vuoi da me, Jack?”.
“Restituiscimi i miei amici”.
“Questa volta hai vinto tu, ma non finisce qui”.
Pesciolini salvi.
Anche se oggi non ho imparato niente di nuovo, mi sono comunque divertito a raccontare questa storia.
Deborah Voliani – 49 anni. Assistente sociale. Mi occupo di prevenzione solitudine e promozione socialita a favore degli anziani a Trieste presso Televita s.p.a. Sposata. Vivo a Monfalcone. Sono livornese d.o.c. .Toscanaccia nel sangue. Ho un gatto persiano che si chiama Nemo. Scrivo racconti e poesie. Ho scritto con mio marito un romanzo giallo Male minore ambientato a Livorno e pubblicato da Manidistrega nel 2010. Amo la vita e gli animali