Il suo miagolio, come un fiume in piena, rompeva il silenzio della casa, rimasta per molti giorni suo esclusivo territorio.
di Deborah Voliani
Hanno ucciso un grande ragno.
Uno di quelli con le zampe lunghe. L’ho trovato disteso sul pavimento della terrazza. Non ho provato compassione per lui, a dire il vero, ma si trattava comunque di un cadavere che se stava inerme accanto al vaso delle rose.
Bisognava fare qualcosa. Ho chiamato Deborah che ha provveduto a portarlo via.
L’occasione che mi si presentava era ghiotta.
No, no. Non volevo mangiarlo. Ma nella mia mente fantasiosa stava già nascendo una storia.
Eccomi. Mi piace pensarmi protagonista di uno di quei telefilms della serie televisiva CSI.
Vedo la scena. Ciak si gira.
Sono Orazio, il rosso, nonché capo della squadra scientifica di Miami.
(Tra l’altro, non scelgo a caso di essere lui. C’e’ un motivo preciso.
Deborah è perdutamente innamorata di lui e lo dico sul serio.
Giuliano lo sa, ma non è geloso. Orazio è pur sempre un attore americano e quindi sarà difficile che si incontrino.
“Non è bello, ma è un tipo e mi attrae la forza del suo carattere”, ripete sempre ad ogni puntata di CSI. Giuliano ed io oramai lo sappiamo ed ogni volta ci scambiamo degli sguardi complici di intesa. Che ci vuoi fare. Ormai è persa).
Ritorniamo a CSI.
Ho fatto isolare la scena del crimine. Ho misurato con un metro la distanza che separa il corpo del ragno dal vaso di fiori. Non so a cosa mi servirà saperlo, ma ho visto che in tv lo fanno.
Vedo arrivare il mio amico pirata che passa sotto il nastro giallo che delimita il perimetro.
“Sei in ritardo come al solito, ma dov’eri?”.
“Scusa Orazio ma mia moglie mi aveva nascosto l’impermeabile”. Ecco che ci risiamo, crede di essere il tenente Colombo e devo dire che la somiglianza è notevole.
“Hai mica una penna?” e continua “mia moglie me le toglie dal taschino delle camicie per poterle metterle in lavatrice, ma poi quando le stira si dimentica di rimettercele”, e ride, c’e’ un morto per terra e lui ride come se niente fosse. Roba da matti.
“Hai intenzione di darmi una mano o cosa?”, cerco di essere comprensivo. Ma so che una giornata con lui richiederà molta pazienza.
“Orazio, hai interrogato i testimoni?” mi domanda con aria distratta.
“Non ci sono testimoni, Colombo”. Assumo un atteggiamento professionale e come il vero Orazio, abbasso gli occhiali da sole e lo guardo di traverso (questo suo stile fa impazzire Deborah) e poi aggiungo “saranno le prove a parlare”.
“Ben detto”, poi il mio amico pirata comincia a grattarsi la testa e, con il sigaro in bocca continua “dov’ eri questa mattina, Orazio, tra le otto e le nove circa?”.
“Non penserai mica che sono stato io, Colombo? Ricordati che sono il capo della scientifica”, comincia ad innervosirmi questo interrogatorio.
“Non hai risposto alla mia domanda. Se hai un alibi non devi temere niente”.
“Ero con Deborah. Ecco sì ero con Deborah”, rispondo senza guardarlo negli occhi. Anche perché, come sapete, di occhi ne ha uno solo e questo mi fa essere in vantaggio su di lui. Non dovendo sostenere il suo sguardo, riesco a fingere meglio e a non far trapelare le mie emozioni.
“Dovrò contro interrogare Deborah per sapere se dici la verità…”
“Ma non ti sembra assurdo pensare che sia io il responsabile della morte del ragno?”.
“Quale ragno?”, mi chiede lui, “perché, è forse morto un ragno?”. Gente, potete immaginare cosa sto provando in questo momento. Siamo nel bel mezzo di un crimine, con tanto di cadavere spiaccicato sul pavimento e lui mi chiede quale ragno?”. Lo guardo in attesa di avere una spiegazione della sua castroneria, perché come sapete al peggio non c’è mai fine. Infatti, quasi mi leggesse nel pensiero, continua.
“E chi se ne importa del ragno, Orazio. Sono qui per scoprire se tra te e Deborah c’è veramente un flirt come scrivono i giornali. Non si parla d’altro ormai. Potevi non dirmelo, ma sei stato tu ad ammetterlo”.
Sono allibito. Questa volta mi sento incastrato. Oramai non è più un segreto. Non posso più nasconderlo.
“Cosa farai adesso, Colombo?”, gli chiedo, sospirando.
“Scriverò il mio rapporto e auguri a tutti e due. Io il mio lavoro l’ho fatto”, fa per andarsene.
“E il ragno?”, gli domando.
“No grazie, non ho fame. Mangialo pure tu”. Mi strizza l’occhio e per lui in quel momento è notte fonda. Si gira mentre intonando “Strangers in the night”, se ne torna da dove era arrivato, sicuro di avere risolto un mistero, che forse tanto segreto non lo era mai stato.
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Capitolo XII
Ecco, vi ho raccontato un po’ della mia vita.
Sono un micione felice che vive in una famiglia altrettanto felice.
A questo punto dovrei congedarmi da voi e un po’ mi dispiace.
Mettere per iscritto i miei pensieri e i miei sentimenti, l’ho trovata un ‘esperienza interessante e molto positiva.
Parlare con voi mi ha dato l’opportunità di fare luce sulle cose che per me contano veramente.
Man mano che scrivevo, mi sentivo intimamente gioioso e soprattutto grato alla vita che mi permette di vivere tante esperienze e tante storie affascinanti.
Volevo lasciare qualcosa di me per quando non ci sarò più. (Questo Deborah non vuole sentirmelo dire. Lei pensa che vivrò in eterno. Quando fantastica con Giuliano su quando saranno anziani, aggiunge sempre “… e Pakum avrà la barba bianca”.
Glielo lascio credere, anch’io vorrei che fosse così.
Ci tengo a precisare una cosa. Parlando di Giuliano e Deborah, spesso gli ho chiamati i miei padroni. A tal proposito, sento di dover fare una precisazione.
Con il termine padrone, in genere, si intende dominatore assoluto che comanda e basta, ma, da come la vedo io, sarebbe ingiusto pensare che loro siano per me dei semplici comandini.
Tutt’altro. Entrambi si stanno prendendo cura di me ed io sono al sicuro sapendo di avere affidato la mia vita nelle loro mani.
Il vero padrone di casa semmai sono io. Servito e riverito, non faccio praticamente niente di faticoso. Vivo per amare ed essere amato e spero che sarà così ancora per molto tempo.
Un momento… scusate.
Ecco che ci risiamo. Deborah vuole giocare a nascondino, mi sta facendo gli agguati da dietro la porta di camera sua. Vi devo lasciare davvero. Il dovere mi chiama.
A proposito, se vi state chiedendo se n’è valsa la pena mettere in piazza le mie più intime emozioni invece di essere in cucina a mangiare i croccantini.
Ebbene, io dico… secondo me, sì.
Miao e a presto.
Considerazioni finali
“Ti manca solo la parola”. É quello che ho detto al mio gatto, Pakum, il giorno che, al rientro dalla Croazia, dove mio marito ed io avevamo trascorso le ferie, ci ha accolti con un entusiasmo tale da farci temere che ci rimanesse secco.
Il suo miagolio, come un fiume in piena, rompeva il silenzio della casa, rimasta per molti giorni suo esclusivo territorio.
Anche per noi è sempre un piacere rivederlo. Ci capita spesso, anche in vacanza, di parlare di lui, cercando di immaginare le sue giornate da solo.
Vi racconto la scena del nostro rientro a casa.
Apriamo la porta. Pakum è già lì che ci aspetta. Appena ci vede, per un attimo, pare non riconoscerci, eppure siamo solo un po’più abbronzati. Ci fissa. Ha le orecchie ritte e la coda alzata. É silenzioso al momento, forse frastornato.
Il tempo di posare le valigie per terra e lo prendo subito in braccio e da quel momento comincia a miagolare.
Mi avvicino alla cucina e vedo che le ciotole sono piene di cibo, quindi penso subito che non mi sta chiedendo da mangiare, come fa di solito.
Lo accarezzo e lui fa le fusa, ma non c’è niente da fare. Pakum non mette fine al suo monologo.
Continua a miagolare.
Mi accorgo che il suo miagolio non è sonoro come sempre, bensì leggero, sussurrato, interrotto da piccole pause. Come se mettesse le virgole e i punti, insomma.
Deborah Voliani – 49 anni. Assistente sociale. Mi occupo di prevenzione solitudine e promozione socialita a favore degli anziani a Trieste presso Televita s.p.a. Sposata. Vivo a Monfalcone. Sono livornese d.o.c. .Toscanaccia nel sangue. Ho un gatto persiano che si chiama Nemo. Scrivo racconti e poesie. Ho scritto con mio marito un romanzo giallo Male minore ambientato a Livorno e pubblicato da Manidistrega nel 2010. Amo la vita e gli animali